Don Nunzio: udienza lampo ma significativa per il processo Scarano … l’arrivo di Riziero Angeletti

 

 

Aldo Bianchini

 

Tribunale di Salerno

SALERNO – Quella di venerdì 21 giugno 2019 è stata un’udienza molto veloce ma verosimilmente molto significativa per l’intera economia del “processo Scarano + altri” che vede alla sbarra una cinquantina di imputati tra i quali in posizione di primo piano Mons. Nunzio Scarano e don Luigi Noli (difesi da Silverio Sica e da Riziero Angeletti), la commercialista Tiziana Cascone (difesa da Carmine Giovine), il notaio Bruno Frauenfelder (difeso da Federico Conte) e Maurizio D’Amico (difeso da Titta Madia) direttamente legato alla famiglia del gruppo degli armatori D’Amico, noti in tutto il mondo.

Pochi minuti di udienza condotta da un collegio diverso da quello titolare (Valiante, Cioffi, Rossi, pm Guarino) che ha sostanzialmente rinviato il tutto all’udienza del 12 luglio prossimo ma che, però, ha messo in evidenza alcuni aspetti particolari dell’impianto processuale che non possono e non devono sfuggire ad una attenta osservazione; tra questi piccoli ma significativi segnali, forse sfuggiti alla distratta platea rumorosa di avvocati, imputati, indagati e semplici spettatori, è venuto alla luce (come da annuncio in aula da parte del collegio che ha sostituito quello originale) che il teste del pm, l’armatore Paolo D’Amico (la cui deposizione era prevista per il 21 giugno), non sarà sentito neppure nell’udienza del 12 luglio prossimo ma in data da stabilirsi presumibilmente alla fine dell’escussione di tutti gli altri testimoni citati dalla pubblica accusa che dai collegi difensivi.

Perché questo cambio nella strategia processuale da parte del Collegio giudicante ?

Mons. Nunzio Scarano e don Luigi Noli

Semplicemente perché (ma è una mia sensazione) il Collegio si è reso probabilmente conto che l’escussione del teste d’accusa in questa fase dibattimentale avrebbe soltanto prodotto un buco nell’acqua ed avrebbe, forse, messo a nudo l’inconsistenza di taluni accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza su indicazione del pubblico ministero Elena Guarino; ovvero gli accertamenti eseguiti in particolare dai finanzieri Acconcia e Sabatella che nel corso dell’udienza del 19 luglio 2018 “balbettarono” risposte inconsistenti alle domande pressanti dell’avv. Silverio Sica (difensore di Mons. Scarano): “Allora, due cose, non sono stati fatti accertamenti bancari sui D’Amico, uno; poi non credo che su un conto corrente, su una distinta o su un modulo di prelevamento, su una cosa venga scritto <denaro proveniente da evasione> o <da reddito non dichiarato>, magari trovassimo…”. A questo punto, visto il tentennamento dei finanzieri intervenne direttamente il presidente Paolo Valiante che chiese “Allora, questi signori D’Amico hanno i loro conti personali in Italia ?” e il teste Acconcia rispose “Sui quali non sono stati fatti accertamenti bancari” e poi in chiusura disse: “Nel momento in cui la Svizzera ci doveva mandare i conti intestati a queste società non ci è stato al momento mandato perché c’è opposizione. Quindi non possiamo avere i conti di queste società” (N.B. Le società sono quelle indicate come “offschore” utilizzate presumibilmente per tutti i passaggi finanziari come in una sorta di scatole cinesi intercomunicanti).

Più che naturale, quindi, la domanda che il collegio si sarà posta in questi lunghi mesi, così come oggi me la pongo io da osservatore: “Ma allora queste prove gravi, precise e concordanti ci sono o sono soltanto il frutto del fumus investigativo che in sede di indagini preliminari può anche andare bene ma che in dibattimento diventano può ritorcersi contro la pubblica accusa a tutto vantaggio ed a dimostrazione dell’innocenza di Mons. Nunzio Scarano ?”.

Per superare questi forti dubbi (che porterebbero dritto dritto all’assoluzione di “don Nunzio” con la rituale formula del “perché il fatto non sussiste”) occorre, dunque del tempo; occorre soprattutto capire se il Pubblico Ministero sarà, nelle more del tempo concesso dal collegio, in grado di produrre nuovi elementi gravi – precisi e concordanti che possano assumere in dibattimento la veste di “prove conclamate”.

