Che cos’è il Transumanismo

Angelo Giubileo

Alla memoria di Giorgio

A Riccardo e Roby

Abstract: Il transumanismo è una corrente di pensiero filosofico che nasce intorno alla metà del secolo scorso negli USA e affonda le proprie radici, indirettamente, fin nel pensiero “iniziale” (come lo definisce Martin Heidegger) dell’antichità; direttamente, nel pensiero postmoderno sia statunitense, da Warhol alla pop art ecc., che europeo, da J. F. Lyotard in poi. Il pensiero transumanista è fondato sul principio che tutto esplica un’azione d’irradiazione e consumo dell’energia cosmica.

Nell’attualità occorre ancora approfondire determinati nessi culturali e legami storici delle società Occidentali che nella seconda metà del Novecento hanno generato la formazione e lo sviluppo del pensiero postmoderno e in senso lato del Postmodernismo[1].

Nel 1958 – frutto della personale e tragica esperienza della guerra, che la costrinse a lasciare la Germania nazista nel 1933 perché di nazionalità ebrea, e della vita intrapresa a seguito della cittadinanza concessale dagli Stati Uniti nel 1951 -, Hannah Arendt pubblica un saggio dal titolo Vita activa e dal sottotitolo La condizione umana.

Nel saggio, l’allieva di Heidegger giunge alla conclusione che, sin dall’antichità, la vera unità di misura dell’uomo e per l’uomo è la “soddisfazione”, ovvero espressamente: “la quantità di pena e di piacere provati nella produzione o nel consumo delle cose”. Inoltre, aggiunge la previsione che, grazie alle macchine di futura generazione, “un’eliminazione del lavoro dal rango delle attività umane non è più considerata utopica”. Anche se questo stesso futuro dipenderà dall’“azione degli scienziati”, così che, da un punto di vista esistenziale, “l’azione è diventata un’esperienza per pochi privilegiati, e questi pochi che ancora sanno cosa voglia dire agire sono forse ancora meno degli artisti[2].

Il termine “postmoderno” è così legato allo sviluppo di una nuova società e di una nuova logica culturale che – distintamente, negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta e in Europa a partire dagli anni Settanta – nella fase avanzata o tarda del capitalismo critica il modello progressista della Modernità, il cosiddetto “mito del progresso”, e introduce una visione disillusa della vita, del tutto estranea a ogni possibile “metanarrazione”[3] e quindi priva di ogni finalità, salvo quella di accedere a un’autonomia decisionale che massimizzi la quantità di energia posseduta da ogni “umano” e necessaria per il funzionamento di sistemi determinati.

Non c’è dubbio alcuno che una tale vision sia il portato di una tradizione novecentesca attraversata da due guerre mondiali, dall’introduzione di armi atomiche e batteriologiche, dall’uso potenzialmente assai minaccioso di sostanze chimiche e nucleari, dal crescente inquinamento del suolo e dell’atmosfera, dall’allargamento costante delle disuguaglianze economiche, dal pericolo dell’insorgenza di nuovi e più atroci conflitti e quant’altro di simile. E tuttavia, nonostante molti richiami avversi e favorevoli al ripristino di una condizione di vita Pre-Moderna o arcaica, i “valori” stessi della Modernità vengono fatti salvi. In scia all’illuminismo e alla razionalità, prende forma e sostanza l’ipotesi di costruire un Apparato tecnoscientifico[4] o un Paradiso artificiale altrettanto privo di limiti[5].

Questa nuova impronta culturale è introdotta negli Stati Uniti da forme di manifestazioni empiriche, caotiche ed eterogenee: Andy Warhol e la pop art, il punk e il rock new wawe, l’iperrealismo e il minimalismo, tutti fenomeni posti a esempio che culminano in una sorta di “populismo estetico”, espressione usata dal docente di Letteratura Comparata Fredric Jameson in un breve saggio riassuntivo del 1984 dal titolo Postmodernism, or The Cultural Logic of Late Capitalism[6].

Nel saggio, Jameson dice anche che nei generi del cinema, del romanzo e della critica letteraria è palese il debito acquisito dalla cultura francese. E infatti, pur trovando tuttora ampio riscontro e conseguente riflesso nella cultura anglosassone, la vision postmoderna germoglia nel mondo accademico francese e trova una perfetta sintesi nell’opera, edita nel 1979, di Jean Francois Lyotard: La Condition postmoderne: rapport sur le savoir (in italiano, La condizione postmoderna: rapporto sul sapere). Il saggio, apparentemente oscuro, provocò molte reazioni e diede vita a lunghissime discussioni e diatribe; tanto che l’autore diede alle stampe un altro saggio dal titolo Le Postmoderne expliqué aux enfants: Correspondance 1982-1985 (in italiano, Il Postmoderno spiegato ai bambini).

