GIORNALISMO: “La mia libertà finisce dove inizia la libertà dell’altro”: quale limite alla libertà di stampa?

di Manuel Moliterno

NOC. INF. – Tutti sono concordi nel sostenere che la libertà di stampa sia un diritto fondamentale del cittadino, dell’essere umano. È un principale diritto in uno Stato di diritto, in una società democratica. Oggi, la libertà di stampa è tutelata nella maggior parte dei Paesi del mondo, ovviamente rigorosamente enucleando questo fondamentale diritto in fonti di diritto positivo, prima di tutto le Costituzioni, poi le fonti sovranazionali, come la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nell’ordinamento giuridico italiano, la libertà di stampa è enucleata all’articolo 21 della Costituzione della Repubblica Italiana del 1948.

E’ ormai chiaro che, dunque, nelle contemporanee società democratiche-occidentali i mass media, la stampa, hanno assunto un ruolo rilevante nell’esplicarsi della società civile, nell’orientare l’opinione dei consociati.

Addirittura, tempo fa, in una teoria dottrinale di carattere sociologico la stampa venne inquadrata come un ipotetico “Quarto potere” di uno Stato democratico, aggiungendolo ai tre poteri teorizzati dal filosofo Montesquieu. Appunto, durante l’epoca degli assolutismi monarchici in cui prevaleva la legge divina del re, la libertà di espressione venne ritenuta dai liberali un diritto fondamentale dell’individuo, addirittura una legge naturale.

Nessuno intende porre in atto un proselitismo di repressione della libertà di stampa, come accadde, ad esempio, nella Russia sovietica, o come in altri casi nella storia del medesimo periodo storico. Ed è proprio ciò che viene riprodotto dal celebre George Orwell nel romanzo “1984”: la repressione della libertà di pensiero, di parola, di opinione, di stampa.

Nulla di tutto questo dovrebbe mai tornare, però i mass media, essendo nella sostanza un “Quarto Potere”, dovrebbero essere consapevoli che, volente o nolente, dal punto di vista psicologico la loro propaganda risuona come un martello pneumatico nella memoria collettiva. Soprattutto quando i giornalisti d’inchiesta si occupano di cronaca giudiziaria o giornalismo investigativo, quando in ballo ci sono processi penali delicati che coinvolgono vite umane: i giornalisti in tal caso dovrebbero limitarsi a riportare solo fedelmente la cronaca obiettiva, senza assumere posizioni spiccatamente di parte. Questo perchè il giudizio è rimesso sicuramente ad altissime persone qualificate e professionali, ovvero i magistrati: solo a loro è rimesso l’arduo compito di emettere la sentenza. Basti pensare che invece negli Stati Uniti d’America la giuria popolare per tutta la durata del processo viene tenuta isolata da tutte le possibili influenze esterne. L’impressione è che invece ultimamente la stampa, il Quarto potere, stia prendendo il posto del Terzo potere dello Stato, quello giudiziario. Capita sovente che un’inchiesta giudiziaria sia attivata su “sollecitazione indiretta” di un articolo di giornale, di un servizio televisivo, di un’inchiesta giornalistica, quando invece la magistratura dovrebbe essere in prima linea.