Paolo D'Amico - armatore

In buona sostanza dalla veloce udienza del 21 giugno 2019 è apparsa come pienamente confermata la mia ipotesi giornalistica che pone al centro di tutto il processo la figura del teste d’accusa Paolo D’Amico che se venisse utilizzato oggi, stando le incerte e fumose deposizioni dei finanzieri, finirebbe col trovarsi nella posizione di poter soltanto confermare la liceità dei passaggi finanziari estero su estero e porre fine al processo per assoluzione con formula piena, sconfessando clamorosamente il castello accusatorio costruito dalla pubblica accusa. A tal proposito è giusto ricordare che il 12 giugno 2019 scrivevo testualmente:

“”E questa è una posizione che potrebbe andare a tutto vantaggio della difesa, sempre che la stessa riesca ad utilizzare un teste del PM alla stregua di un teste a difesa  o, addirittura, per sovvertire completamente l’impianto accusatorio al fine di renderlo inoffensivo contro l’imputato e molto offensivo per il teste che il PM ha convocato in maniera alquanto irrituale, proprio perché il D’Amico è un teste a rischio che non potrà seguire pedissequamente il PM per incolpare Don Nunzio, perché così facendo affonderebbe anch’egli. Giornalisticamente mi viene il pensiero che, forse, l’astuzia del PM sta proprio nel voler colpire il sacerdote per entrare nel grande impero del “D’Amico Group” per cercare di mettere a segno un colpo da maestri””.

avv. Riziero Angeletti

E’ questo, dunque, il punto di svolta dell’intero processo; l’ha capito verosimilmente l’esperto presidente del collegio giudicante che ha giocato l’ultima carta disponibile rinviando l’escussione del teste D’Amico per cercare di evitare una sconfitta totale della pubblica accusa che arrecherebbe un grave impatto mediatico che questa volta potrebbe essere costretto a travolgere il modo di amministrare la giustizia, dopo aver seppellito sotto un mare di fango l’alto prelato salernitano.

Ed è proprio su questo punto che arriva a sorpresa e si inserisce a pieno titolo l’avv. Riziero Angeletti che avrà, a mio parere, il difficilissimo compito di pareggiare i conti con la pubblica accusa battendola in dibattimento proprio utilizzando al meglio il “suo teste d’accusa”, cioè Paolo D’Amico, dal quale tirar fuori tutti gli elementi probatori utili alla difesa di Mons. Scarano senza consentire alla stessa pubblica accusa una nuova full-immersion nei meandri sconosciuti ed impenetrabili dei conti estero su estero che ancora oggi rappresentano un vero tabù dei pur volenterosi finanzieri.

dott.ssa Elena Guarino - Pubblico Ministero

Del resto la grande esperienza in questo campo maturata dall’avv. Angeletti, e riconosciutagli dalle Alte Sfere Vaticane, è la molla che ha smosso le acque di un processo che, forse, si avviava sonnecchiosamente verso le battute conclusive e che d’improvviso si è riacceso grazie all’iniezione di assoluta novità portata dall’arrivo del noto penalista, esperto in affari vaticani; una novità per il momento soltanto abbozzata tra le righe e che, comunque, non è sfuggita all’attentissimo collegio giudicante.

Insomma se cade l’accusa di riciclaggio, come cadrà, tutto il processo franerà su se stesso e metterà a nudo la verità, tutta la verità, soltanto la verità.

In caso contrario potremmo davvero trovarci di fronte al processo del secolo con il coinvolgimento non solo dello IOR ma dell’intero Vaticano in un vortice senza fine, cosa che i simpatici (si fa per dire !!) due arcivescovi di Salerno, Bellandi e Moretti,

Mons. Andrea Bellandi - Arcivescovo di Salerno

non hanno minimamente capito continuando imperterritamente a suonarsela e cantarsela da soli (come si evince dalle cronache giornalistiche che riportano le reciproche battute come spensierati momenti di felice convivenza) dopo aver praticamente esiliato e abbandonato a se stesso, nelle ristrette mura di una casa, Mons. Nunzio Scarano che per il momento tace e prega.

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