Coronavirus: dopo saremo migliori? Di questo passo, temo di no

Angela D’Alto

 

VALLO di DIANO – All’inizio di questo orrendo incubo ho pensato che, nonostante la gravità della situazione, forse dopo un’esperienza così pesante e così inimmaginabile, ne saremmo usciti tutti migliori. Più umani, più solidali, più responsabili. Vedevo la gente cantare sui balconi affacciati su strade deserte, l’orgoglio di essere italiani e di esporre il tricolore, la dolcezza dei bimbi e dei loro disegni, la tristezza sincera per ogni morte, il dolore composto, lo sforzo di medici, operatori sanitari, amministratori, la fiducia nella scienza, la voglia di aiutare il prossimo, anche da parte di chi aveva poco. Mi sono commossa sempre, guardando queste immagini di un Paese ferito, colpito al cuore ma pieno di orgoglio, di generosità , di voglia di lottare. È durato poco. Ci siamo assuefatti a questa situazione, forse. E così,  il volto più brutto del nostro Paese è tornato a mostrarsi in tutta la sua triste furia: la solidarietà è diventata una gara a mettersi in mostra sui social, chi ha come mettere il piatto a tavola si scaglia contro chi non può e riceve un minimo di aiuto, i politici sono tornati a litigare o, al più , a fare passerelle in tv e sui social, la gente è rabbiosa e pronta a accusare chiunque, senza distinguere tra comportamenti realmente pericolosi e sciocchezze. Chi si ammala viene messo alla gogna ogni giorno, come se fosse necessariamente colpevole di qualcosa, come se ogni singolo contagiato lo fosse a causa di comportamenti irresponsabili. Capisco la paura, la capisco benissimo. E ne ho , tanta , anche io. Ma a me la paura produce un effetto opposto: mi fa passare qualsiasi voglia di polemiche inutili, di sentimenti negativi, di tentazioni di analisi politiche da tuttologi che hanno la soluzione in tasca in termini sanitari, economici e politici. Non mi fa venir voglia di fare battute sulla positività di Bertolaso, e manco di Boris Johnson. Non mi fa pensare di insultare e accusare sparando nel mucchio. Non mi fa venir voglia di mettere in mostra i gesti di solidarietà, che dovrebbero restare privati.  Perché nessuno di chi fa il proprio dovere materiale e morale, svolgendo il lavoro che è chiamato a svolgere o aiutando chi ha più bisogno, dovrebbe sentire la necessità di farsi i selfie o di fare comizi. Non lo fanno i tanti commessi dei supermercati, dei nostri negozi; non lo fanno migliaia di medici che lavorano in silenzio senza andare ogni giorno dalla D’Urso; non lo fa tanta gente che conosco e che dona di tasca propria, in silenzio assoluto; non lo fanno tante persone che soffrono per il dolore degli altri e che non trattano questi ammalati come colpevoli appestati.

E no, non vorrei che l’Italia, l’Italia che amo, ripartisse da questo. Vorrei che ripartisse da chi lavora in silenzio, dai napoletani del ‘paniere solidale’, da chi ha poco e dona a chi ha pochissimo, da chi non accusa e non si lamenta, da chi le cose le fa in silenzio, da chi ha la competenza ed è stato per anni mortificato dalla politica degli improvvisati , da chi dice la verità , da chi non approfitta di questa tragedia da nessun punto di vista.

Torniamo a tacere, per carità. Torniamo a sentirci fieri di essere italiani.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *