SHOAH: che cosa fu la soluzione finale ?

Aldo Bianchini

SALERNO – Ogni anno, mano a mano che si avvicina “la giornata della memoria”, si sente parlare o riparlare della cosiddetta famigerata “soluzione finale”, cioè lo sterminio degli ebrei d’Europa, messo terribilmente in atto da quel potentissimo apparato politico-mediatico-militare che è passato alla storia come il “terzo reich” capeggiato da Adolf Hitler.

Si ripetono all’infinito le stesse manifestazioni con le stesse parole e, forse, anche gli stessi atteggiamenti scenografici e mediatici, in tutto il mondo civile. Anche se c’è addirittura che, ancora oggi, mette in discussione l’esistenza stessa di quella terribile macellazione di esseri umani.

In Italia abbiamo l’ultima delle grandi testimonianze viventi di quella maledettissima stagione di stragi e di morte: Liliana Segre che il presidente Sergio Mattarella ha elevato al rango di “senatrice a vita”; una senatrice infaticabile che gira ogni giorno nelle scuole e nelle istituzioni per ricordare a tutti quale, come e cosa fu la “Shoah”, termine tedesco per indicare la famigerata “soluzione finale”.

Ho cercato di capirlo andando alla scoperta delle radici del problema più che fermarmi alle notizie riciclate ed alla sterile (seppure efficace) cronaca dei fatti che passeranno sotto gli occhi di tutti noi (oggi 27 gennaio, settantacinque anni dopo quel 27 gennaio del 1945 in cui le truppe sovietiche, dirette verso Berlino, entrarono nella cittadina di Auschwitz ed aprirono i cancelli del campo di concentramento più conosciuto di tutti i tempi); sono andato alla ricerca delle radici di quel fenomeno.

“”Ho cercato di capire come nacque, nei lontani anni ’30, il sentimento di odio fanatico dei tedeschi contro gli ebrei e come si sviluppò negli anni successivi e, inoltre, quale peso ebbe la famosa “propaganda nazista” (che oggi definiremmo “propaganda mediatica” !!) e l’azione cinematografica della famosissima regista e fotografa tedesca Leni Riefenstahl (22.08.1902 – 08.09.2003. morta all’età di 101 anni) che affascinata dalla potenza oratoria di Hitler aderì al nazismo fino a divenire la documentarista ufficiale dei film propagandistici del terzo Reich, come quello sulle Olimpiadi del ’36 a Berlino.

Ho ripreso tra le mani un vecchio e impolverato libro del 1962 “Martin Bormann – Hitlers Schatten”, scritto da Joseph Wulf, edito da Sigbert Mohn Verlag Gutersloh nel 1962 e pubblicato in Italia nel 1965 dalla Garzanti. Ho così scoperto, rileggendo quel libro a distanza di moltissimi anni dalla prima lettura, che il personaggio più importante in assoluto (al di là dei nomi roboanti triti e ritriti che le cronache di oggi ci ripropongono, anche al di là dello stesso Joseph Paul Goebbels che gestì la propaganda internazionale dal 1939 in poi) nella propaganda nazista fu WILHELM FRICK, ministro dell’interno del Reich e succube predestinato di Martin Bormann l’uomo più potente del terzo reich. Frick nel 1933 tenne una conferenza al Consiglio degli Esperti per la politica razziale e demografica; parlò dell’esistenza in Germania di più di 500mila casi di malattie ereditarie gravi, fisiche e mentali, e di un numero ancora più rilevante di malattie meno gravi. Secondo Frick il 20% della popolazione tedesca era biologicamente affetto da tare ereditarie e dichiarò che nella società tedesca non c’era posto per i discendenti di questi individui malati. La scoperta di Frick può apparire una banalità, ma all’epoca  non fu così. Il ministro dell’interno riuscì abilmente ad insinuare nell’immaginario collettivo tedesco che la razza ariana non poteva pagare un prezzo così alto per chi essendo malato non poteva adeguarsi alle necessità sociali-politico-militari del Reich. Ma l’astuzia di Frick non finì qui; avvalendosi dell’opera di tutti (compresa l’arte documentaristica della Riefenstahl), ed avendo avuto carta assolutamente bianca da Bormann, con grande e perversa abilità mediatica riuscì a far passare nella mente dei tedeschi che anche la razza degli ebrei europei poteva e doveva essere assimilata con quel 20% dello stesso popolo tedesco e che quindi andava eliminata in un’assurda e fanatica “soluzione finale”. Ma Frick continuò con la sua propaganda incredibile: passò ad elencare con scrupolosa esattezza le spese che causavano allo Stato gli ammalati di mente, i deficienti, gli storpi e i delinquenti stabilendo che ognuno di loro costava ben quattro marchi e mezzo al giorno, mentre un valido lavoratore ne guadagnava soltanto due marchi e mezzo.  E parti la famosissima “Lebensauslese” (l’igiene razziale) per la pulizia etnica radicale.

