CAVA de’ TIRRENI: un verminaio politico-giudiziario (1)

 

 

Aldo Bianchini

 

Enrico Polichetti - già vice sindaco di Cava de' Tirreni

CAVA de’ TIRREENI – Nella città metelliana siamo giunti, forse, all’ultima battaglia di una guerra politico-istituzionale-malavitosa cominciata molti anni fa, esattamente quando l’avvocato Alfredo Messina con un risultato a sorpresa, pur nella sua assoluta legittimità, sconvolse la politica cavese e scaraventò all’opposizione una sinistra arrogante che aveva dominato la città per circa dieci anni causando più danni che crescita rispetto alla cosiddetta “epoca d’oro” del compianto prof. Eugenio Abbro.

Bisogna partire, dunque, dall’eredità che Abbro non ha lasciato o che non ha potuto lasciare per capire cosa sta accadendo a Cava de’ Tirreni in questi ultimi quindici anni (almeno !!) tra inchieste giudiziarie fuori dalla realtà, arresti clamorosamente sbugiardati, suicidi tutti ancora da ricostruire e raccontare, accuse al veleno, nuove carcerazioni; il tutto condito con il pizzico di sale dell’ombra della camorra metelliana.

Insomma quella che era indicata da tutti come “la piccola Svizzera italiana” in pochi anni si è trasformata in un vero e proprio “verminaio al Comune di Cava de’ Tirreni”; dalla congiura di palazzo contro Alfredo Messina, all’incriminazione ingiusta di Giovanni Baldi, l’inspiegabile suicidio di Mario Pannullo, fino alla carcerazione preventiva e sicuramente inaccettabile di Enrico Polichetti, solo per citare alcuni degli episodi che hanno avvelenato la vita sociale – politica – imprenditoriale – istituzionale – giudiziaria e malavitosa della città che attesta al primo posto della provincia in fatto di qualità della vita, sport, cultura e solidarietà.

Almeno così e con questa definizione sembra essere stata focalizzata la situazione del degrado politico-istituzionale di Cava nelle parole di un giornalista esperto come Pasquale Petrillo, scritte in un editoriale su Ulisse.it pubblicato qualche mese fa e riciclato sui social dall’avvocato Alfonso Senatore nella sua qualità di rappresentante della “Lega – Salvini premier” il 9 giungo 2019.

C’è subito una precisazione da fare; il famigerato verminaio evocato nell’articolo di Ulisse come una novità per Cava, credo fermamente fosse già arcinoto all’autore dell’articolo in quanto proprio nei pochi anni di regno di Messina (con Petrillo come capo staff) è stato seminato, a mio opinabile avviso, il verminaio che poi si è autoalimentato ingigantendosi fino ai tempi di oggi, divenendo così assolutamente incontrollabile. Mi meraviglio, quindi, che Pasquale Petrillo possa essersi meravigliato dell’esistenza del “verminaio al Comune di Cava de’ Tirreni” fino al punto da ricavarci un titolo ed un articolo per il suo giornale online.

Siamo di fronte ad un fenomeno che, pur essendo assai diffuso in tutto il Paese, a Cava de’ Tirreni ha trovato terreno molto fertile per una serie infinita e fortuita di combinazioni; le ragioni negative del disastro affondano le radici fin nei tempi oscuri di tangentopoli che a Cava fece diverse vittime, a cominciare dal compianto Antonio Di Donato che a mio parere è stata la vittima più innocente di questa lunga stagione di incomprensioni tra politica e magistratura.

Eppure Cava de’ Tirreni è stata terra nativa di tantissimi e famosi magistrati che hanno, da sempre, cercato di assicurare legalità, sicurezza e stabilità ad una terra in fermento fin dalle sue origini; magistrati che, però, in alcuni specifici casi non hanno saputo neanche gestire i difficili equilibri tra loro stessi; tanto è vero che nonostante la presenza di tanti magistrati, di politici di primo piano e di istituzioni quasi perfettamente funzionanti, a Cava sono nate e si sono allargate e diffuse numerose organizzazioni criminali.

Dal “clan Bisogno” al “clan Zullo” (additati come malavitosi da numerose inchieste giudiziarie) il passo è breve, e la vita normalizzata e quasi sonnolenta della città è stata più volte sconvolta da terrificanti blitz delle forze dell’ordine alla caccia di pericolosi criminali in grado di permeare e mandare in tilt anche le istituzioni più solide e più cariche di esperienza. L’accusa principale è stata sempre: “associazione per delinquere finalizzata all’usura, estorsione e spaccio di droga”; un’accusa, forse l’unica, che permette di entrare anche in altri spazi investigativi fino ad arrivare sulle spiagge indifese della politica che i magistrati riescono a devastare con sufficiente facilità.

Da sinistra: "Zi Dantuccio Zullo" e l'ex vice sindaco Enrico Polichetti

L’inchiesta giornalistica che mi accingo a portare avanti, seguendo con doveroso rispetto quella giudiziaria, è molto complessa ed è necessario, quindi, una serie di articoli di approfondimento.

C’è, però, una prima riflessione sulla quale vorrei invitare tutti i lettori a considerazioni logiche e consequenziali; una riflessione che si articola almeno in tre punti:

  • La sfortuna degli imputati-politici (Polichetti per tutti !!) di avere nel processo un pubblico ministero di Cava de’ Tirreni (dott. Vincenzo Senatore) che conosce non solo personalmente gli indagati ma anche fatti e misfatti della città; fatti e misfatti che però deve provare;
  • Il verminaio esistente nella politica e nella pubblica amministrazione di Cava; un verminaio che è stato confermato ma addirittura ampliato dal sindaco Servalli chiamando, incautamente, in causa i funzionari dell’Ente e dichiarando in aula di essere stato “ingannato da Polichetti”; esponendo, così, sia la sua persona che tutto l’Ente a nuove e più inquietanti irruzioni giudiziarie; e mi chiedo “ma Servalli ce l’ha un avvocato ?”;
  • La definizione del presunto reato di “scambio elettorale politico mafioso” che se nella sua essenza è difficile da dimostrare è sicuramente difficilissimo da arginare anche con una difesa attenta e molto professionale (leggasi caso “Aliberti di Scafati” e prima ancora “Gambino a Pagani”).

 

 

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