Anche mediante questa breve annotazione, J. F. Lyotard mostra immediatamente di posizionarsi all’apice di una ricerca, che tuttavia non termina nel postmoderno ma apre al Postumano[7].

Infatti, nel 1993, l’autore francese pubblica un altro saggio dal titolo Una favola postmoderna, nell’ambito di una raccolta intitolata Moralités postmodernes. In merito al messaggio in esso contenuto, il filosofo e storico della filosofia Riccardo Campa scrive: “… possiamo distinguere almeno due tipi di postmodernismo: il primo – probabilmente maggioritario – scettico verso la scienza, anti-intellettuale, controculturale, nichilista, centrato sulla quotidianità (quello di Feyerabend, Prelli, Barnes, ecc.); il secondo – probabilmente minoritario – interessato ai grandi temi della storia universale e del senso dell’esistenza, ancora fiducioso nelle capacità esplicative e predittive della scienza, ancora aperto nei confronti della potenzialità della tecnica (quello di Lyotard e di Donna Haraway)[8].

In definitiva, per il Lyotard “postmoderno” ogni discorso che in passato è servito a dare un significato ultimo alla vita dell’Uomo, nel presente storico è senz’altro vano e destituito di ogni fondamento. Un tale giudizio non vale soltanto nell’attualità e per l’attualità, è un giudizio storico, il cui messaggio risuona sin dagli albori dell’umanità ed è destinato a permanere tale anche in futuro. Salvo che – ed è così che l’autore sembra intravedere forse ancora una possibilità – il discorso e la potenza della tecnica diventi tale da aprire lo spazio di un nuovo orizzonte di senso, post-umano o trans-umano (come diremo poi), e cioè un nuovo “progetto” o “programma” che oltrepassi il limite, anche per così dire, di un “populismo estetico” (F. Jameson) o di un “puro edonismo consumistico” (R. Campa). Un’idea e quindi una teoria anche stavolta, ma, a differenza del passato della Tradizione, un’idea o teoria che dall’era dell’Antropocene conduca verso una nuova era cosiddetta del Novacene, governata da sistemi di intelligenza artificiale (IA) capaci di integrare o sostituire la specie umana a causa della condizione inadeguata di provenienza naturale, condizione che con il passare del tempo potrebbe rivelarsi finanche obsoleta.

In base a questi stessi presupposti logici, il pensiero transumanista nasce e si sviluppa principalmente negli USA a partire dalla metà del Novecento. Il termine “transumanista” compare, probabilmente per la prima volta, in un articolo di Julian Huxley dal titolo New Bottles for New Wine (1957)[9]. Nell’articolo, il biologo genetista e scrittore britannico afferma che “ … la vita umana, così come la conosciamo, altro non è che un disgraziato compromesso, fondato sull’ignoranza, che potrebbe essere superato e rimpiazzato da una condizione basata su conoscenza e intendimento, così come il nostro moderno controllo della natura fisica, basato sulla scienza, ha rimpiazzato i primitivi esperimenti dei nostri antenati, radicati come essi erano nella superstizione e nella segretezza dei loro praticanti … “.

Nel corso degli anni Settanta, il termine Transumanismo è ripreso da Fereidoun M. Esfandiary, meglio noto come FM-2030, scrittore filosofo accademico e futurologo iraniano, autore del libro Are You a Transhuman?: Monitoring and Stimulating Your Personal Rate of Growth in a Rapidly Changing World edito nel 1989[10]. Si giunge così alla fase definitiva di lancio a livello internazionale del pensiero transumanista. A occuparsene principalmente è il filosofo Max More, all’anagrafe Max T. O’ Connor, nato a Bristol nel gennaio 1964. Autore nel 1990 del saggio “Transhumanism: Towards a Futurist Philosophy” e fondatore nel 1991 dell’Extropy Institute (1991), che si avvale in principio anche della fondamentale collaborazione degli altresì noti Ray Kurzwell e Marvin Minsky[11].

La fase di lancio termina alla fine degli anni Novanta, allorquando il filosofo svedese Nick Bostrom (nato il 10/3/1973) e il sociologo e bioeticista statunitense James Hughes (nato il 27/5/1961) lanciano in maniera definitiva l’organizzazione nota come WTA (World Transhumanist Association)[12]. Così che, oggi, il discorso riprende esattamente nel solco di questa stessa tradizione.

