il Quotidiano di Salerno

direttore: Aldo Bianchini

L’impresa saggia per un nuovo Umanesimo nel lavoro.

 

Prof. Nicola Femminella (scrittore)

Fin dal 1987, anno in cui visitai il Giappone per osservare da vicino il sistema delle piccole banche e in che modo fosse strutturata e organizzata la scuola, ho seguito con particolare interesse le vicende che accadono in quel paese lontanissimo e scoperto taluni capitoli della sua cultura millenaria. Lì si colgono sicuramente notizie e fatti inediti, talvolta neppure intraviste nell’universo del pensiero occidentale. Sono convinto che molti contributi possono derivare da quel paese sui grandi temi che interessano l’umanità e sulle incombenze  più rilevanti che l’attanagliano: l’inquinamento, i cambiamenti del clima, la povertà nel mondo, la crescita della popolazione mondiale, le nuove tecnologie, la lotta per i minerali strategici, l’antagonismo tra le superpotenze economiche e militari, ecc… In particolare mi interessa in che modo è rispettato il vissuto quotidiano di ogni singolo individuo, il suo essere nel mondo, i suoi bisogni vitali, la sua gioia di vivere e contemporaneamente come è garantita la sua identità come atomo di un universo vasto, nel quale si spostano gli esseri umani e le merci incalzati dalle innovazioni e dalle tecnologie che sempre più modificano i sistemi di vita, di lavoro, del tempo libero, introducendo modelli che fra poco saranno creati dai robot e dalle macchine raziocinanti, ma quasi sempre orientati ad approfittare dei più deboli.  Mentre gli studiosi di sociologia non al soldo di interessi e potentati economici globali avvertono che la ricerca oggi più utile è quella con la quale rendere degno di essere studiato lo spazio di vita che è dato a ciascuno su questa Terra. Che sia felice o che almeno veda riconosciuto i diritti primari come il mangiare, la salute, un lavoro minimo. Il poter mettere su famiglia.

Su questo versante nei giorni scorsi ho letto il libro di Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuch, “L’impresa saggia” (Guerini editore), dopo aver dato una scorsa all’intervista del primo concessa all’Espresso. L’autore del libro è docente dell’università di Tokio, pur avendo superato gli 80 anni, ed è tra i maggiori esperti nel cosmo dei problemi riguardanti il ruolo di coloro che curano l’organizzazione delle aziende e la loro governace. A lui guardano gli studiosi e il gotha dell’economia, ma anche i governanti di tutti i paesi e gli scienziati di altre discipline.

Dopo aver detto che i vecchi e tradizionali modelli dell’economia arretrano e scompaiono di fronte all’incalzare delle nuove tecnologie e ai ritrovati delle scienze che, con ritmi forsennati, sono messi a punto nei laboratori del digitale senza limite alcuno, lo studioso giapponese afferma la necessità di un nuovo Umanesimo, di modelli nell’economia e nel lavoro che guardino all’uomo come specie pregiata da salvaguardare, una risorsa da impiegare tenendo in gran conto il rispetto per la sua dignità. Non un numero da costringere in un algoritmo senza anima, inserito in una produttività scandita da una velocità insostenibile ma una persona a cui garantire il respiro vitale. È interesse anche delle aziende, dice, comprendere i nuovi cambiamenti, le mutate transazioni commerciali, il rapporto tra gli stati e la libera circolazione di merci e risorse umane, i diversi sistemi fiscali e le decolonizzazioni delle aziende.  E la crisi per il Covid richiama il management mondiale e gli suggerisce qualche riflessione nella direzione giusta. Ma è da approfondire anche il nuovo rapporto tra il singolo individuo utilizzato e l’azienda come “macchina gigantesca” con la sua oggettività pervasiva e primaria. Ebbene Ikujiro Nonaka a questo punto avanza uno dei suoi convincimenti: l’organizzazione del lavoro non può non avere nelle trame del suo “corpo complessivo” la bellezza, la bontà, la verità. Un volto umano da cui possa nascere l’impresa saggia, perché salva i protagonisti che in essa operano: il profitto e l’addetto che lo produce. Verso una interazione che crei condizioni di “stabilità permanente”, accettata dal fluire “fisiologico” di chi le fornisce braccia ed energia mentale e le richieste macinanti di chi detiene il capitale e ne indirizza il cammino verso i bilanci positivi e il profitto per reggere la competizione planetaria. La robotica e l’intelligenza artificiale, aggiunge Nonaka, non daranno mai del tutto “significato e valore” alla produzione né potranno mutuare del tutto la creatività che solo l’uomo può garantire. Piuttosto oggi bisogna utilizzare le scoperte dei neuroscienziati, e cita quella del “neurone specchio” fatta da Giacomo Rizzolatti, che ho la fortuna di conoscere, tra i dieci scienziati italiani più famosi di tutti i tempi, perché nasca e si rafforzi il processo di empatia tra l’azienda e la forza lavoro, tra tutti coloro che operano in essa con gradi diversi, tra lavoratore e lavoratore. Empatia per il prodotto finale che può sviluppare la creatività del lavoratore per accrescerne il valore.

