il Quotidiano di Salerno

direttore: Aldo Bianchini

SANITA’: storia di vita e di morte (atto 5°)

 

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – Con la quinta puntata della storia di vita e di morte, che da qualche mese vado raccontando, ci sono almeno due grosse e positive novità.

La prima consiste nel fatto che finalmente, dopo aver assegnato alla vittima di questa vicenda il nome “Maria” (chiaramente di copertura), sono in grado di fornire le sue generalità complete.

Dunque la protagonista della vicenda si chiamava LUCIA CONFORTI, nata il 13 dicembre 1935 ad Ottati (Sa), residente in vita a Salerno, e deceduta presso l’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona alle ore 13.15 dell’ 11 agosto 2018; era arrivata nella tarda serata del 30 luglio precedente in  pronto soccorso con il 118.

Il marito prof. MARIO SENATORE (docente, scrittore, poeta e giornalista), insieme alla figlia Katia, fin dal primo minuto dopo il decesso della congiunta sta portando avanti una battaglia di grande civiltà che meglio sarebbe definire una “campagna conoscitiva e costruttiva” finalizzata all’eliminazione, nei limiti del possibile, dei materiali errori sanitari. Difatti Mario Senatore non va alla ricerca di vendetta o alla individuazione forzata (ed errata !!) di eventuali responsabilità personali di qualcuno nell’aver presuntivamente contribuito al determinismo della morte della adorata consorte, compagna di una vita e mamma affettuosa. Con la sua campagna intende costruire un futuro migliore per tutti nell’ambito di quella difficilissima disciplina scientifica che risponde al nome di “medicina” e nell’ottica del famoso “giuramento di Ippocrate” su cui ogni medico, almeno in partenza, giura assoluto rispetto per tutta la sua vita professionale; un giuramento che altro non è se non l’altra faccia del grande problema della sanità: il paziente, che sempre mette nelle mani del medico la sua vita, non in senso metaforico ma in senso reale e drammatico al tempo stesso.

La morte di un paziente è sempre in agguato dietro l’angolo e tutti noi, medici – pazienti e familiari, spesso confondiamo l’ineluttabilità della morte con l’eventuale (e tutto da provare) errore sanitario; di sicuro si muore a Salerno così come si muore a Boston in una delle stazioni sanitarie tra le migliori del mondo (nella prima puntata di questa storia ho raccontato cosa accaduto ad una mia nipote in quell’ospedale americano); di sicuro si muore quando il Padre Eterno decide che è arrivato il momento; non è fatalismo il mio ma soltanto la constatazione di una brutale realtà.

Tutto ciò, ovviamente, non sta a significare che nella vicenda di “vita e di morte” della nostra Lucia non ci sia stato un errore sanitario o più semplicemente una mancanza di sensibilità relazionale anche se la paziente era ricoverata nella Torre Cardiologica che è davvero “una struttura di eccellenza” onore e vanto dell’intera comunità scientifica salernitana dell’intero mezzogiorno ed anche oltre. Tutto può accadere, come a Boston così a Salerno. Quello che in sanità non deve mai accadere è l’espressione autoritaria che recita con lucida freddezza “qui si fa cosi, che a lei piaccia o meno”; nel mondo della sanità la parola “autorità” deve essere cancellata e sostituita con “autorevolezza” che è sempre più costruttiva della prima.

Ma Mario Senatore non va alla ricerca, ripeto, di eventuali e forse inesistenti responsabilità personali, intende dare il suo contributo non scientifico al miglioramento dello stato di fatto della sanità pubblica salernitana e non solo. Pur partendo dal dubbio che qualche errore sia stato commesso nell’attuazione del protocollo di cure propinate alla defunta consorte, rendendosi conto di non essere uno specialista scientificamente certificato, Mario si affida alle istituzioni ed al prossimo in cui crede fermamente, dichiarando la propria disponibilità ad accettare qualsiasi responso alle sue recriminazioni,  se utile all’ottimizzazione di quel troppo chiacchierato rapporto “medico – paziente – familiare”.

