BONUS da 600 Euro: l’INPS ci ricasca di nuovo e, spocchiosamente, si nasconde dietro la presunta violazione della privacy

 

Aldo Bianchini

Il direttore dell'Inps dr. Pasquale Tridico

SALERNO – Lo scudo protettivo dietro il quale il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, è stato spocchiosamente e falsamente prospettato come “rispetto della privacy” dei cinque parlamentari che hanno chiesto il bonus dei 600 euro (tre soltanto l’avrebbero ricevuto).

Di fronte ad un atteggiamento del genere non resta che dire che “il primo furbastro del bonus è proprio Tridico dell’Inps” (titolo del quotidiano La Verità dell’11 agosto 2020).

Per pensarlo basta poco; la vicenda bonus/Inps mi sembra come il “segreto istruttorio” con cui le Procure secretano gli atti giudiziari, un segreto di Pulcinella che viene violato costantemente e mai nessuno viene chiamato a darne conto.

Mi chiedo: “Se il quotidiano la Repubblica ha pubblicato la notizia che cinque parlamentari della repubblica e circa duemila amministratori locali hanno richiesto il bonus, vuol dire che qualche manina scaltra e furbastra ha passato l’elenco completo e dettagliato, per nomi e cognomi, di tutti i presunti responsabili della cattiva azione sotto il profilo soltanto dell’etica”. Il quotidiano La Repubblica certamente senza una corposa documentazione probatoria non avrebbe mai lanciato la notizia.

E chi l’ha sganciata questa importante velina e quanto è costata a La Repubblica ? Questa è la domanda che deve tener banco nei prossimi giorni, e qualcuno deve rispondere a cominciare da Tridico. Qui è stata fraudolentemente violata una segretezza e qualcuno dovrà pagare. E se l’Inps non è capace di svelare il nome del furbastro traditore dell’etica esemplare dell’Istituto nessuno dovrà nascondersi dietro il paravento della privacy.

E’ allucinante che il presidente di un Ente pubblico così importante cerchi maldestramente di nascondere la talpa traditrice dietro lo scudo della privacy senza spiegare perché l’elenco dei richiedenti il beneficio sia stato trasmesso al giornale La Repubblica.

Non devono dimettersi soltanto gli sciagurati parlamentari, qui deve dimettersi il presidente Pasquale Tridico che con l’alzata dello scudo sta mettendo a rischio la credibilità di un Ente che lavora (quando può !!) al meglio del meglio con spiccate professionalità da Roma fino a Canicattì e rischia di inquinare addirittura il voto sul referendum; come dice Gianfranco Rotondi a Il Mattino (edizione 11.08.20): «Su questo non c’è dubbio. Serviva trovare cinque fessi perché nei sondaggi sul referendum sta crescendo il no».

Ma c’è di più: “Quando c’è una erogazione di denaro pubblico bisogna sapere da dove viene il denaro e dove va. Nel caso specifico dei deputati che hanno ottenuto il bonus da 600 euro, il principio della privacy in un modo o nell’altro sarà superato. In ogni caso i deputati sono tenuti a rendere pubblici i loro patrimoni e le loro entrate. Se nessun parlamentare dovesse auto-denunciarsi, neanche con il 730, la presidenza della Camera a quel punto potrà chiedere all’Inps di rendere pubblici i nomi dei deputati gratificati dal bonus perché il principio di trasparenza prevale su quello della privacy per chi svolgo attività pubblica”. Parola del professor Enzo Cheli, giurista, ex giudice della Consulta ed ex presidente dell’Autorità di Garanzia sulle Comunicazioni (fonte Il Mattino 11.08.20).

Non solo deve intervenire il Parlamento, o la Commissione, per ordinare a Tridico di svelare almeno in quella sede l’elenco completo che, in copia, è già stato offerto a Repubblica, ma nella fattispecie deve intervenire anche la magistratura perché è stato, palesemente, commesso un grave reato che prefigura risvolti penali anche pesanti; trasmettere un elenco del genere ad un giornale, o meglio ad un solo giornale, non è cosa assolutamente lecita.

Ma c’è ancora di più; con il suo atteggiamento Tridico rischia di essere accusato di parzialità politica da quei partiti che sono stati citati e che non hanno la possibilità, senza conoscere l’identità dei parlamentari, di intervenire drasticamente con sospensioni o imposizione di dimissioni.

NOTA CONCLUSIVA: La questione, a mio avviso, può essere racchiusa in poche battute. Un parlamentare o un amministratore regionale, provinciale e comunale quando viene meno al “mandato di fiducia” concesso dagli elettori non ha che una strada davanti a se: dimissioni.

N.B.: Gentile dottor Tridico ci voleva tanto per capire che per chi riveste funzioni pubbliche la privacy deve rimanere a casa ?

 

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