RUGGIERO: Viale dei Giardini

 

Aldo Bianchini

SALA C. – Qualche giorno fa, quasi casualmente, grazie al mio amico Pierino Cusati, ho assistito alla presentazione di un libro dal titolo “Viale dei giardini” scritto di getto da Giuseppe Ruggiero (architetto lucano e libero professionista) al suo primo romanzo, oltretutto giallo e pieno di metafore molto interessanti.

Non sono bravo nella cronaca degli eventi e preferisco approfondire gli argomenti traendo da essi ogni possibile indicazione da trasportare, pari pari, nella vita associativa di tutti i giorni.

Per questa mia riluttanza verso la cronaca potrei sintetizizzare, come sintetizzo, la recensione sul libro “Viale dei giardini” copiando lo stralcio del racconto contenuto in un pieghevole della controcopertina: “In un pese del Sud Italia, nell’area che fu culla di una delle più antiche civiltà italiche, un fatto di sangue turba la tranquilla vita quotidiana. Con pazienza, il maresciallo Pantano, della locale stazione dei Carabinieri, seguirà diverse piste, giungendo per piccoli passi a ricostruire l’accaduto. Sino alla sconcertante scoperta finale, che apre uno squarcio inquietante sulle miserie dell’esistenza umana”.

Ad un lettore superficiale il libro “Viale dei giardini” potrebbe apparire, quindi, un romanzetto giallo come uno di quelli che se ne vedono in tanti accumulati sulle bancarelle di tantissime piazze delle città italiane. Niente di tutto questo perché all’attento lettore non sfuggirà, di certo, che l’architetto-scrittore utilizzando un sottile ragionamento filologico (con precisi riferimenti all’astronomia e fisica aristotelica ed all’astronomia tolemaica che mescolano i quattro elementi fondamentali e fondanti del mondo: terra, acqua, aria e fuoco, per disegnare e modellare i vari aspetti dell’umanità che vive ed opera su quella stessa terra che è in continua verso punte di incredibile civiltà, pur mantenendo sacche piene di sconcertanti miserie umane) cerca di riportare nella piccola cronaca nera di un delitto di provincia l’elenco infinito delle miserie umane legate alla perdita delle antiche civiltà italiche precipitate negli abissi delle ingiustizie, della brutale burocrazia e della feroce ostentazione del potere.

E’ questo aspetto del romanzo giallo di Ruggiero che ha attirato la mia attenzione anche perché le poche parole contenute nel breve sunto pubblicato, sul pieghevole, dallo stesso autore mi hanno riportato ad una massima di Ernest Hemingway (il grande vecchio del mare di Acciaroli) messa in bella evidenza sulla seconda controcopertina del libro: “Per ogni scrittore ogni libro dovrebbe essere un nuovo inizio, nel quale cercare ancora una volta qualcosa che è impossibile raggiungere. Egli dovrebbe cercare cose che non sono mai state fatte”.

Gli scrittori non scrivono mai a caso e, soprattutto, non scrivono mai per raccontare una semplice vicenda; allo stesso modo Giuseppe Ruggiero non ha scritto a caso il piccolo romanzo giallo che prima di arrivare alla conclusione con la scoperta di una verità che, alla fine dei conti, non accontenta nessuno; né la vittima, né la colpevole (solo perché spinta ad essere rea confessa) e neppure il maresciallo che è cosciente di aver soltanto sfiorato tante altre intoccabili verità che qualcuno riesce sempre a coprire in maniera, spesso, spudorata e supponente. Difatti come potrebbe mai un semplice sottufficiale dei Carabinieri di provincia, seppure volenteroso e perspicace, mettere le mani sullo IOR (la banca del vaticano) o scoprire le vere malefatte che si annidano nei meandri oscuri di casi giudiziari eclatanti come quelli del cardinale Giordano e di Elisa Claps; casi che per strani e intriganti intrecci si intersecano con la vicenda che vede protagonisti il maresciallo Pantano con i tre appuntati, la vittima, la colpevole e un assai riluttante “dott. Romano” (sostituto procuratore della repubblica) che guardando lontano cercano gli uni di percorrere improvvidamente le strade che porterebbero al cuore della chiesa e del vero potere e l’altro, invece, tenacemente teso a coprire quelle strade in cambio di qualche anno di carcere a carico di una povera sventurata che si autoaccusa dell’efferato delitto.

Giuseppe Ruggiero, come uno scrittore esperto ed incallito, ha lanciato precisi messaggi subliminali contro lo strapotere della burocrazia che spesso degenera in un arrogante esercizio del potere; e lo ha fatto riuscendo splendidamente a riversare in un romanzo giallo tutte le trepidazioni, le ansie, le ingiustizie e le rivendicazioni che ognuno di noi subisce e sopporta nel corso della propria vita professionale e lavorativa, con qualche esplosione rabbiosa che da sole non valgono a cambiare il sistema.

Non deve apparire strano il mio commento al racconto del libro, le mie non sono elucubrazioni giornalistiche ma soltanto il frutto di un’attenta lettura che, partendo dall’assunto che ogni autore riversa nei propri libri parte della sua biografia, mi ha portato a capire come l’autore Giuseppe Ruggiero girando e rigirando la lama nella piaga del fattaccio di cronaca non ha voluto fare altro che lanciare un grido di allarme per il disfacimento relazionale della nostra società che vivacchia, cresce e si rigenera all’ombra dell’illegalità del compromesso e dell’arroganza soprattutto ei confronti di chi pretesta umilmente i propri sacrosanti diritti e viene quasi sempre calpestato sia dagli uni che dall’altro.

In conclusione mi sento di affermare che l’autore parte subito lancia in resta per spiegare in   senso metaforico che la vittima rappresenta tutti noi capri espiatori di una burocrazia assassina che riesce sempre a camuffarsi sotto mentite spoglie ed a non pagare mai i suoi debiti con l’umanità e con la storia pur confessando a volte le su colpe (come la ragazza assassina del romanzo); dunque da una parte l’umanità come vittima del carnefice e dall’altra il carnefice come burocrazia asfissiante e imbattibile.

Sembrerà strano –dice l’autore– ma questa vicenda l’ho sognata; pertanto essa è frutto di fantasia. Ogni riferimento a luoghi, persone o fatti reali è puramente casuale”. Secondo me questa vicenda l’autore l’ha in parte vissuta e sicuramente la citazione di luoghi, persone e fatti rappresentano la realtà che viviamo ogni giorno nell’inferno di questa cosiddetta civiltà che non ha più nulla delle antiche civiltà italiche, Purtroppo.

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