CAMPANIA: L’AGRICOLTURA NELL’ECONOMIA NEL MEZZOGIORNO D’ITALIA

 

 

Michele D’ALESSIO

NAPOLI – Parlare oggi di agricoltura e del suo ruolo nella crescita del Mezzogiorno, soprattutto dopo l’emergenza Covid-19, ripropone un dibattito antico in un contesto del tutto nuovo, che lo rende di straordinaria attualità. Un contesto in cui ancora si ritrovano annosi ritardi – il Mezzogiorno rispetto al resto del Paese, l’agricoltura rispetto al resto dell’economia, ma che offre una serie di nuove e straordinarie opportunità: la forte dinamica della domanda mondiale di cibo di qualità e l’ottima reputazione del made in Italy nel mondo; la crescente integrazione dell’agricoltura con il resto dell’economia, sia nelle diverse filiere agroalimentari e nelle relative catene globali del valore, sia nei suoi legami con altri settori presenti sul territorio (turismo, ristorazione, energia); le nuove aspettative dei cittadini-consumatori nei confronti dell’agricoltura e delle aree rurali sul fronte sociale e culturale oltre che produttivo; la consolidata percezione del ruolo strategico del settore nella salvaguardia del territorio e dell’ambiente e nella gestione delle grandi sfide globali e intergenerazionali quali il cambiamento climatico e il risparmio energetico.                                                            Il Mezzogiorno d’Italia si prepara ad affrontare nel 2020 una nuova recessione economica, che dovrebbe portare il Prodotto interno lordo della ripartizione territoriale a fine anno tra il -0,2% e -0,4% sul 2019, per poi risalire nel 2021, consolidando nel biennio una situazione di sostanziale stagnazione economica. E’ quanto registrano e prevedono le anticipazioni delle  Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, sull’economia del Mezzogiorno d’Italia.
Tutto questo accade dopo che l’economia meridionale è uscita troppo lentamente dalla grande recessione originata dalla crisi finanziaria mondiale del 2008. Rispetto ad allora un nuovo ed antico spettro si aggira per il Sud: torna con forza il dramma dell’emigrazione. Continua infatti la fuga dei meridionali verso il Centro-Nord e l’estero (132.187 nel solo 2017), non bilanciata dai pur non bassi flussi migratori verso il Sud di cittadini stranieri (75.305 nello stesso anno). Ne consegue un saldo negativo dei residenti di ben 56.882 abitanti nel solo 2017, come se una città media fosse scomparsa nel giro di un solo anno.
In questo quadro non certo felice, l’economia agricola meridionale appare ancora una volta in tutta la sua fragilità: incrementi di Pil bassi nelle regioni dove cresce nel 2019, in altri casi con vistose cadute, mentre non ha fine la crisi dei consumi; le famiglie meridionali tagliano ancora una volta il budget proprio per la spesa alimentare. E all’orizzonte c’è il rallentamento dell’economia mondiale e l’innalzamento della barriere tariffarie, che incideranno negativamente nei mesi a venire sulle esportazioni.
In questo scenario non facile, si inseriscono i Piani di sviluppo rurale 2014-2020, che si avvicinano lentamente all’obiettivo di rendicontazione finale della spesa e che si dimostrano lenti nella risposta, almeno fino all’anno considerato. Il peso del contributo alla crescita del Pil nelle varie regioni del Mezzogiorno da parte dell’agricoltura è quanto mai vario ed in un caso è determinante.

Ma cosa dovranno fare le politiche di sviluppo rurale e le politiche agricole in futuro per rilanciare il settore primario, ricco come è di tipicità nei prodotti e vitalità settoriale? La risposta al quesito è tutta nell’analisi: occorre rilanciare gli investimenti nelle aree ad agricoltura forte, per rendere sempre più innovative e competitive le imprese che esportano, ma anche trovare il modo di arginare la nuova diaspora del popolo meridionale, che parte soprattutto dalle aree interne, dove il lavoro nei campi e nei boschi in collina e montagna è essenziale per il presidio idrogeologico del territorio.
Un dato su cui riflettere è il seguente: la riduzione della popolazione nel Mezzogiorno d’Italia nei Comuni con meno di 5000 abitanti, che tra 2003 e 2017 è stata complessivamente di oltre 256mila e 300 unità, si colloca ampiamente in collina (-148mila e 600 abitanti), un po’ meno in montagna (-78mila abitanti) e in misura marginale nei piccoli comuni di pianura, che perdono solo 29mila e 600 abitanti in questi 15 anni.

4 thoughts on “CAMPANIA: L’AGRICOLTURA NELL’ECONOMIA NEL MEZZOGIORNO D’ITALIA

  1. Da meridionale, provo sempre piacere quando percorro la Campania, terra felix, piena di ortaggi oppure mi trovo di colpo immerso in una campagna in cui su un piccolo areale, di circa 40 ettari, vengono coltivate le mele, coltura che si identifica con il Nord ma che trova spazio anche in molte regioni del Sud come accade con la nota mela Annurca campana.

  2. È ammirevole quello che la terra sa dare ed è altrettanto ammirevole chi ha il coraggio di coltivare la terra, con sudore e fatica…terra che a volte fa best
    emiare e senza resa….ai giovani che oggi hanno il coraggio di intraprendere questa attività sono doppiamente da lodare….lavoro dalle mille incerte….che spesso non ti da nemmeno i soldi per vivere….

  3. “Le aree interne, sono ormai abbandonate al loro triste destino e nessuno ha il coraggio e l’interesse di puntare a luoghi e territori che rappresentano un tesoro di valori ed una ricchezza non considerata. L’emergenza COVID-19 se verrà trasformata in opportunità, anche per le nostre terre, potrà essere la vera svolta. Ma ormai le parole hanno lasciato il tempo che trovano. Indispensabile puntare ad una fiscalità di favore per residenti ed imprese, agevolando chi vuole investire in turismo rurale ed agricoltura. Il destino forse ci sta dando l’ultima occasione da cogliere. Non bisogna perderla altrimenti tutto sarà segnato definitivamente.”

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