SICUREZZA: è il turno di Laila … tra chiacchiere e latitanze !!

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Quando in un Paese la media giornaliera di tre infortuni mortali sul lavoro non si abbassa vuol dire che qualcosa non funziona, ma vuol dire anche che nessuno, dal Presidente della Repubblica fino all’ultimo preposto alla sicurezza, va al di là delle solite chiacchiere in politichese per affrontare e risolvere il gravoso problema.

Questa media è ormai costante da moltissimi anni, seppure ci siano stati dei piccoli alti e bassi che nella sostanza non hanno modificato la drammaticità del problema; e soltanto oggi sembra che le istituzioni se ne accorgano. Perdere tre vite umane al giorno per infortuni sul lavoro è davvero un peso insopportabile per un Paese civile.

Ma c’è, naturalmente, di più; tutto il fenomeno infortunistico sul lavoro (che non è costituito soltanto dai morti che danno fiato agli inutili strombazzamenti di quelli che promettono mare e monti e che sul piano pratico, pur potendo, non fanno un bel niente) raggiunge i 500mila casi all’anno con un costo sociale che incide mediamente per un totale di risarcimenti economici che si attesta annualmente tra i 30 e i 40 miliardi di euro; senza contare il dramma che diffonde in migliaia di famiglie stravolte dai danni fisici permanenti in danno dei loro congiunti. Per lo stato sociale, quindi, siamo di fronte ad un problema insormontabile. Insomma il fenomeno infortunistico vale, più o meno, quanto una finanziaria che siamo costretti a portarci sulle spalle da decenni e non si sa per quanti decenni ancora.

In questi giorni i grandi network del Paese evocano la catastrofe di Marcinelle e ripropongono le compassate dichiarazioni di tutti i personaggi politici e istituzionali che, con la certezza che la risonanza dell’ultima morte sul lavoro passa presto, si spendono in promesse allucinanti ben sapendo di non doverle mantenere mai. Ma dimenticano la storia reale della prevenzione antinfortunistica di questo Paese, un a storia che racconterò nella prossima puntata.

Questa volta è stato, tra gli altri, il turno spettacolare di Liala El Harim, una giovane quarantenne morta in uno stabilimento industriale del modenese (in loc. Bastiglia di Bombonette di Camposanto) perché rimasta imbrigliata in un macchinario (per la precisione una fustellatrice) che l’ha uccisa. Lascia una figlia di 4 anni e il compagno.

E’ accaduto, manco a dirlo, a pochi chilometri dallo stabilimento dove qualche mese fa Luana D’Orazio, 22 anni, fu inghiottita da un orditoio tessile nei pressi di Prato.

Ma in questi ultimi mesi di morti bianche sul lavoro ce ne sono state diverse altre, anche a Salerno un giovane portuale è morto mentre lavorava sulle banchine.

Ed al centro dell’attenzione mediatica, ma solo per fare cronaca e basta, è ritornato il quadrilatero dell’economia tessile di questo Paese, quello emiliano per intenderci, quello che nonostante i gravi problemi infortunistici garantisce la sopravvivenza del settore façon e di migliaia e migliaia di posti di lavoro. Ed in tanti a descriverlo come un mostro malefico privo di ogni coscienza umana, ben sapendo che non è così. Ed in questi giorni sono ritornati gli allarmi lanciati dai sindacati, dai politici, dalle istituzioni e dalla stampa; fra qualche giorno tutto finirà nell’attesa di un nuovo e semmai più grave infortunio e meglio ancora se più impattante sul piano mediatico di quest’ultimo.

Faccio un esempio, ma solo un esempio; il 25 maggio 2021 nel porto di Salerno è morto, a causa ed in occasione di lavoro dipendente, il 34enne Matteo Leone investito accidentalmente da un collega che stava alla guida di un carrello in uno spazio molto ristretto che non consentiva manovre in sicurezza. Ho risfogliato i giornali dell’epoca e, in verità, ho avvertito un segno di vergogna innanzitutto come giornalista che constata l’insipienza di una stampa che non riesce a prendere un argomento e portarlo fino alla fine; poi sono rimasto imbarazzato dalle tante dichiarazioni di chi può incominciare a prendere provvedimenti e non lo fa; infine addolorato per le insinuazioni che la stessa stampa ha adombrato sulla fatalità dell’accaduto riconducibile, per tanti imbecilli, al comportamento distratto del compagno di lavoro. Sembrava che dovesse accadere la fine del mondo, invece niente.

Sono passati circa settanta giorni da quel luttuoso evento, ma nessuno di quei personaggetti salernitani e non che hanno utilizzato la stampa per fini propagandistici è più ritornato sull’argomento con proposte costruttive e risolutive (le telecamere nel porto annunciate dopo lo scandalo della droga non servono nemmeno a monitorare le carenze della sicurezza !!). Tutti, purtroppo, aspettano il nuovo infortunio mortale. Ad onor del vero l’Autorità di sistema portuale del mare Tirreno Centrale ha preparato il Documento di pianificazione strategica e di sistema e che è stato strombazzato in tutte le lingue: ma nel documento c’è un capitolo dedicato alla sicurezza ?

 

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