AMBIENTE: la bandiera di Greta e … le altre

 

di Angela D’Alto

 

       
Un momento della manifestazione pro-ambiente svoltasi a Salerno venerdì 27 settembre 2019

SALERNO – Diciamoci la verità: Greta Thunberg non suscita simpatia. È una ragazzina che sorride poco, così diversa da tante delle sue coetanee sedicenni che postano foto spensierate, o che giocano a fare le donne, già sensuali e ammiccanti. Greta non è bellissima, e forse non le interessa esserlo. Ha la sindrome di Asperger, che non comporta significativi ritardi nello sviluppo del linguaggio o nello sviluppo cognitivo, ma che nemmeno è una passeggiata di salute. Greta ha iniziato una battaglia per la difesa del nostro Pianeta, ed è diventata subito un simbolo, per milioni di ragazzi e ragazze. Ma è diventata anche il bersaglio di un odio sociale, di chi l’ha offesa definendola autistica, malata, raccomandata, inquietante, rompipalle. In tanti hanno pensato ad una operazione di marketing (ma poi, tutti i simboli non diventano forse un ‘brand’?), altri hanno ipotizzato che sia stata coinvolta in un meccanismo più grande di lei (possibile). Altri ancora, la maggior parte, hanno nutrito nei suoi confronti un fastidio ed una antipatia epidermica, alla quale hanno trovato spiegazioni postume. Eppure ieri, solo in Italia, un milione di ragazzi hanno manifestato contro il cambiamento climatico, chiedendo al governo di farsi carico con misure concrete del problema. Erano anni, decenni forse, che non si assisteva a una mobilitazione di massa di tali proporzioni. Perché? E perché Greta, la sedicenne con le treccine che non sorride mai, è riuscita dove tanti, compreso scienziati di fama internazionale, hanno fallito?

E che impatto può avere la sua battaglia, in concreto, sulle coscienze sociali e civili? Greta ha sollevato un problema vero, ma forse non ha fatto solo quello: ha alzato una bandiera. Quella che mancava da tempo, da decenni, alle generazioni di ragazzi. E ne ha fatto un fattore identitario. Cosa che la politica, la comunità scientifica, le elites, non sono riusciti a fare. E forse questo è il primo e più importante merito che va ascritto alla adolescente svedese. Certo, il rischio dell’ambientalismo spicciolo è dietro l’angolo. Quello delle strumentalizzazioni pure. E Greta corre il rischio di essere prigioniera di se stessa. Proprio il suo successo ora rende necessarie decisioni concrete e, inevitabilmente, dei compromessi. Ma questo non è il compito di Greta.

Intanto però, qualcosa si è mosso. E finalmente c’è una passione civile, sociale, politica nel senso più ampio del termine, che sta unendo le giovani generazioni di tutto il mondo.  E non vanno liquidati con un sorriso di sufficienza. No.

Greta è un simbolo. E come tutti i simboli, va oltre se stessa, oltre la propria essenza individuale. E non va santificata nè demonizzata. Sarà un fenomeno che forse si dissolverà, come pensa qualcuno. Ma quel che lascerà, è un ritrovato senso di appartenenza e di identità, che questa generazione dei millennials sta provando a costruire. Ai soloni che sorridono di lei e dei milioni di ragazzi, suggerirei maggiore empatia. Verso Greta, verso Carola, verso Nadia, verso tutte quelle giovani, giovanissime donne che a modo loro, con le treccine, senza trucco o col vestito sbagliato, col rossetto rosso e il miglior sorriso mentre il cancro se le portava via, senza sorridere avendo tutta la vita davanti o sorridendo per l’ultima volta, hanno provato a lasciare un segno. Una traccia del proprio passaggio in questo mondo.

 

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