BANCA CILENTO: crisi, ripresa e meridione

 

 

 

 

 

 

 

Aldo Bianchini

 

VALLO della LUCANIA – Nel precedente articolo, pubblicato prima del convegno di Vallo del 26 maggio 2018, avevo scritto che “”fare banca non vuol dire soltanto acquisire ricchezza e distribuire credito ad imprese e cittadini nell’ottica di quell’azione di sostegno territoriale per il rilancio e la crescita dell’economia e dell’occupazione; fare banca vuol dire anche dedicarsi allo studio, all’analisi ed alla conoscenza diffusa dei fenomeni globali, che hanno prodotto in passato e che possono produrre in futuro, accumuli di ricchezze e sconquassi globali; fenomeni che oggi passano sotto la denominazione di “globalizzazione”””.

            Fare banca, dunque, significa che chi la fa deve guardare con attenzione ai fenomeni sopra citati senza distaccarsi dalla realtà territoriale in cui le stesse banche operano con un occhio particolare, per il nostro territorio, al fenomeno più che centenario del meridionalismo emerso, più che probabilmente, dalle viscere degli studi e delle determinazioni del primo vero grande economista della storia che passa sotto il nome di Antonio Genovesi nato e cresciuto in un paesino dei Monti Picentini.

            Per fare questo, però, ci vuole una squadra ben amalgamata ed anche allenata, nonché professionalizzata; un solo personaggio, seppure annoverabile tra i grossi banchieri, non può farcela da solo ed ha bisogno di delegare nell’ottica di un decentramento produttivo.

            Con questo pensiero ho lasciato la sede della convention quando tutti i relatori avevano concluso i loro interventi, tutti apprezzabili pur se intrisi di una ritualità scolastico-universitaria latente all’ombra di una mancata innovazione, così come i tempi moderni vorrebbero.

            In questa direzione è andata soltanto la parola del neo senatore Francesco Castiello (già presidente della Banca Cilento) che, al di là della non più giovanissima età, ha dimostrato ancora una volta che l’esperienza vale molto e che soprattutto vale ad indirizzare la scelta dei momenti topici in cui cambiare registro sull’onda di un lavoro di squadra che ha imparato a conoscere all’interno della Banca Cilento e che lui ha portato con se esportandolo anche in quel mondo penta stellato che sebbene portatore di un sicuro pensiero innovatore non riesce a proporlo fino in fondo proprio per la mancata conoscenza del lavoro di squadra. Nel suo corposo ma composto intervento Castiello, andando forse controcorrente rispetto al suo stesso partito che proprio in quelle ore maturava una crisi senza precedenti (alludo alla crisi istituzionale), ha parlato fermamente da meridionalista nell’ottica di un mezzogiorno che si affaccia sempre più prepotentemente in Europa alla ricerca di una sua precisa identità. Insomma un discorso non facile quello di Castiello che, attento a non urtare le singole suscettibilità interne al movimento, è riuscito a muoversi all’interno di una cristalleria con passo felpato ma deciso e comprensibile. E su questo elemento non marginale c’è pieno accordo della Banca Cilento (almeno questa è stata la mia sensazione) che ha sorretto e organizzato con la “Fondazione Grande Lucania – exegi monumentum aere perennius” il convegno in questione sotto la denominazione di “Il mezzogiorno dopo la grande crisi del 2008-2016: da questione nazionale a opportunità”.

            Ho osservato a lungo l’atteggiamento, anche per certi versi ieratico ma attento, assunto dal direttore generale della Banca Cilento, Ciro Solimeno, nell’osservare e seguire la relazione di Castiello soprattutto nei vari punti attraverso i quali ha fatto chiaramente capire che senza Europa non c’è Meridionalismo e che senza questione nazionale dispiegata sul territorio non c’è né Mezzogiorno e né Europa e, quindi, nessun tipo o elemento di crescita presente e futura.

            Speculare e trascinante, ma soltanto per un consenso popolaristico, l’intervento del giornalista scrittore Pino Aprile che proprio per queste sue spiccate tendenze spiccatamente e soltanto meridionaliste non mi ha eccessivamente convinto anche se ha raccolto dalla folta platea il maggior applauso. Come dire che Aprile nel suo essere meridionale, di nascita e di educazione, è ancora troppo coinvolto in quegli stereotipati neologismi classisti che pur apparendo come essenziali elementi di lotta, sono comunque lontanissimi dalle strategie risolutive di un problema centenario come la questione del meridionalismo.

            Per dirla tutta, il più giovane Primo Aprile mi è apparso molto più vecchio del sen. Castiello che, invece, già viaggia su una nuova direttrice politico-operativa finalizzata alla risoluzione reale dei problemi e non soltanto all’ottenimento di un applauso più o meno fragoroso.

            Non a caso, difatti l’attuale presidente della Banca del Cilento di Sassano e del Vallo di Diano e della Lucania, Silvano Lucibello, ha posto l’accento su “Il tessuto economico: imprese e territorio” facendosi supportare anche dalle relazioni di Massimo Lo Cicero (economista e docente presso l’università Suor Orsola Benincasa), Luigi Gallo  (responsabile area innovazione e competitività di Invitalia) e di Antonio La Spina (sociologo, docente alla Luiss di Roma). Lucibello, più e meglio di altri, conosce il territorio su cui si dispiega l’azione della banca e capisce al volo gli umori e gli spostamenti degli  imprenditori locali che sono, poi, la linfa vitale non solo della stessa banca ma anche dell’intera economia territoriale.

            Mi pare di poter concludere, dunque, che dopo la crisi la “questione nazionale” può trasformarsi in “opportunità per il territorio” soltanto se si passa attraverso lo stretto imbuto del “tessuto economico” e se si può contare su “una squadra operativa” efficiente e ben diretta sul piano del potere esecutivo; tutti elementi che la Banca del Cilento possiede in una certa quantità e che sabato 26 maggio 2018 sono venuti prepotentemente alla luce.

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