GIUSTIZIA: quando i procuratori smettono la toga !!

Aldo Bianchini
SALERNO – Molto clamore e stupore ha suscitato il caso dell’ex procuratore capo di Salerno ed ex Procuratore Nazionale Antimafia, Franco Roberti, che appena poco tempo dopo aver smesso la toga (cioè appena dopo essere andato in pensione) ha accettato l’offerta di ricoprire il ruolo politico di “assessore regionale alla sicurezza” che gli era stato offerto dal governatore della Campania Vincenzo De Luca.
Un titolo, su tutti, mi ha colpito; a farlo è stato “Le Cronache di Salerno” (diretto da Tommaso D’Angelo) che in data 30 maggio 2018 ha scritto: “Roberti assessore regionale, è bufera – Caso Crescent ancora aperto, rinunci – L’ex Procuratore chiamato da De Luca a santa Lucia. Caldoro e Celano incalzano: Nomina inopportuna”.
Di per se il titolo sintetizza pienamente l’incresciosa vicenda che non lascia margini di discussione o, peggio, di giustificazione in quanto tutte le indagini preliminari che hanno portato a processo De Luca più altri per la vicenda Crescent sono state condotte dai sostituti di Roberti durante l’espletamento del suo mandato.
A scusante del magistrato va, comunque, chiarito che l’autonomia e l’indipendenza più volte sbandierata dai “sostituti porocuratori”, anche rispetto al capo della Procura, dovrebbe da sola metterci al sicuro da presunte combine ed inattesi mercimoni tra la parte politica e quella giudiziaria, soprattutto se le vicende coinvolgono quelli che sono stati i punti apicali del sistema giustizia; e Roberti certamente lo è stato per l’altissimo ruolo di “Procuratore nazionale antimafia” ricoperto molto dignitosamente per alcuni anni.
Del resto se l’ex procuratore Franco Roberti non ha avvertito la necessità di dimettersi o addirittura di respingere l’invito vuol dire che buona parte del suo convincimento è basato sulla condizione presunta di autonomia e indipendenza dei singoli magistrati; non si spiega altrimenti il caso che, ripeto, ha clamorosamente stupito tutti.
Dalla parte pubblica, cioè dell’osservatore esterno come può e deve essere un giornalista (per ricorrere sempre al popolo dei cittadini), emerge con tutta la sua forza una considerazione di carattere etico-comportamentale grossa come una montagna e in forza della quale l’ex magistrato Franco Roberti avrebbe dovuto avvertire la necessità di respingere quella che sostanzialmente è una offerta politica (se vogliamo anche abbastanza intelligente) che la gente potrebbe interpretare come una sorta di benemerenza concessa all’ex procuratore.
Ma la stampa, naturalmente, dopo le prime paginate si è subito calmata e nessuno ne parla più; neppure nel tentativo di rifare la storia dichiaratamente provata di questi ultimi decenni (da tangentopoli in poi) nel corso dei quali non sono mancati casi clamorosi di magistrati pensionati che vengono subito immessi in ruoli chiave della gestione della cosa pubblica; per tutti ricordo gli ultimissimi casi riguardanti gli ex magistrati Alfredo Greco e Claudio Tringali.
Ma il caso che più di tutti è passato in sordina pur essendo, forse, il più clamoroso è quello di Domenico Santacroce (procuratore capo di Sala Consilina e prima giudice istruttore a Salerno) che dopo aver smesso la toga ritornò subito nelle aule di giustizia nelle vesti di avvocato. Per chi non ricorda, Santacroce, è stato l’uomo e il magistrato che ha dato il via alla tangentopoli salernitana, che l’ha organizzata nei minimi dettagli lasciando poi la fase prettamente esecutiva ai pm Michelangelo Russo, Vito Di Nicola, Luigi D’Alessio e Antonio Scarpa pur mantenendo sempre un rigido e stretto controllo (da supervisore) delle indagini preliminari che mano a mano si sviluppavano in tutta la provincia di Salerno. Il suo capolavoro fu l’attivazione di alcune microspie che l’imprenditore Vincenzo Ritonnaro portava a spasso sul sua corpo per incastrare politici e imprenditori che traccheggiavano con presunte mazzette. Quell’episodio rimane ancora oggi come il punto di partenza per la tecnologizzazione delle indagini tradizonali, anche in campo nazionale.
Parlo, quindi, di un magistrato di alto profilo professionale che era stato precedentemente impegnato in una guerra serrata contro il sistema di potere del PSI ed era andato alla ricerca dei presunti rapporti tra la camorra di Raffaele Cutolo e i massimi esponenti socialisti dell’intera provincia. Ebbene Domenico Santacroce superò anche i confini imposti dall’autonomia e indipendenza proclamata e pretestata dai PM e assunse la difesa di tal Biagio Maceri, colpevole di accertate inadempienze in materia di sicurezza sul lavoro, a causa delle quali in un materassificio di Montesano sulla Marcellana morirono due giovani donne. E nella sua azione difensiva riuscì anche a dimostrare, contro la sua ex Procura, che l’incendio del secondo materassificio non era imputabile al Maceri in quanto era di proprietà della moglie.
La clamorosità di quello che dico sta nel fatto che una buona parte delle indagini giudiziarie furono svolte dallo stesso Santacroce quando era ancora procuratore capo a Sala Consilina prima ancora, o in costanza delle indagini svolte dal sostituto Carmine Rinaldi.
Non ci si può e non ci si deve, dunque, meravigliare più di tanto se Franco Roberti ha saltato il fosso ed è passato nella trincea della politica che, per il ruolo svolto, aveva sempre cercato di combattere; anche se sarebbe auspicabile che una volta smessa la toga un magistrato diventi un semplice spettatore dei fatti e mai protagonista a ruoli invertiti.

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