Palau: il piccolo arcipelago che umilia Pechino

Dr. Vincenzo Mele
Palau (Oceano Pacifico) – Può apparire come un piccolo puntino su una mappa dell’Oceano Pacifico, centinaia di chilometri più ad est del Borneo e delle Filippine. Ma questo piccolo arcipelago anglofono abitato da poco più di 20.000 anime ha dimostrato di avere una solida democrazia capace di opporsi con i pochi mezzi a disposizione alla prepotenza del regime di Pechino. La vicenda si inserisce nel più complesso quadro politico dell’imperialismo cinese nel Pacifico: come ben noto, Taiwan è Stato sovrano, vicino al Commonwealth e al mondo occidentale e la Cina, da sempre, pretende di isolarlo, chiedendo agli altri paesi di non riconoscerlo come Stato indipendente. Il governo palauano continua a rifiutarsi di appoggiare l’annessione di Taiwan da parte del regime cinese, e Pechino ha scatenato negli anni una vergognosa vendetta, colpendo il piccolo paradiso tropicale con metodi analoghi a quelli che contesta agli Stati Uniti.
Quasi il 50% del Pil dell’arcipelago dipende dal turismo: il boom economico palauano era iniziato nel 2011 proprio grazie al massiccio interesse dei cinesi nelle bellezze naturali dell’arcipelago; in pochi anni il numero di turisti cinesi in visita a Palau era aumentato da poco meno di 700 unità a più di 90.000. Al rifiuto del parlamento di Ngerulmud di ritirare l’appoggio a Taiwan, la Cina ha vietato ai propri turisti di visitare Palau, impedendo ai tour operator cinesi di vendere pacchetti di viaggio per tale destinazione. Una delle motivazioni che Pechino ha espresso per giustificare tale boicottaggio è stata quella che Palau fosse un paradiso fiscale avverso al rispetto delle regole; peccato che molti alti papaveri della finanza cinese avessero speculato proprio sul boom palauano in prima persona. Ngerulmud ha allora deciso di allinearsi ancor di più agli standard occidentali passando dalla lista grigia dei possibili paesi a rischio di diventare paradiso fiscale alla lista bianca di quelli pienamente in regola: un altro schiaffo duro da digerire per Pechino che si è vista privare di un porto sicuro per il denaro torbido che aveva bisogno di portare all’estero. Le conseguenze dell’embargo cinese sono state terribili per il piccolo arcipelago: la perdita di circa un quarto degli introiti del turismo per ogni anno a partire dal 2017, il fallimento della compagnia di bandiera Palau Pacific Airways e decine di suicidi provocati dalle conseguenti condizioni economiche. Eppure in questo quadro a tinte fosche, Palau si sta rialzando: la nazione è compatta nell’opporsi alla dittatura cinese e molti paesi ed enti stanno sostenendo la rinascita economica del piccolo arcipelago. La P.I.N. (Pacific Islands Nations) ha varato un piano speciale per sostenere l’economia palauana, molti paesi occidentali, tra cui Gran Bretagna, Olanda e Germania, hanno stipulato accordi per risollevare il terziario palauano ed il Commonwealth ha donato, si badi bene, non prestato, 18.5 milioni di sterline per un piano quadriennale per la rinascita dell’economia isolana. Palau ha inoltre deciso di sostenere il turismo etico e responsabile, lontano dalle orde di turisti che potrebbero rovinare il vivace ma fragile ecosistema naturale isolano.
Così la prepotenza cinese è stata rintuzzata, sconfitta dalla solidarietà e dalla competenza: un altro rospo da ingoiare per il regime di Pechino, non sarà l’ultimo.

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