San Gregorio VII: trionfi la verità sul restauro voluto e curato da Mons. Nunzio Scarano !!

Aldo Bianchini

Duomo di Salerno - Urna di San Gregorio VII

SALERNO – Il caso del “restauro dell’urna argentea” di San Gregorio VII, il famoso pontefice delle investiture sepolto nel duomo di Salerno dal mese di maggio del 1614; il prossimo 22 febbraio 2020 sarà traslato nella Diocesi di Sovana – Pitigliano e Orbetello (Grosseto) dove probabilmente rimarrà per sempre.

 

Intorno a questo avvenimento, clamoroso per certi versi ma anche normale per una Chiesa in continua evoluzione e risistemazione religiosa e strutturale, la stampa salernitana si è divertita nella caccia a tutti quegli elementi in gran parte sconosciuti e che potrebbero portare nuova linfa mitologica intorno alla vicenda post mortem di uno dei più grandi pontefici della storia della chiesa.

Ed ha scoperto, la stampa salernitana, che la restaurata “urna argentea di San Gregorio VII fu donata dal munifico armatore salernitano Antonio D’Amico che volle dare degna sistemazione ai resti mortali del Papa dopo la ricognizione del 10 luglio 1954”.

Successivamente le ossa dello scheletro, tolte dal simulacro, furono riposte in un’urna di marmo collocata nel sarcofago originario che aveva custodito le reliquie fin dalla morte del pontefice avvenuta proprio a Salerno dove era in esilio. L’urna argentea, vuota, fu trasferita nella cappella privata dell’arcivescovo, dove è rimasta fino a quando S.E. Mons. Gerardo Pierro dispose di farla ritornare nella Cappella della Crociata, ovvero nell’abside destra della cattedrale.

Armatori Paolo e Cesare D'Amico

Per la risistemazione occorreva, però, una nuova e più efficiente opera di restauro; ed ecco spuntare i fratelli Paolo e Cesare, eredi diretti del compianto Antonio (quello che aveva provveduto a spese proprie al primo restauro nel 1954.

 

Fin qui le notizie apparse sui giornali salernitani; neppure un rigo e men che meno una parola dedicata a chi realmente ha promosso e sostenuto l’azione umanitario-religiosa dei F.lli D’Amico (armatori di grande calibro a livello mondiale); è giunto, credo, il momento di ristabilire la verità e di restituire a Don Nunzio Scarano ciò che è di Don Nunzio Scarano che in forza della sua amicizia filiare con il capostipite Antonio e con gli eredi Paolo e Cesare D’Amico è stato capace di disciplinare e coordinare l’opera del nuovo restauro per restituire alla città ed a tutta la comunità religiosa salernitana uno spaccato di storia molto importante.

Mons. Nunzio Scarano

Ma Mons. Scarano, si sa, è stato maltrattato dalla stampa salernitana, e non solo, fin dal 2013 quando finì in un gigantesco vortice giudiziario che ne ha cambiato radicalmente la vita a disdoro delle tante opere pie che lo stesso prelato aveva da decenni avviato e concluso in favore della sua città natale, una città che ama tuttora nonostante la maggior parte di essa si sia a dir poco dimenticata dell’esistenza del suo benefattore.

Una città dalle due facce, esattamente quella che il suo protettore San Matteo vorrebbe proteggere perché sua, che a lungo osannò Mons. Nunzio Scarano e che alle prime difficoltà lo ha scaraventato nel girone infernale dei malfattori.

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