Il mortaio di Gaspare Russo: il sacco edilizio di Salerno e l’uomo solo al comando visto da vicino

 

 

 

 

 

 

 

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Secondo diversi osservatori, tra i quali sicuramente anche Antonio Roscia (dirigente provinciale di Fratelli d’Italia), il sacco edilizio che ha travolto Salerno negli anni ’70 ha prodotto danni irreparabili. E Roscia non tira fuori da quelle responsabilità neanche l’allora sindaco e presidente della Regione avv. Gaspare Russo; finanche per le “tante case così vicino alle Fonderie Pisano”.

            E ritorna il problema dello scontro tra i residente di Fratte e le fonderie. Per saperne di più sono ritornato nello studio dell’avv. Gaspare Russo.

Presidente è vero che a Salerno c’è stato il sacco edilizio ? 

== Si; per meglio capire il problema dobbiamo rifarci ad un mito e ad un proverbio salernitano che all’epoca era il leit-motiv della borghesia cittadina e non solo; un proverbio molto noto che recitava così “Si Salierno tenesse o’ puort Napule sarria muort”. In realtà era l’obiettivo della “grande Salerno” e la città di 500mila abitanti in grado di competere con Napoli.

Presidente, ma dove si sarebbero edificate tutte le case ?

== Salerno, con l’amministrazione del sindaco Menna dal 1956 al 1970 era come una piovra. Tutto per Salerno e a Salerno nel territorio cittadino. Una condizione conflittuale, permanente, con tutti i comuni confinanti. Direi di tipo imperialistico. Il Piano regolatore vigente nel 1958, che era un buon piano per l’epoca è stato completamente stravolto. In una condizione di vuoto, avallata silenziosamente dalle autorità statali nazionali e provinciali e dalla debolezza dei comuni confinanti, la maggior parte delle previsioni del PRG furono stravolte. Ci furono 19 riunioni a livello comunale di una commissione speciale, in cui erano rappresentati i vertici di tutte le componenti politiche presenti in consiglio comunale, che aveva il compito di osservare e decidere su tutte le osservazioni relative al PRG presentate dagli enti pubblici, dalle rappresentanze sociali e dai privati.

Presidente Lei parla di fatti lontani, può dimostrarli e soprattutto quale fu la sua partecipazione e la sua eventuale responsabilità ?

== Stiamo parlando della storia urbanistica di Salerno dal dopo guerra (intorno al 1954 fino al 1970) cioè dell’arco temporale dell’amministrazione Menna. Chi la volesse approfondire non dovrebbe fare altro che andare a spulciare negli archivi comunali.

Presidente insisto, ma Lei non era già in consiglio o addirittura assessore ?

== Sono stato eletto consigliere comunale nelle elezioni del novembre del 1960. Unico rappresentante della “sinistra di base” della Democrazia Cristiana, e fui subito nominato assessore alle aziende municipalizzate (Centrale del Latte e Azienda del Gas). Erano due cadaveri, quando volete possiamo tracciare la storia della mia attività di assessore dagli anni che vanno dal 61 al 64.

E come assessore non era interessato al PRG ?

== Era una commissione che aveva operato nella precedente consiliatura. Il mito della grande città e le decisioni politico-urbanistiche assunte nell’epoca precedente hanno consentito la costruzione dell’attuale schema generale della città.

Ma Lei era comunque in giunta negli anni immediatamente dal 61 al 64; non è stato possibile intervenire ?

== La giunta comunale era dominata dal ruolo podestarile del sindaco Menna. Io ero una spina nel fianco. Voglio aggiungere un dato personale che disgraziatamente nel 1961 morì mia moglie. La morte di mia moglie mi costrinse prima ad abbandonare e successivamente ad allentare la mia attività politica. Nel 1963 intervenne la legge urbanistica per l’edilizia del ministro Fiorentino Sullo, al quale io ero politicamente legato. Ricordo, tanto per fare un esempio significativo, che questa legge prevedeva un’imposta sulle aree fabbricabili, ivi comprese quelle delle zone collinari che consentivano insediamenti di case coloniche con lotti di terreno di tremila metri quadri, poi modificati in millecinquecento. Era il principio della distruzione del territorio; le case coloniche diventarono ville. Ma questa legge prevedeva anche la denuncia di tutti i proprietari di terreni edificatori ai fini del pagamento dell’imposta prima descritta. I proprietari di queste aree fecero le loro denunce, dando ai loro terreni valori minimali per pagare tasse ridotte.

E cosa successe ?

== La legge Sullo prevedeva anche la possibilità di acquisire tutte o parte di queste aree al valore denunciato dai proprietari. Io proposi in giunta di acquisire al patrimonio del comune tutte le aree, o quanto meno quelle più importanti per le attività, servizi, aree industriali del comune stesso. Alfonso Menna non gradì questa proposta, né tantomeno io ottenni la solidarietà dei componenti della giunta comunale.

Quale significato aveva la proposta e perché Menna si oppose così drasticamente ?

== Menna si oppose per due ragioni. La prima perché non era un’idea sua, la seconda perché aveva già impegnato i proventi derivanti dall’imposta sulle aree fabbricabili per la realizzazione di una serie di servizi comunali comunque utili.

Non c’erano altre soluzioni ?

== Si. Io proposi l’accensione di un grande mutuo comunale garantito sui proventi dell’imposta in questione. Lo scopo era quello di possedere un amplissimo patrimonio di aree di proprietà comunali, da destinare all’utilizzo di tutti i problemi allora giacenti sul tappeto, case comunali, case di edilizia economica e popolare, aree industriali, scuole, zone sportive, ecc.

Presidente, perché questa città ha dovuto sempre sopportare decisioni di un uomo solo al comando e mai di gruppi politici e tecnici ?

== La città ha avuto sempre, nel bene e nel male, sindaci podestà e periodi confusi di sindaci e amministrazioni che sono durate poco. In effetti dalla mia cacciata da sindaco nel 1974 ad opera della Democrazia Cristiana e fino all’85 si sono succedute una decina di amministrazioni, che non hanno avuto neanche il tempo di guardarsi intorno.

Presidente, ma Lei era un uomo solo al comando ?

== In un certo senso si. Gli elettori in buona sostanza erano abituati a dare la delega in bianco. E’ sempre mancata una reale partecipazione di tutte le componenti della società salernitana alla vita pubblica. E le poche voci eventualmente dissenzienti finivano con l’essere emarginate, perchè  più frutto della lotta politica tra partiti, correnti, esponenti politici che di una dialettica fondata su programmi e proposte alternativi.

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