Del resto Egli stesso racconta nella sua lunghissima relazione (consegnata sia al tribunale dei Diritti del Malato che alla Direzione Sanitaria dell’AOU) di una sanità efficiente ed umana all’interno del Ruggi e cita l’esempio di fulgida professionalità, unita ad una intensa umanità, del dott. Dell’Aquila che in un momento drammatico per la salute di Lucia lo aveva ricevuto, ascoltato, consigliato, dimostrando di essere capace di entrare in sintonia con uno “sconosciuto”, quale Mario era, e di aver capito e fatte sue le preoccupazioni di un marito affranto e disperato. Grande esempio, quello del dr. Dell’Aquila, che traccia l’unica via possibile per un corretto rapporto tra medico – paziente – familiare. A me piace dire sempre la verità, almeno quella che io credo essere la verità, e convintamente affermo (senza conoscerlo) che il medico in quella occasione è stato maggiormente professionale perchè ha ascoltato, capito, consigliato un soggetto particolare come è Mario Senatore che all’apparenza sembra un contestatore nato e che invece è un uomo ben predisposto a distribuire la propria sensibilità a tutto il prossimo dall’alto della sua esigenza intima di parlare lungamente, di coinvolgere il suo interlocutore cercando di catturarne ossessivamente l’attenzione.

Non di meno va, comunque, detto che, a fronte della stragrande maggioranza di medici -  paramedici e personale di servizio che opera sempre attentamente all’interno di tutta la struttura ospedaliera del Ruggi, c’è sempre qualche pecora nera, qualche elemento che andrebbe umanizzato per eliminare anche quella eccezione per confermare ancora di più e meglio la regola.

Con questi presupposti la mattina di lunedì 11 febbraio scorso ho, con piacere, accompagnato l’amico Mario Senatore presso la struttura dell’azienda ospedaliera universitaria (AOU) per un programmato incontro con il direttore sanitario dr. Cosimo Maiorino all’uopo espressamente delegato dal direttore generale dr. Giuseppe Longo.

Faccio sicuramente il giornalista ma sono al contempo una persona assolutamente educata e rispettosa del ruolo degli altri e mi sono fermato nel corridoio della direzione sanitaria mentre Mario si è avviato all’interno dello studio del direttore sanitario; e qui la prima gradita sorpresa, il direttore Maiorino mi ha invitato ad entrare nel suo studio, mostrando già nei tratti somatici del suo viso una assoluta e sincera disponibilità all’ascolto anche in presenza di un terzo come me che con la sanità pubblica ha avuto il giusto rapporto che tutti (alludo ai giornalisti) dovrebbero avere nel raccontare sia le cose che non vanno ma anche nel descrivere ed esaltare quelle cose che meravigliosamente vengono attuate in una struttura, come quella del Ruggi, che da Napoli in giù è la più grossa del meridione. Anche il rapporto giornalista-sanità è un rapporto difficile perché spesso le due parti in causa non riescono a ragionare pacatamente prima di assumere posizioni di supponenza e di cieco ostracismo.

La primissima impressione che ho avuto, mentre in silenzio seguivo il dipanarsi del colloquio tra Maiorino e Senatore, è stata quella di trovarmi innanzitutto al cospetto di un uomo che vestiva i panni del medico e quelli del direttore sanitario di una grande struttura aziendale ospedaliera. Per mestiere a me piace analizzare la controparte, a seguire i suoi movimenti, il suo intercalare, il livello dell’attenzione che pone nell’ascolto, la cortesia nel dialogo e la manifestata umanità; ebbene tutti             questi elementi li ho trovati copiosamente rappresentati nella figura dell’attuale direttore sanitario dell’AOU dr. Cosimo Maiorino e se lo stesso era stato all’uopo delegato devo pensare che anche il direttore generale è fatto della stessa stoffa. Quindi se le cose stanno così, dovremmo tutti stare un po’ più tranquilli perché siamo affidati in buone mani.

Continuavo a riflettere mentre il dialogo incalzante tra il d.s. e Senatore andava avanti ed ho pensato che la tabella del giuramento di Ippocrate è certamente un vademecum scritto e compendiato ottimamente, ma dietro ogni giuramento c’è sempre un uomo (soltanto dopo viene il medico) e se quell’uomo fa il medico per  lo stipendio o per uno status simbol non sarà mai capace di abbracciare la professione che ha a che fare con la vita delle persone.

Qualsiasi esigenza organizzativa, anche condivisibile, non dovrebbe mai evidenziare asprezze caratteriali e modi inurbani di rapportarsi con il prossimo, atteso che quel prossimo è un prossimo molto particolare e praticamente indifeso preso com’è da serie preoccupazioni fisiche e psicologiche. L’ordine, la disciplina, la perfetta organizzazione si ottiene, molto probabilmente, anche con la capacità di ascolto e con un pizzico di saggia umanità; questa si chiama autorevolezza e non autorità.