Prof. Nicola Femminella

Qualcosa del genere persegue “La Scuola Empatica” creata dall’amico poeta Menotti lerro e sorta tra Milano e il nostro Cilento, a cui ho fornito il mio piccolo contributo. Il rapporto tra gli uomini si è deteriorato per la difesa bieca degli interessi personali. Si assiste a lotte inarrestabili per affermare se stesso. Non c’è istituto pubblico o privato in cui non appaia la controversia, l’opposizione, il contrasto, la corsa verso l’accaparramento di posizioni privilegiate, talvolta il malcostume. Basta seguire i numerosi dibattiti televisivi dove non prevalgono le tesi rispettose di quelle altrui, ma quelle di chi grida di più, eccelle nelle volgarità, diffonde odio. E i più degli spettatori a decretarne la notorietà e la supremazia, ad appoggiare le sue comparsate fino a costituire il dannoso gioco delle due schiere contrapposte per stabilire… il sesso degli angeli. La Scuola Empatica sostiene, invece, che è necessaria una inversione e ancora una volta sono chiamati in campo gli artisti, i poeti, gli scienziati, i filosofi, che, eliminando le divisioni che si sono infiltrate anche nelle loro file, devono richiamare la società tramite il bello dell’arte e il buono delle azioni umane che diventano mezzo per sviluppare il neurone specchio, quello che produce empatia per l’altro.

Interessante è per me l’importanza che il pensatore giapponese affida alla lettura che rende più saggi coloro che la praticano, indirizzandoli verso il bene comune. È lo slogan che ho portato nelle scuole per alcuni decenni:  “Leggi e perseguirai il bello, il buono e il vero”. I valori universali già enunciati dalla filosofia greca presocratica. Non a caso, con chi giudica “troppo orientali” le sue teorie, Nanoko precisa che le sue teorie affondano nel pensiero di Aristotele.

Se ci si sofferma  sullo stillicidio degli operai della multinazionale Whirlpool che dal 1° novembre 2020 vivono uno stato di agitazione per tagli, licenziamenti e l’annunciata chiusura finale delle attività; oppure i 422 licenziamenti arrivati per e-mail ai dipendenti della Gkn di Campi Bisenzio come era successo già alla Gianetti Ruote, in Brianza: 152 persone a casa; se si conoscono i milioni di essere umani sommersi nel lavoro nero, in quello sottopagato, in quello del tempo determinato che in molti casi dura dieci anni e nelle varie forme di caporalato, non si può fare a meno di accettare gli inviti che provengono da Ikujiro Nonaka.

Nel Vallo di Diano sono sorte delle aziende che per il coraggio, l’intraprendenza imprenditoriale, le capacità manageriali,  i sacrifici e il duro lavoro messi in campo da coloro che le hanno fondate, costituiscono ormai una realtà economica che crea fatturato e lavoro per centinaia di impiegati. Alcune le ho visitate. Un piccolo miracolo economico che, se non ci fosse, il fenomeno dello spopolamento dalle nostre parti assumerebbe una portata biblica, la desertificazione dei nostri abitati. Auguro loro con tutto il cuore che il luminoso cammino intrapreso proceda e dia risultati sempre più importanti, anche perché nel Cilento dare lavoro è opera degli dei. Spero che maestranze e datori di lavoro sappiano mantenere al loro interno un rispetto reciproco e uno sforzo unitario perché si proceda nella direzione fin qui segnata. Alcuni decenni addietro ho assistito alle lotte tra contadini, operai e patronato della Sillat, una azienda lattiero-casearia in quell’epoca affermatasi in Italia e sui mercati di tutte le regioni meridionali. Come amministratore comunale, con alcuni amici che rivestivano lo stesso mio ruolo politico, fummo presenti in tutte le fasi della controversia, svolgendo una funzione di mediazione e predicando la prudenza, senza essere ascoltati. Quella stagione maledetta creò l’affossamento e la scomparsa dell’azienda in poco tempo con conseguenze infauste. Questo articolo lo dedico ai lavoratori e ai proprietari delle aziende perché insieme proseguano verso un destino prospero e sempre più significativo. Ognuno svolgendo il proprio compito, senza mai mettere da parte un dialogo civile e rispettoso tra le parti. Senza le macchinette diaboliche di una nota multinazionale, che scandiscono i tempi demoniaci degli addetti che corrono per tutto il giorno tra gli scaffali.

 

 

 

 

 

 

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