Ma ci fu anche dell’altro; prima di partire con le leggi razziali Frick si preoccupò di far passare anche il pensiero scientifico tra la gente; nel 1934 indusse Gustav Franke ed anche il professor Fetscher di Dresda (noti scrittori e psichiatri dell’epoca) a scrivere pubblicazioni e trattati medici fino al punto di dimostrare che un ragazzo minorato costava tre volte in più di uno normale e che gli individui biologicamente tarati (quasi tutti ebrei europei) costavano ben 350milioni di marchi all’anno. Ma Frick, naturalmente, non si accontentò delle chiacchiere, dei trattati e delle pubblicazioni e partì lancia in resta alla conquista di una sentenza da parte di un tribunale che potesse comprendere ed avvalorare le sue tesi sulle deficienze della razza ariana e, soprattutto, sulle problematiche create da tutta la razza ebrea verosimilmente assimilabile ad una popolazione inferiore, malata e costosa che andava eliminata. Nel 1937 indusse un contadino di Weidau presso Buttstadt, un certo Weber, ad uccidere il figlio malato di mente e presumibilmente inguaribile.  In sede processuale passò addirittura il concetto di “legittima difesa” del padre nei confronti del figlio, un concetto teorizzato dal famoso Karl Astel (professore di genetica e politica razziale all’università di Jena) nella perizia giudiziaria in qualità di consulente tecnico della Corte di Assise di Weimar. Il pubblico ministero chiese la pena di morte, la Corte lo condannò a soli tre anni di carcere con numerose attenuanti generiche e specifiche prevalenti sulle aggravanti, non fece neppure un giorno di carcere.

Il 17 agosto 1938 l’apice del progetto: una sorta di marchio per gli ebrei che furono costretti da una legge dello stato (partorita dalle menti di Frick e di Bormann) ad aggiungere i nomi di Israel e Sara a quelli naturali; per individuarli meglio e subito, quasi come ai tempi della strage degli innocenti all’epoca di Gesù; la storia si ripete.

Qualche mese dopo, nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, puntuale arriva la “Kristallnacht” (la notte dei cristalli).

Martin Bormann e Adolf Hitler

Dagli atti del “processo di Norimberga” per lo stralcio inerente 23 medici risulta che sotto la guida del famoso prof. Karl Brandt furono avviate, già dal 1938, “le stazioni dell’eutanasia nelle quali ad insindacabile giudizio del medico incaricato venivano uccisi i soggetti a rischio con un colpo alla nuca nell’ambito del progetto generale che prevedeva lo sterminio di un milione di tedeschi; tutto sotto il controllo metodico e scrupoloso di Martin Bormann che spingeva Brandt ad una maggiore e più severa osservazione delle esecuzioni. Ecco il principio della legittima difesa era bello e confezionato ed anche consacrato e legalizzato; e la Germania si accingeva allo “sterminio” per presunta mera legittima difesa nei confronti di tutti, con tanto di pubblicazioni, trattati e sentenze.

L’opera di  WILHELM FRICK era compiuta, la grande “Endlosung” meglio nota come “soluzione finale” poteva iniziare: per rendere il Reich “judenrein”, ripulito dagli Ebrei.

 

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