Per ragioni personali, anni fa, sono stato ricoverato a Roma (reparto del prof. Strambelli) ed anche a Zurigo (reparto prof. Witmer); è vero che erano gli anni 70 ma i codazzi di gente (medici, allievi, infermieri, monache, ecc.) che seguivano il professore nei giri di visite mattutine facevano a cazzotti con il silenzio ovattato dei corridoi del Kantonospital di Zurigo dove il prof. Witmer (assoluto luminare mondiale) spingeva da solo il carrello dei medicinali e non lesinava di sedersi accanto al paziente per spiegargli le cose per bene. Un brutto esempio di autorità (Strambelli) e un fulgido esempio di autorevolezza (Witmer); diversi medici dovrebbero farne tesoro.

Ecco mentre, in maniera educata e intelligente, il dr. Cosimo Maiorino raccoglieva il corposo dossier consegnatogli da Mario Senatore, quelle immagini di tanti anni fa mi sono passate davanti agli occhi ed ho capito che anche qui da noi non tutto è perduto; dipende dagli uomini.

Io e Mario abbiamo lasciato la struttura ospedaliera più sereni, nell’attesa che il dossier venga seriamente e serenamente esaminato per poter avere risposte certe, ravvicinate e convincenti.

2 Commenti

  1. Il rapporto medico-paziente-familiare è di fondamentale importanza per curare bene le persone malate.
    Le malattie colpiscono le persone e spesso i medici non danno la dovuta attenzione a questo rapporto, fondato sulla necessaria fiducia di una persona che si trova in uno stato di bisogno nei confronti della persona chiamata a curare la malattia.
    I medici spesso si concentrano sulle caratteristiche scientifiche delle malattie, dimenticando che di fronte a loro vi è una persona, con le sue sofferenze e con le sue ansie. Secondo me, per fare bene il medico, bisogna contrastare sia le prime che le seconde, altrimenti la persona finirà col sentire aggravate le proprie sofferenze.
    Che dire poi dei familiari del paziente ? Essi quasi sempre condividono le sofferenze del loro congiunto e pertanto anche loro devono essere “attenzionati” e correttamente informati, al fine di attenuare le ansie per la malattia del congiunto, che quasi sempre coinvolgono anche la famiglia. Soprattutto se si tratta di mogli, mariti, figli.
    Di tutto quanto sopra io sono stato sempre convinto nella mia attività professionale ed ho cercato sempre, nel corso della mia attività ospedaliera, di stimolare l’attenzione dei medici ospedalieri su questi temi. Anche il ruolo degli infermieri e quindi il rapporto infermiere paziente è molto importante nella cura della persona malata.
    Ben vengano, quindi, le sagge riflessioni del bravo giornalista Aldo Bianchini, che anche questa volta va oltre la notizia, in modo efficace, estendendo le sue riflessioni anche al delicato rapporto giornalista-sanità.
    Sicuramente i lettori, soprattutto se medici o infermieri, nella vicenda riferita da Bianchini, sapranno cogliere stimoli positivi per una “nuova sanità”, che tenga conto di questi temi. Complimenti !

    • Tutto vero, condivisibile (come, in effetti, condivido) nella riflessione attenta e lodevole del Giornalista.
      La cronaca dell’incontro col Direttore Sanitario ha “schermato” il contenuto della mia relazione -relativamente alla degenza e morte di mia moglie- con riferimento specifico ai vari punti trattati (tutti -e non solo a mio avviso- bisognosi di approfondimento, verifiche ed interventi delle Autorità preposte). Non poteva essere diversamente, né temo che il Direttore Bianchini voglia far decantare la questione. E’ garanzia, in tal senso, il Suo spirito di Giornalista vero, onesto, libero, a vigilare ed a “costringerlo” a non archiviare la vicenda.
      Non è facile svolgere ruoli (tutti i ruoli) in una struttura ospedaliera ed ancora più difficoltoso diventa il lavoro di chi è investito di particolari responsabilità e quindi anch’io -in questo convincimento- ritengo che il Dott. Cosimo Maiorino sia persona degna di grande rispetto e stima, per la Sua sensibilità, per la disponibilità, per la considerazione reale che ha per le problematiche e la sincera volontà di risolverle -ovviamente nei limiti dell’umano-. Anch’io sono fiducioso che leggerà il “dossier” che Gli ho consegnato e dal quale trarrà spunti per intervenire al fine di eliminare -all’interno del nosocomio- tracotanza, strafottenza, superficialità (confinante -a volte- o sovrapponibile alla irresponsabilità), comportamenti irriguardosi di protocolli sanitari e di etica professionale. Sono certo che, in pratica, opererà concretamente a tutto vantaggio della funzione ospedaliera e dell’immagine della nostra struttura.
      Il tutto del mio pensiero su questa fase della vicenda è racchiuso nell’ultima frase di dell’articolo di Aldo Bianchini, laddove scrive: “Io e Mario abbiamo lasciato la struttura ospedaliera più sereni, nell’attesa che il dossier venga seriamente e serenamente esaminato per poter avere risposte certe, ravvicinate e convincenti”.
      Io resto in attesa di risposte che, alla luce dell’incontro avuto, certamente arriveranno, dopo la ponderata lettura e verifica dei fatti rappresentati nella dettagliata relazione consegnata.

