ThyssenKrupp: l’ossessione del “dolo”

Aldo Bianchini

Incendio alla ThyssenKrupp di Torino in cui il 6 dicembbre 2007 persero la vita sette lavoratori

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SALERNO – Le manifestazioni di dolore e di rabbia dei familiari dei “sette lavoratori”, morti il 6 dicembre 2007 nello stabilimento ThyssenKrupp di Torino a causa di un improvviso incendio, sono assolutamente giustificabili anche se, purtroppo, non trovano una solida base legislativa su cui agganciare manifestazioni ancora più decisive.

I sette lavoratori, dopo l’ultima decisione della Procura di Essen (Germania) che ha stabilito in via definitiva la semilibertà per i due corresponsabili Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz (i due manager di Thyssenkrupp), potranno probabilmente riposare in pace:

Le foto dei sette lavoratori morti nell'incendio della ThyssenKrupp di Torino il 6 dicembre 2007

  • Antonio Schiavone, 36 anni, deceduto il 6 dicembre 2007, nel luogo dell’incidente
  • Roberto Scola, 32 anni, deceduto il 7 dicembre 2007
  • Angelo Laurino, 43 anni, deceduto il 7 dicembre 2007
  • Bruno Santino, 26 anni, deceduto il 7 dicembre 2007
  • Rocco Marzo, 54 anni, deceduto il 16 dicembre 2007
  • Rosario Rodinò, 26 anni, deceduto il 19 dicembre 2007
  • Giuseppe Demasi, 26 anni, deceduto il 30 dicembre 2007

Tutta colpa, a mio avviso, delle indagini preliminari e dei processi di primo e secondo grado condotti sull’onda emozionale costruita e voluta caparbiamente da un Procuratore della Repubblica (Raffaele Guariniello) incastrato ossessivamente nel volere a tutti i costi, e per la prima ed unica volta nel mondo, portare avanti l’accusa di “omicidio volontario”, nel caso di infortunio sul lavoro, a carico dei responsabili organizzativi della grande industria tedesca fino a colpire direttamente l’amministratore delegato e il suo braccio destro che fino ad oggi, comunque, non hanno fatto neppure un giorno di carcere nonostante le accuse gravissime mosse dalla pubblica accusa, dal primo e secondo grado del processo, ma fatalmente e giustamente cancellate dalla Suprema Corte di Cassazione che incentrò la sua decisione (datata 29 aprile 2014) sul “concetto di responsabilità suddiviso tra omicidio volontario e omicidio colposo cosciente.

Concetto che non può essere disgiunto dal fatto che alla base del principio di responsabilità c’è sempre la “colpa del datore di lavoro che spesso, se non quasi sempre, si miscela con il concorso di colpa del lavoratore (ma questo aspetto non viene accettato facilmente né dai giudici e né dai familiari delle vittime). Se questi fatti essenziali non diventano messaggi culturali, extrapolandoli dai messaggi mediatici veri e propri per inculcarli nell’immaginario collettivo, si finisce sempre nella spettacolarizzazione dei processi a solo danno della verità e dell’attesa dei familiari delle vittime che hanno tutto il diritto di capire, prima ancora di sapere, la verità.

Il processo alla ThyssenKrupp è stato la dimostrazione più plastica che la spettacolarizzazione della cronaca giudiziaria ormai ridotta a incalzanti talk show non funziona e spesso lascia l’amaro in bocca; fortunatamente la rabbia e la sete di vendetta dei familiari, così come i numerosi talk show nazionali non condizionano più di tanto la giustizia, almeno quella fondata su principi ineludibili.

I due manager della ThyssenKrupp, responsabili anche dello stabilimento di Torino, condannati dalla giustizia italiana ma praticamente "quasi" assolti da quella tedesca

Sono abbastanza esperto della problematica della responsabilità legata agli infortuni sul lavoro per poter affermare che qualsiasi tipo di infortunio è determinato sicuramente dalla disattenzione del datore di lavoro verso i presidi personali e generali di sicurezza dei lavoratori, ma non si deve mai sottacere che tutti gli infortuni sul lavoro (dico tutti !!) si verificano anche a causa di una fatale distrazione del lavoratore; anzi più il lavoratore è esperto e più corre il rischio di distrarsi.

Senza contare che ogni macchina operatrice viene costruita innanzitutto per produrre il più possibile e soltanto dopo ad essa vengono applicati, come surrogati, i relativi presidi di sicurezza.

Intestardirsi come ha fatto il procuratore Raffaele Guariniello (nativo del Cilento e specificamente di Vallo della Lucania), nell’inseguire non solo il processo talk show ma anche l’ossessivo obiettivo della “colpa volontaria” per far affermare il concetto di omicidio volontario, non ha mai prodotto risultati positivi ed ha sempre inquinato il quadro in cui si muovono gli attori (datori, lavoratori, esperti, responsabili) che se ben informati e formati potrebbero davvero dare un notevole contributo alla risoluzione dell’annoso e drammatico problema.

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *