ALIBERTI: roba da non credere, è di nuovo in carcere per colpa di una lettera e di un cellulare soltanto agognati

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Aldo Bianchini

SCAFATI – So benissimo che con questo scritto rischio seriamente di finire nell’assoluta “non credibilità”, cosa che per un giornalista è assai rischiosa; ma il rischio fa parte del mestiere ed io rischio pur sapendo di accingermi a difendere l’indifendibile.

            Si, perché l’ex sindaco di Scafati Pasquale Aliberti ce la sta mettendo tutta per  violare le regole del gioco e, conseguentemente, farsi massacrare da  quel sistema giudiziario che, a volte, appare non solo inquietante ma anche inaccettabile; ma le regole ci sono, sono fatte così e bisogna rispettarle. Piuttosto ciò che mi inquieta è la loro applicazione e/o applicabilità che rimane pur sempre nelle mani degli uomini, i quali a torto o a ragione l utilizzano a loro piacimento senza mai, comunque, oltrepassare i limiti del consentito.

            Tutto in regola, dunque, ma Pasquale Aliberti per una cavolata è finito di nuovo dietro le sbarre, reo di aver comunicato con il fratello ed alcuni amici scrivendo loro delle lettere dalla posizione di arresti domiciliari a Roccaraso. Secondo l’accusa a far da “trasportatore dei manoscritti” sarebbe stato il padre dell’ex sindaco scafatese (che, insieme alla madre dello stesso Aliberti, era l’unico che poteva avere contatti diretti coabitando insieme al figlio nella casa a Roccaraso).

            Ha violato la legge e deve pagare, solo questo il commento superficiale che si può fare dopo la notizia del nuovo arresto in carcere a Sulmona per Aliberti; una vicenda che, a questo punto, è doveroso dire sta assumendo i caratteri cafkiani (paradossali ed angoscianti) di una storia assurda ed ai limiti della credibilità oggettiva. Sembra difatti che la Procura di Salerno abbia concentrato tutte le sue energie per controllare minuto dopo minuto il suo carcerato eccellente senza badare, forse, alla posizione delle tante altre decine di detenuti gestiti dalla Procura nostrana. Un pò la stessa cosa (già l’ho scritto) che è accaduta e sta accadendo per Fabrizio Corona ad opera della Procura di Milano con molte supposizioni di reato e pochissime prove conclamate.

            Per Aliberti il caso è ancora più sconcertante; difatti sembra che nelle mani della Procura non ci sia alcuna traccia delle lettere ma soltanto qualche intercettazione telefonica nella autovettura del fratello dalle quali si desumerebbe l’esistenza o solo l’intenzione di materializzare dette missive; così come l’incerta materializzazione di un cellulare cosiddetto “pulito”. Potrebbe, dunque, essere dimostrato dall’attenta difesa che probabilmente c’era solo l’intenzione di inviare lettere o il desiderio di ottenere un cellulare e che le stesse e o stesso non siano mai stati con segnati e/o passati al padre per il fratello Nello ed alcuni amici e dal fratello per lui.

            Però, direbbe qualcuno, l’intenzione c’era e come di inviare lettere e di possedere un cellulare e violare così la rigida posizione di arresti domiciliari; ed è per questo pensiero che, come risulterebbe al momento, Aliberti è stato nuovamente destinato al carcere dietro le sbarre.

            Che Pasquale Aliberti ha sbagliato, anche solo nel dire che avrebbe voluto trasmettere degli scritti, è un fatto conclamato; che Aliberti ce la stia mettendo tutta per irretire e irritare gli inquirenti è altrettanto vero; e che gli inquirenti applicano alla lettera la gestione delle regole è avvalorato dal provvedimento di carcerazione firmato anche dal Gip.

            Tutto concluso, quindi; niente affatto, la vicenda di Pasquale Aliberti è solo all’inizio e lui non ha capito una cosa fondamentale; in questo momento della sua vita è un’incudine su cui tutti battono i loro colpi (chi per rispetto della legge e chi in maniera arrogante e proditoria) con accuse certe, imputazioni stravaganti, presunto rispetto delle regole e mancanza di senso di umanità che la giustizia sicuramente non può avere in dote ma che può gestire meglio. Soltanto Pasquale Aliberti può gestire, dall’interno della sua coscienza, questo momento difficile che comunque avrà una sua conclusione; se non lo farà rischierà di pagarla molto più cara e molto più a lungo del dovuto.

            Dico questo perché sono convinto che al di là dell’imputato Aliberti ci sia soprattutto un uomo che, piaccia o no, deve essere tutelato, anche al di là dei suoi marchiani errori; difatti avere la possibilità che la giustizia gli ha dato di vivere con i suoi genitori non vuol dire che la Procura non si allerti per controllare i movimenti degli stessi genitori ed intercettare ogni loro conversaziome per scoprire un reato che sa tanto di infantilismo acuto. Ecco perché la giustizia, prima di provvedimenti severi e forse eccessivi, dovrebbe tener conto anche di questa palese circostanza.

            Aliberti, però, deve capire una volta per tutte che ci sono tanti altri modi per protestare giustamente la sua innocenza senza violare le regole; anche perché è arcinoto che la giustizia, come nel caso Corona, non vede – non sente e non parla e si attiene, spesso, cinicamente alle regole.

 

 

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