Se un giornalista d’inchiesta ha acquisito una c.d. “notitia criminis”, allora prima di pubblicare sugli organi di informazione il proprio servizio dovrebbe presentarsi davanti all’Autorità Giudiziaria ad esporre quanto ha scoperto. In più, troppo spesso capita che notizie che dovrebbero restare coperte dal segreto istruttorio, come l’imminente arresto di un indagato, elementi probatori, aperture di fascicoli, lo sappiano prima i media che gli interessati stessi. È accaduto in innumerevoli casi di cronaca nera di rilevanza nazionale, ed è accaduto finanche in un processo penale locale, il processo c.d. “Sarastra”, incardinato davanti al Tribunale di Nocera Inferiore ma le cui indagini sono state condotte e coordinate dalla D.D.A. della Procura di Salerno. Il processo vede imputati Angelo Pasqualino Aliberti, ex sindaco di Scafati, la moglie e attuale consigliere regionale per la Campania Monica Paolino ed altri, accusati di scambio elettorale politico mafioso e, ovviamente, del tutto innocenti fino a sentenza definitiva, come recita espressamente la Costituzione. Negli ultimi giorni, sono apparsi degli articoli alquanto violenti nei confronti del dott. Aliberti, questa volta solo perchè, qualche settimana fa, si recò a Corbara ad una cena tra amici. Sono seguiti post violenti e diffamatori su Facebook di cui si sono resi autori personaggi di fazioni politiche opposte a quella che fu l’amministrazione Aliberti, nonchè articoli di giornale che, allusivamente, cercavano di insinuare addirittura che Aliberti avesse violato le prescrizioni dell’ordinanza del Tribunale di Nocera Inferiore dello scorso 5 dicembre, che nel revocargli gli arresti domiciliari (restituendogli la libertà) gli prescriveva solamente il divieto di dimora nel Comune di Scafati e comuni limitrofi. Circostanza assolutamente falsa: Corbara non è confinante con Scafati e il tragitto che Aliberti ha sostenuto per arrivarci non comprendeva nè Scafati nè una città con essa confinante. Ma la Procura ugualmente ha aperto un fascicolo sul punto, assolutamente legittimo e nel suo pieno potere farlo. Però l’apertura di un fascicolo, almeno nelle prime fasi, dovrebbe quanto meno restare segreta. Ed invece, in maniera alquanto paradossale sono apparsi vari articoli sul quotidiano locale “Metropolis” che annunciavano tale attività investigativa da parte dell’Antimafia di Salerno. Sorge quanto meno il quesito su come abbia fatto l’autore dell’articolo a venire a conoscenza ad una distanza così ravvicinata di questa attività istruttoria. Chi è la sua fonte informativa? Un comunicato stampa? Oltretutto, la vicenda della cena a Corbara è stata strumentalizzata anche dal giornale online “PuntoAgroNews”, che recava come titolo allusivo l’espressione “il video lo inchioda”. Si tratta di un’espressione violenta, perchè lascia intendere che dimostrerebbe la commissione di un reato. Ma quale reato? Il fare karaoke? Inoltre, sia in questo articolo sia in quelli citati di “Metropolis” si vuole continuamente insinuare che l’ex sindaco stia continuando, dietro le quinte, a perpretare proselitismo ed attività politica. Circostanza assolutamente negata più volte privatamente e pubblicamente dallo stesso Aliberti: incontrare esponenti politici o dipendenti comunali non vuol dire fare politica. Anche se è opportuno sottolineare che tra le prescrizioni dell’ordinanza del Tribunale non rientra affatto l’esprimere opinioni di carattere politico o il fare proselitismo in questo campo. Infatti, leggendo gli articoli citati sono ricorrenti frasi del tipo “condizionamento dell’opinione pubblica scafatese”: assunti in realtà a tratti privi di significato. Infatti, per affermare una circostanza del genere sarebbe necessaria una consulenza di un sociologo sui cittadini scafatesi che attesterebbe che sono tutti “ipnotizzati” dalle opinioni dell’ex sindaco. Nulla di tutto questo è mai emerso, per cui affermare una cosa del genere appare come un mero accanimento mediatico, probabilmente anche per motivazioni politiche, accanimento che si serve del dramma umano di una persona che sta tentando in tutti i modi di difendersi nel processo, e solo nel processo. Oltretutto, è opportuno sottolineare che il primo articolo sulla cena di Corbara è stato pubblicato, appunto, da “PuntoAgroNews”, giornale online ove presta servizio proprio una delle principali testimoni e persona offesa del processo Sarastra: la giornalista Valeria Cozzolino, che proprio nella scorsa udienza del 14/01 ha rilasciato la sua testimonianza in merito ad una presunta minaccia di morte di cui si sarebbero resi autori nel 2013 Nello Maurizio Aliberti, fratello dell’ex sindaco, in collaborazione con Gennaro Ridosso, esponente del noto clan camorristico locale. Non si vuole assolutamente insinuare una sorta di incompatibilità nel pubblicare tale articolo con la testimonianza della Cozzolino, però per motivi di opportunità la testata avrebbe potuto quanto meno astenersi dallo scrivere e pubblicare nei confronti di Aliberti. Appare molto suggestivo infine il post che la Cozzolino ha condiviso sul suo profilo Facebook soltanto il giorno dopo la sua testimonianza davanti ai giudici, un manifesto recante la scritta “Non farsi arrestare. Buoni propositi per l’anno nuovo”. Che cosa voleva esprimere l’utente condividendo questo pensiero? È un’allusione agli imputati? Può influire sulla attendibilità della teste? Lo stabiliranno i giudici, anche perchè molto probabilmente la difesa di Aliberti chiederà al Tribunale l’acquizione di tutta questa documentazione.

Ci si chiede, in definitiva, fino a dove possa arrivare la libertà di stampa, se possa ledere a così tanto ampio raggio la libertà e la sfera privata delle persone, nonchè l’immagine delle persone. Dovrebbe essere insito nella natura umana invece prima di tutto il sentimento di “pietas”: il rispetto per un uomo e per la sua famiglia, persone che stanno affrontando dignitosamente un processo a testa alta e si stanno difendendo insieme ai loro legali portando in aula documenti obiettivi, non certo presunzioni o percezioni. Si chiede rispetto per un essere umano che in virtù dello stress causato dalla sua vicenda giudiziaria è stato addirittura costretto a ricorrere a farmaci. L’unica domanda a cui a questo punto la magistratura dovrà rispondere è: “questo uomo ha davvero violato le prescrizioni recandosi alla cena di Corbara?”. Spetta solo al giudice rispondere.

 

 

 

 

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