E dunque, rispetto ai limiti – ripetiamo: di un populismo estetico e un edonismo consumistico -, possiamo a ragione dire che la Teoria Transumanista si fonda in ogni caso su un principio, ritenuto universale (cosmico), di “consumo dell’energia”; principio questo che genera una o più teorie a seconda dei modelli di organizzazione che si assumono al fine di regolare il consumo dell’energia cosmica. Sì che è evidente la permanenza di un conflitto, essenzialmente naturale ma nell’attualità anche storico, tra le diverse forze e fonti energetiche che hanno parte nell’intero sistema, per l’appunto cosmico, di consumo energetico. Pertanto, la Teoria Transumanista non finisce per abbattere l’umano, ma opera solo al fine di restituirgli il senso naturale – e  anche storico e quindi transeunte – che da sempre gli appartiene.      Angelo Giubileo

Bibliografia:

G. de Santillana, Le origini del pensiero scientifico, Bompiani 1966

J.F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli 1981

S. Ceccato, Ingegneria della felicità, Rizzoli 1985

AA. VV., Moderno postmoderno. Soggetto, tempo, sapere nella società attuale, Feltrinelli 1987

F. Jameson, Il postmoderno, o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti 1989

E. Nagel-J.R. Newman, La prova di Godel, Bollati Boringhieri 1993

G. de Santillana, Fato antico e Fato moderno, Adelphi 1993

H. Arendt, Vita activa, Bompiani 1997

Diels-Kranz, I Presocratici (voll. I-II), Laterza 1999

G. Cerri (a cura di), Poema sulla natura di Parmenide, BUR 1999

G. de Santillana-H. von Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi 2000

M. Heidegger, Parmenide, Adelphi 2005

J. Baudrillard, L’illusione dell’immortalità, Armando editore 2007

J. Garreau, Radical evolution, Sperling & Kupfer 2007

E. Severino, Oltrepassare, Adelphi 2007

R. Campa, etica della scienza pura, Sestante 2007

G. Vatinno, Il Transumanesimo, Armando editore 2010

A. Khanna-P. Khanna, L’età ibrida. Il potere della tecnologia nella competizione globale, Codice edizioni 2013

E. Prati, Mente artificiale, Egea 2017

J. Baggott, Origini, Adelphi 2017

A. Kojève, L’idea di determinismo nella fisica classica e nella fisica moderna, Adelphi 2018

C. Bordoni, Il paradosso di Narciso, Il Saggiatore 2018

G. Pacchioni, L’ultimo sapiens.Viaggio al termine della nostra specie, il Mulino 2018

L. Pinna, Intelligenza artificiale. Nel futuro c’è ancora posto per noi?, CentoAutori 2018

P. Oliva, Cosmogonie & cosmologie. Una breve storia, dal simbolo alla fisica, La Lepre edizioni 2018

A. Giubileo, La Terra emersa e l’ultimo Uomo, Tiemme edizioni 2019

AA.VV., T-Day, Armando Editore 2019

J. Baggott, Massa, Adelphi 2019

 

 

 

 


[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Postmodernismo

[2] H. Arendt, Vita activa, Bompiani 1997.

[3] Il termine è portato alla ribalta internazionale dall’opera di J. F. Lyotard edita nel 1979 e di cui è detto più avanti nel corpo del testo. Etimologicamente, nella costruzione, il termine si avvale del prefisso greco antico “meta”, che indica trasformazione mutamento o trasferimento. In senso lato, e qui in particolare, inteso nel senso di oltrepassare. In ambito storiografico, il termine metanarrazione sta per “grande racconto o narrazione” e indica, contrariamente per l’appunto alla teoria del postmodernismo, la possibilità di una spiegazione onnicomprensiva dell’essere (fisico e metafisico) e della conoscenza.

 

[4] Cfr. D. Smizer, La filosofia di Emanuele Severino. L’isolamento in https://digilander.libero.it/moses/severino04.html

[5] Il concetto di “limite” è qui assunto nel significato che il filosofo e scienziato Anassimandro rende mediante l’uso del termine “apeiron” in cui il carattere iniziale “a” ha valenza di prefisso negativo. Riguardo alla fonte originaria dell’intero essere (o Essere inteso anche in senso parmenideo), che è l’ambito in cui Anassimandro usa il termine, lo storico della scienza Giorgio de Santillana traduce “apeiron” con “l’illimitato”. E prosegue: “Dice (Anassimandro) anche che essa (la fonte) è il ‘divino’ (ovvero: il mistero, l’ignoto, l’ente in genere) e l’arché delle cose, parola che nella nostra lingua si potrebbe rendere in vari modi: ‘governo’, ‘principio filosofico’ e anche ‘inizio’” (G. de Santillana, Le origini del pensiero scientifico, G. C. Sansoni editore, 1966).

[6] F. Jameson, Il Postmoderno, o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti 1989.

[7] Traduzione del termine inglese Posthuman. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Postumanesimo

[8] R. Campa, etica della scienza pura, pagg. 456-470, Sestante 2007.

[9] In http://www.estropico.com/id218.htm

 

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