Barbara D’Alto: “Quando ti metterai in viaggio” e … la bellezza eterea dello scrivere

 

Aldo Bianchini

MONTE S. GIACOMO (SA) – “Quando ti metterai in viaggio” (Edisud Salerno) di Barbara D’Alto è un libro, si un libro e non un romanzo, che consente al viaggio di fare cultura ed alla cultura di rappresentare sempre un viaggio infinito, entrambi alla continua ricerca di qualcosa che tutti probabilmente conosciamo e che tutti non riusciamo palpabilmente a riconoscere. E’ proprio come Itaca, l’isola di Ulisse, che neppure lo stesso eroe omerico ha mai più riconosciuto dopo i dieci anni di guerra pur avendola, forse, rivista materialmente grazie a qualche barlume di visione eterea, quasi come una nuvola appesa nel libro dei ricordi o delle speranze … da Ulisse alla D’Alto, passando per Itaca, a dimostrazione che nei 3200 anni da quei fatti mitologici niente è, comunque, cambiato e l’uomo vive con le speranze, le certezze, e i dubbi di sempre.

Insomma, come dire, quest’ultimo lavoro letterario della D’Alto è, a mio personale avviso, non un libro di raccontini ma “il libro della vita”; la vita di tutti e di nessuno perché il libro sfugge ad una classificazione certa e precisa per proiettarsi, e proiettare il lettore, in un mondo quasi indefinito e indefinibile anche se raccontato con episodi singoli e particolari che possono reincarnare fatti e circostanze della vita che noi tutti viviamo.

Da qui la bellezza eterea della scrittura di Barbara D’Alto; una scrittura semplice, scorrevole, gradevole, intricante e affascinante al tempo stesso, che ti entra dentro per farti viaggiare all’infinito alla ricerca di quell’isola, Itaca, che sicuramente non c’è ma che rappresenta, comunque, la perfetta sintesi tra la speranza e la certezza nel regno immaginario del racconto che si pone a cavallo tra l’io e l’essere (come dice la stessa autrice).

Posso sbagliarmi, sicuramente mi sbaglio, ma tutto il libro della D’Alto e le varie storie raccontate trovano la loro naturale sedimentazione nel capitolo “Soldato semplice Ungaretti” che al lettore distratto può apparire come un raccontino di riempimento di un lungo viaggio, ma che al lettore più attento si manifesta come la sintesi perfetta della vita, dei sogni, delle speranze, della memoria, della nebbia, insomma di tutto; pur facendoti capire che c’è sempre un’altra sponda di tutto alla fine di un viaggio infinito. In pratica il racconto su Giuseppe Ungaretti (giovane trentenne soldato semplice della Grande Guerra e poi immenso poeta-scrittore) altro non è se non la trasposizione in chiave moderna e globale delle opportunità (per non dire occasioni) che accompagnano il nostro viaggio infinito nella vita e che nella quasi totalità non riusciamo a cogliere in tempo e per tempo.

Non sono un critico d’arte o letterario e neppure un letterato, l’ho scritto più volte e lo ripeto oggi; credo però di aver colto l’essenza del messaggio che la scrittrice Barbara D’Alto ha inteso inviare alla comunità che la circonda e che lei da sempre ha cercato se non di cambiare almeno di incanalare verso una modernizzazione sia sul piano culturale che su quello squisitamente relazione affrontando e scardinando tutti quei tabù che tuttora caratterizzano diverse altre comunità del Vallo di Diano, della Provincia di Salerno, e non solo. In questo la D’Alto è stata superbamente all’altezza del ruolo di “prima genitrice” che lei stessa si era ritagliato tanti anni fa, quando ancora piccolissima era arrivata a Monte San Giacomo al seguito del papà ufficiale dell’esercito e della mamma ostetrica dall’allora lontanissima e per molti versi misteriosa Albania. La D’Alto con la sua cultura soffice come la neve e decisa come la speranza ha rappresentato, per Monte San Giacomo e per tutte le comunità valdianesi, il punto di svolta generazionale che ha segnato il passaggio da una civiltà prettamente rurale in una più al passo con i tempi e con la modernità della globalizzazione. Cosa che, ad esempio, non hanno saputo o voluto fare le cosiddette “famiglie e casate” pur presenti nel tessuto sociale locale del lungo periodo del secondo dopo guerra. Non a caso, e non per caso, qualche anno fa commentando una delle sue opere letterarie “Le notti del carrubo lunato” ebbi modo di definire la scrittrice “donna Barbara” per accostarla al personaggio del suo romanzo che si chiamava “donna Almerina” in quanto come lei aveva combattuto e vinto tutti i pregiudizi per raccontarsi tra sogni, rimpianti, invenzioni e realtà. Ecco perché è abbastanza facile affermare che, dall’alto della sua libertà, della sua classe e della sua cultura, Barbara D’Alto è senza alcun dubbio la primogenitrice di un nuovo modo di pensare, agire e perché no anche di sognare.

Mi ha fatto piacere che proprio da qui, da quello che ho appena scritto, sia partito l’attento sindaco di Monte San Giacomo, arch. Raffaele Accetta, quando nella sua prolusione dell’evento ha descritto la dirigente scolastica Barbara D’Alto come la vera capostipite e creatrice di un nuovo modo di essere “famiglia di prima grandezza” anche senza l’antico ed incomprensibile “don” che ha caratterizzato lunghissimi spazi temporali in un odioso sistema borghese che è, comunque, duro a morire. E lui, Accetta, da socialista riformista qual è non poteva dire altrimenti.

La signora Barbara D’Alto, dunque, ha saputo fare anche questo nell’ambito di un “viaggio infinito” di vita, tenendo sempre ben presente che per cambiare la storia di intere comunità (come è riuscita a fare Lei !!) è meglio essere orgogliosi delle pagine lette piuttosto che di quelle scritte (non a caso nella prima di copertina è stato inserito una massima di Jorge Luis Berges); un viaggio iniziato alcuni anni fa e che si annuncia ancora tanto lungo.

La presentazione pubblica del libro è stata celebrata la sera del 10 novembre scorso nei saloni di Palazzo Marone con il contributo del prof. Carmine Pinto (nella qualità di moderatore) e con le relazioni di altri due prof dell’Università di Salerno “Rosa Giulio e Alberto Granese”.

Un avvenimento sicuramente importante e di alto spessore culturale che la stampa locale (eccezion fatta per Uno Tv tramite la giornalista Rosa Romano che è riuscita ad andare un po’ oltre la sterile cronaca) non ha saputo esaltare nei modi e nei tempi giusti, consoni per un appuntamento che doveva scrivere una pagina rilevante nella storia culturale dell’intero Vallo di Diano.

In chiusura non posso non esplorare anche il titolo del libro. “Quando ti metterai in viaggio” è la considerazione, quasi dolorosa per una donna di cultura, su uno stato di fatto che registra una inerzia totale (parlo della comunità valdianese, e non solo) ma è anche una domanda ed un preciso stimolo rivolto a tutti: gente comune e addetti ai lavori. Domanda e stimolo che richiamano alla mente tanti “Capitani Coraggiosi”  in relazione a “Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze … Sempre devi avere in mente Itaca – raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni (Kostantinos Kavafis)”.

E il viaggio di Barbara D’Alto è appena iniziato.

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