Sicurezza sul lavoro: tra interessi e speculazioni … la drammatica dichiarazione del padre di Matteo Leone

 

Aldo Bianchini

Matteo Leone, vittima del lavoro nel porto di Salerno

SALERNO – Ritorno sul caso della morte causata da un incidente su. Lavoro del giovane portuale di Salerno “Matteo Leone” dopo aver letto attentamente la bella intervista, ancorchè drammatica nei contenuti, realizzata dall’ottima Carmen Incisivo per il quotidiano “Il Mattino” edizione del 23 giugno scorso.

La Incisivo è riuscita ad entrare nell’animus confidenti di Emilio Leone, papà di Matteo, ed a portarlo su una strada senza ritorno, nel senso che dopo la dichiarazione di Emilio pochissimi soggetti (titolati a rendere il porto di Salerno un luogo sicuro) potranno sottrarsi alle loro responsabilità.

L’intervista realizzata da Carmen Incisivo merita, quindi, un serio e doveroso approfondimento non soltanto da parte del sottoscritto (che per 40 anni ha svolto il compito di ispettore di vigilanza degli infortuni sul lavoro) ma di tutte le istituzioni competenti.

Emilio Leone (anch’egli già portuale e già colpito da infortunio sul lavoro, miracolosamente senza grosse conseguenze a livello fisico), con l’esperienza propria del lavoratore impegnato sul campo e senza fronzoli dialettici e/o filosofici, ha messo in evidenza in maniera brutale (forse perché sovrastato dal dolore per la perdita del figlio) alcuni particolari che possono, in effetti, costituire le fondamenta della cultura della prevenzione: il porto visto come una sedia elettrica, gli investimenti pubblici e privati sulla sicurezza e la possibile distrazione dei lavoratori.

Area portuale come una sedia elettrica: il grido di dolore di Emilio è assolutamente reale e rispecchia la situazione logistica del porto di Salerno, stretto com’è tra il mare e i monti, con spazi veramente risibili per quelle che dovrebbero essere le dimensioni finalizzate ad agevoli spostamenti per le merci, per le attrezzature tecniche e, soprattutto, per le risorse umane che all’interno di questo complesso sistema sono chiamati a lavorare per diverse ore al giorno con qualsiasi clima ambientale e uno stress non facilmente quantificabile. Del resto lo stesso presidente Andrea Annunziata ha più volte denunciato questa grave carenza ed ha sollecitato le istituzioni a creare un retroterra portuale da attrezzare per l’agevole smistamento delle merci. Qui, però, è prevalso l’interesse economico che, badate bene, non è da ascrivere soltanto alle aziende private che operano nel porto, ma anche agli stessi lavoratori portuali che attraverso una movimentazione forzata di grossi quantitativi di merci traggono, forse, anche maggiori introiti a livello personale; e questo induce anche i sindacati a blaterare ma a non andare oltre perché intaccherebbero i vari interessi in campo. Qualcuno, a cominciare dal presidente dell’Autorità Portuale, dovrà farsi carico di questa problematica ed avere il coraggio di chiudere qualcosa, semmai a settori alterni, per creare quegli spazi utili a rendere il lavoro più sicuro e non a rischio mortale da sedia elettrica.

Luana D'Orazio, inghiottita viva da un orditoio

Investimenti pubblici e privati: La questione è come il gatto che si morde la coda; gli investimenti pubblici e privati non mancano, anzi ce ne sono fin troppi; il problema è che vengono dispersi in mille rivoli che non producono gli effetti voluti, a cominciare dalla famigerata “formazione” che in questo Paese è servita soltanto a far arricchire agenzie e istruttori privati, con gente che in molti casi non ha mai fatto un accesso su un cantiere di lavoro. In questa materia, ancora magmatica, ci vorrebbe un serio e controllato modello lavorativo; gli ispettori di vigilanza servono soltanto dopo e la loro azione non dipende dal loro numero esiguo rispetto alla quantità numerica dei lavoratori. Insomma soltanto chiacchiere al vento.

Distrazione colposa dei lavoratori: “Non voglio essere censore della vita privata di nessuno ma la birra va bevuta dopo il turno, lontani dal luogo di lavoro. Sul lavoro gli occhi vanno tenuti aperti e l’attenzione deve essere altissima, basta protagonismo ed esibizionismo”, ha dichiarato Emilio Leone alla giornalista Carmen Incisivo volendo forse alludere alla chiacchiere sull’atteggiamento del lavoratore che era alla guida del carrello che ha investito il figlio Matteo. Con questa frase Emilio apre, forse anche a sua insaputa, una voragine sulle cause e circostanze che spesso determinano l’infortunio sul lavoro. L’ho scritto tante volte che l’infortunio è la punta finale di una combinazione di circostanze: età del lavoratore, anni di lavoro, tipologia del lavoro, riflessi fisici e psicologici delle ore lavorate in una stessa giornata ovvero lo stress, attitudine al lavoro eseguito, abitudine al tipo di lavoro che causa fatalmente la distrazione, anche attraverso una bottiglietta di birra bevuta incautamente mentre si lavora nell’ottica di non perdere tempo per guadagnare di più.

E ritorniamo, inevitabilmente, al punto di partenza: la redditività dell’impresa in funzione delle committenze e delle commesse finalizzate ad un maggiore incremento economico per tutti. Ma questo lo esamineremo nei dettagli in un prossimo articolo, con l’aiuto del dr. Carmine Traversa (presidente nazionale della LAIF, sindacato delle aziende tessili del façon) per capire ancora meglio l’infortunio mortale occorso a Luana D’Orazio perché risucchiata e stritolata in un orditoio che forse era stato manomesso per motivi di produttività economica.

 

 

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