      Replico al Dott. Nunzio Antonio Babino.
      Lei, Dottor Babino, conclude il Suo commento con l’espressione di elogio “complimenti”. I COMPLIMENTI, io, li indirizzo innanzitutto a Lei (senza escludere l’ottimo Direttore della Testata). Lei ha espresso con poche parole il mio sentire profondo che, -nella vicenda raccontata- ha cozzato in più occasioni con l’assenza totale dei principi che animano Lei MEDICO. Sono convinto che intorno a noi si muovano ed operino tante persone perbene, ma sono del parere che in ospedale non basti pensare che ve ne siano tante: devono essere TUTTE persone speciali altrimenti è una diga con falle . Chi non lo è (o non si comporta in tutto e per tutto come tale) se ne vada o che venga allontanato.
      Grazie di avere dato questa positiva testimonianza che dà vigore alla speranza.
      Le allego una “riflessione” in versi sulla figura del Medico ospedaliero. Ne faccia l’uso che vuole. Auguri di buon lavoro.
      UOMO CHE PASSI
      Un accorato e sommesso invito rivolto al medico ospedaliero affinché ritrovi la sua vera dimensione di Uomo, Scienziato, Missionario. Dimensione, spesso, smarrita per distrazione ed assuefazione oppure accantonata per una sorta di autodifesa.

      Uomo che passi,
      posa il tuo guardo
      sull’Uomo che giace….
      Non vedi i suoi occhi
      che fissano i tuoi
      e in essi frugano speme di vita?
      Non vedi il fratello
      che cerca il fratello
      e da lui si aspetta amore e calore?

      Gigante gli appari
      nel camice bianco…
      Fiducia gli dai
      col tuo volto sereno…

      Di Dio sei Angelo
      in terra venuto
      a piangere, gioire ed amare …!

      Mario Senatore

      Dal libro di poesie “Gocce di Cielo” dello stesso Autore.

      - Uomo-giace : Un invito al luminare, al dotto, perché si liberi di quell’alone che lo circonda nel mentre si muove tra i malati e non appaia come un Dio che fluttua nei cieli al di sopra delle nuvole. Un invito a ritornare uomo al cospetto di uomini. Un uomo che, lungo il suo andare, si fermi accanto all’uomo caduto, sofferente, malato e lo aiuti, gli parli, lo curi, lo sostenga.

      - Non vedi-calor? : Forse l’abitudine (terribile e subdola malattia anch’essa) o forse la paura di soffrire a tua volta di fronte a così tanta tribolazione, non ti fanno accorgere di come il malato cerchi, in maniera spasmodica, di raggiungerti con gli occhi e scrutare nel tuo sguardo alla ricerca di un segno di speranza di guarigione o, al limite, della solidarietà, dell’affetto, del calore, dell’abbraccio del fratello.

      - Gigante-sereno : Tu, medico, chirurgo, specialista, appari al degente come un gigante: forte, immenso, imbattibile. L’ultimo, strenuo difensore della sua vita. Se il tuo volto si veste di serenità, egli si acquieta fiducioso perché sente che accanto ha un uomo che è anche fratello e che nulla egli trascurerà pur di aiutarlo.

      - Di Dio-amar : Il malato ti vede come un Angelo del Signore, depositario delle ultime possibilità di salvarlo oppure ti sente (o ha bisogno di sentirti tale) uomo e fratello e, in questa dimensione, simile a lui e vicino a lui al punto, come lui, di soffrire per una “sconfitta”, di gioire per un successo e di stringerlo, in ogni caso, a te.

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