Don NUNZIO: Il caso visto da Memoli, la verità senza le ombre … il sacerdote verso il laicato nel silenzio della Chiesa ?

 

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – Mi verrebbe subito da dire “quale verità è senza ombre ?”, nessuna; almeno di non credere in una verità assoluta che non esiste e che non è mai esistita neppure nell’azione terrena di Cristo.

Potrei, quindi, piantarla qui per quanto riguarda l’accostamento tra la “verità senza ombre” e la posizione giudiziaria di “don Nunzio Scarano” il sacerdote banchiere; ma a fare questo accostamento non è stato uno qualsiasi sulle pagine di “le Cronache”, bensì l’avvocato Salvatore Memoli che è (può piacere o meno !!) uno dei personaggi più in vista della città e della provincia, ed anche oltre. Quando si muove Salvatore Memoli, che non lo fa mai a caso e mai per caso ma si schiera per convinzione assoluta, bisogna riflettere; e se questa è la reale visione della discesa in campo di Memoli a difesa di “don Nunzio” (è già il terzo intervento pubblico in pochi giorni: 26 marzo – 2 e 9 aprile) vuol dire che il caso giudiziario che travolge e affligge il sacerdote da diversi anni è molto più complicato di quanto appare e che necessita, quindi, sfrondarlo dalle ombre per la ricerca della verità.

L’intervento a gamba tesa di Salvatore Memoli (che da questa storia non ha nulla da guadagnare) merita, dunque, alcune riflessioni che non possono non partire da quella che lui stesso lancia come una domanda: “Che cosa ha scatenato una violenta repressione per questo sacerdote ?, sarà oggetto di indagini future ?, perché il suo ruolo e la sua posizione hanno interessato e preoccupato la giustizia italiana, tanto da considerarlo un indagato eccellente?”.

La risposta, anzi le risposte, cono complesse e complicate come la domanda; nella sostanza don Nunzio è divenuto, suo malgrado, un elemento di rottura perché con la sua visione del problema ha aperto una faglia insanabile nei gangli più misteriosi di due sistemi di potere (religioso e civile) ed ha provocato una reazione che, pur apparendo fuori dal comune e molto forzata, potrebbe anche essere vista come una sorta di “legittima difesa” nei confronti di un soggetto che, forse, ha cercato di fare soltanto il suo dovere per rimettere in sesto e nei giusti binari le pesanti deviazioni finanziarie della Chiesa Cattolica che, non bisogna dimenticare, si innestano direttamente con le deviazioni molto pericolose del sistema civile.

Insomma il sistema oltre Tevere rischiava di entrare pesantemente in collisione con quello al di qua del Tevere. E questo non poteva e non può assolutamente accadere, significherebbe ritornare ai tempi bui di Paul Marcinkus, di Roberto Calvi, di Michele Sindona, di Giorgio Ambrosoli, di prelati di alto rango ma affaristi, di confusioni e ambiguità (per non dire degli atteggiamenti poco umani del vescovo Moretti che lo ha tenuto sempre a debita distanza peggio di un appestato), di clamorosi silenzi della Chiesa, ed infine di un impossibile ritorno di una figura simile a quella di Giulio Andreotti che rimarrà nella nostra storia come “l’ombra più ombra di tutte le ombre”.

Le dichiarazioni di Ettore Gotti Tedeschi (già presidente dello IOR dal 2009 al 2012), evocate da Salvatore Memoli, sono assolutamente eufemistiche; in Vaticano non è che possono arrivare ad uccidere, in Vaticano si uccide e si è ucciso anche a pochi metri dalla stanza del Papa; non facciamo finta di non ricordare i fatti clamorosi accaduti sotto il papato di Woithila; fatti, misfatti e misteri che non a caso e non per caso hanno dato agli scrittori Dan Brown e Gianluigi Nuzzi la possibilità di scrivere cose incredibili ed al tempo stesso terrificanti ed affascinanti sulle mille storie del Vaticano. Storie che, badate bene, hanno sempre e comunque avuto un aggancio con la giustizia italiana, pronta a supportare le esigenze del Vaticano per garantire la sua stessa sopravvivenza.

L’entità inesplorata (sconosciuta anche a Brown e Nuzzi) di chi dirige e muove le pedine su questa scacchiera intricatissima ha, secondo me, impartito l’ordine perentorio: “Eliminate don Nunzio Scarano”, innanzitutto annientandolo sul piano spirituale e della credibilità pubblica, poi sul piano giudiziario, e ancora riducendolo allo stato laicale; e se tutto questo non dovesse essere sufficiente … si vedrà.

Al momento potremmo già essere alla terza soluzione; difatti in questi ultimi mesi è circolata la notizia della possibile ed imminente riduzione allo stato laicale del sacerdote che, esperto di finanza, con grande impegno stava rimettendo al posto giusto le cose del Vaticano esplorando, da tecnico, i vari meccanismi finanziari perversi intrecciati tra i due sistemi di potere.

Sicuramente in mezzo a tutto questo desolante quadro si sarà innestata, crescendo, la presunzione di don Nunzio di poter assumere lui stesso il ruolo di regista di un’operazione politico-finanziario-religiosa che andava e va ben oltre i suoi limiti umani e professionali.

Tutto questo è avvalorato dalla rivelazione fatta da Memoli nel suo approfondimento ed inerente l’inquietante visita in carcere che don Nunzio avrebbe ricevuto da parte di un misterioso (per noi !!) personaggio alla ricerca di chissà quali documenti talmente compromettenti per il Vaticano da indurre ad un’azione così rischiosa di compromissione tra i due poteri prima descritti.

Cosa resta da fare nell’immediato futuro da parte di don Nunzio Scarano ?

