“Da Padula al Piave”: la lunga storia di Antonio Rotunno

 

Aldo Bianchini

 

PADULA – Metti che per una fortunosa casualità un operaio edile nell’opera di ristrutturazione di un immobile si imbatta in un pacco pieno di carte all’apparenza inutili; metti che lo stesso operaio dimostrando capacità intellettive non comuni non getta via quel pacco ma lo preservi dall’oblio; metti che sempre lo stesso operaio prima dimentica i ritrovamento e poi all’improvviso se ne ricorda e grida a se stesso “e di questi che cosa si fa ?”; e metti infine che lo stesso nostro onesto lavoratore si prenda la briga di avvertire i legittimi proprietari-eredi di quell’abitazione e che lo stesso pacco finisca nelle mani giuste.

            Ecco, dopo tutto questo e da tutto questo, nascere un capolavoro letterario che giustamente la sua autrice prof.ssa Anna Rotunno (docente presso il liceo classico De Sanctis di Salerno) apre in copertina con l’unica frase-riferimento possibile: “ … nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice” (Dante, Inferno, Canto V) il ricordo, meglio sarebbe dire i ricordi, di suo nonno Antonio in un volume che altro non è se non la pubblicazione di “tante storie in una storia” sotto il titolo “Antonio Rotunno – Da Padula al Piave” (Gruppo Editoriale L’Espresso spa) che da solo ci fa già capire l’immensità e la difficoltà dell’opera che la docente liceale di lettere ha proposto all’opinione pubblica per rimandarla alle generazioni future della sua famiglia.

            Un lavoro davvero “certosino” (non per niente siamo a Padula) quello della professoressa Anna che prima ha rispolverato (nel senso letterale del termine) tutto il materiale rinvenuto tra “i denti digrignati delle piastrelle mezzo rotte, rimaste ancora incastrate alle pareti, di quella che era stata la prima sala da pranzo” e poi lo ha elaborato e riconfezionato in una successione non solo temporale ma anche, se non soprattutto, molto umana dando ad ogni parola una sensazione di presenza quasi umana del nonno conosciuto poco, amato molto e riscoperto per caso attraverso i suoi scritti, i suoi pensieri, le sue considerazioni sul tempo che in relazione al vissuto presente.

            Da cronista antesignano il semplice ma stimatissimo organista Antonio Rotunno, sicuramente non letterato ma altrettanto sicuramente capace di elaborare pensieri culturali di alto profilo, con la sua meticolosità nel raccontare i fatti, gli usi e le tradizioni del suo paese ma anche della sua patria (il ricordo del Piave non è affatto casuale) ci ha rimandato uno spaccato della società posta tra la fine dell’800 e gli inizi del 900.

            E tutto il lavoro di Antonio dà la possibilità alla sua giovane nipote, già docente, di conoscere il nonno che non aveva mai potuto conoscere; un nonno andato via cinque anni prima che lei nascesse e fortunatamente conosciuto ed amato soltanto nel 1999, all’epoca dei lavori di ristrutturazione dell’antica e patriarcale abitazione di famiglia nel centro storico di Padula. Poi, una decina di anni dopo, l’idea di raccogliere il tutto in un unico volume per dare all’amato nonno Antonio la possibilità di rivolgersi ai suoi eredi attraverso i suoi scritti e ripresentarsi al grande pubblico che lo aveva sempre stimato per le sue qualità artistico-musicali in qualità di “sofisticato autore” dell’opera letteraria realizzata dall’abilità descrittiva di una nipote che non ha mai conosciuto, se non dall’alto dei cieli. Ed è cosi che, quasi cinquant’anni dopo la sua morte, riemerge dall’oblio e dalla notte dei tempi la figura immensa di un uomo, Antonio, che ha dedicato tutta la sua laboriosità alla famiglia facendo dell’arte organistica la sua ragione di vita in un lungo viaggio che è stato anche capace, almeno per qualche decennio, di raccontare da osservatore in grado di contestualizzare temporalmente e localmente le sue personali osservazioni.

            E la nipote Anna con immenso amore recita la parte della comprimaria assumendo l’incarico della “premessa” di un’opera fortemente e tenacemente voluta come testamento spirituale del nonno nato addirittura nel lontano 1881 e morto nel 1958.

            Non conoscevo il volume della Rotunno e non avevo mai saputo della sua esistenza; l’ho ricevuto in regalo qualche mese fa dall’attento e capace presidente del Circolo Sociale Carlo Alberto 1886 di Padula, parlo dell’amico Felice Tierno che ringrazio sentitamente.

            Un libro da leggere perché si fa leggere facilmente; almeno due i motivi per una serena e rilassante lettura: in primo luogo perché è lo specchio di una società e di un modo di vivere molto lontani dalla realtà attuale; in secondo luogo perché i fatti narrati ci inducono a riflettere sul fatto che, nonostante oltre un secolo, niente è cambiato nel rapporto tra Stato, Pubblica Amministrazione, Enti Locali e cittadini comuni.

            A squarciare i veli ci ha pensato un appunto del 1887 relativamente all’inaugurazione della ferrovia e passaggio dei primi treni: “Peccato ! Con lieve spostamento del progetto, la ferrovia si sarebbe avuta molto più vicino all’abitato, cioè al di sopra della Certosa, e la stazione ferroviaria verso la fontana di Meroli, se il sindaco di quel tempo, unitamente a tutto il consesso municipale, si fosse presentato sul luogo nell’atto che l’ingegnere segnava le tracce. Sonnecchiavano allora le nostre autorità e non pensavano mica al bene del nostro paese !”.

            Sonnecchiano ancora e sicuramente non pensano, anche oggi, al bene comune.

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