Per prima cosa dovrà battersi come un leone per dimostrare la sua totale e/o parziale estraneità ai fatti che la giustizia italiana gli contesta; poi, se vorrà, dovrà decidersi a parlare sempre che abbia qualcosa di interessante da dire, prima che venga ulteriormente “stracciato” dalla furia distruttiva e iconoclasta dei due sistemi di potere che prima di implodere cercano sempre di salvarsi, a costo di tutto e in danno di tutti.

Infine, per correttezza deontologica, ritengo giusto e doveroso pubblicare anche su questo giornale il testo integrale dell’approfondimento dell’avvocato Salvatore Memoli (testo già pubblicato dal quotidiano “le Cronache” in data 2 aprile 2019 e dal quale ho estratto alcuni elementi per la mia riflessione):

  • É un risultato importante reprimere i reati ed accertare la verità, sempre ed in ogni caso. Ci sono casi in cui l’obiettivo di fare luce su intuizioni investigative semina il percorso di ombre ed altera massivamente i propositi di tutela dei principi e dei diritti della persona umana. Tale é per don Nunzio Scarano la sua vicenda processuale che ha registrato per lui il carcere violento e una fase di controlli di polizia da far ipotizzare i fini persecutori. In carcere non andò come la maggior parte dei detenuti in attesa di giudizio. Fu subito messo in isolamento e, per quanto strano possa sembrare, si ritrovò pieno di lividi e tumefatto, con conati violenti di sangue. In più il suo arresto domiciliare ha registrato quasi un migliaio di accessi di controllo che non sono stati visite di cortesia. Che cosa ha scatenato una violenta repressione per questo sacerdote, sarà oggetto di indagini future. Perché il suo ruolo e la sua posizione hanno interessato e preoccupato la giustizia italiana, tanto da considerarlo un indagato eccellente? La condotta delittuosa presunta di Scarano investe sue attività  dentro le mura del Vaticano, si sono dovute ricercare fatti connessi o collegati, per legittimare l’azione processuale. Quando tutto sarà chiaro e nel caso migliore si riconoscerà che Scarano non ha commesso nessun reato o che  forse avrebbe partecipato ad un tentativo di rientro di capitali, si dovrà riconoscere che questa attività non si è mai realizzata e che, quindi, non si è verificato nessun elemento che lo inchioda ad una responsabilità individuale, si conoscerà la portata reale delle ipotesi che hanno condannato, ancor prima di giudicare, l’uomo e il sacerdote. Per me non è questa la « colpa » di Scarano, sarebbe interessante conoscere, i suoi rapporti poco in sintonia con i vertici dell’Amministrazione del Patrimonio. È un fatto acclarato che don Scarano abbia più volte criticato importanti scelte e documentata una gestione, dei patrimoni della Chiesa, fatta con disinvoltura. Le sue colpe sarebbero esattamente dei meriti non riconosciuti, nei processi in corso, che danno consistenza all’idea di in un contesto lavorativo fortemente degradato, per cui, sugli stessi fatti, assistiamo (in questi mesi)  alla censura del Papa, per i responsabili. Il suo allontanamento era nell’aria, ancor prima dell’arrivo di Papa Francesco, e non si è escluso nemmeno un “promoveatur ut amoveatur”. Strane logiche con le quali si risolvono difficoltà contingenti.Quando non è possibile, si organizza una strana macchina del fango che mina la credibilità. Si è indagato molto su questa organizzazione tacita che lega i potenti del Vaticano. È solo di queste ore un importante articolo di David Rossi che riprende le dichiarazioni del Presidente dello IOR, Gotti Tedeschi, che « in Vaticano possono arrivare persino ad uccidere ». Per essi non si ipotizza un associazionismo a delinquere, sarebbe troppo stridente con le posizioni religiose.  Don Scarano, per le sue posizioni, aveva turbato gli animi di alcuni autorevoli prelati e non solo. Dargli una lezione, ridimensionarlo, estrometterlo da quegli ambienti, sarà stato un risultato da festeggiare con calici di vino pregiato. Peccato che a giudicarlo ( con pieno diritto) sia la giustizia italiana che non può entrare nelle cose del Vaticano. Scarano resta l’unico imputato! La giustizia deve fare il suo corso, deve condannare i colpevoli ma sempre ha il dovere di scavare nelle vicende umane e porsi degli interrogativi per conoscere che cosa c’é dietro le condotte ritenute non regolari. Nel caso Scarano manca ancora tutto questo, manca una garanzia perché la verità sia detta liberamente e in tempi brevi, perché produca effetti auspicabili di correzione di gestioni scellerate. Ovviamente non è soltanto una ricerca della verità che manca. La lungaggine del processo diventa essa stessa una condanna e consente di tenere l’indagato lontano dal suo posto di lavoro in Vaticano. Cui prodest? È mancata, soprattutto e con scandalo, la carità nella ricerca della verità. In questa vicenda è stata assente l’umana solidarietà dei confratelli e dei superiori. I fatti registrano che quando qualcuno di essi è entrato in carcere, non si è preoccupato di trovare un uomo morente, sanguinante, paralizzato dal dolore. Quell’eccellente visitatore era preoccupato di avere “quelle carte del Vaticano”, ritenute  in possesso del detenuto e che preoccupavano evidentemente qualcuno. Quel carcere dovrà essere considerato luogo di un duplice martirio. Sarebbe interessante capire se é stato utile per i giudizi in corso oppure é stato soltanto conseguenza di un piano molto più sottile e disumano, antefatto determinante e risolutivo di tutti gli interrogativi processuali. Una condizione di dolore che attende riscatto.

 

 

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