il Quotidiano di Salerno

direttore: Aldo Bianchini

PAPA Francesco in Slovacchia. «La Croce non è simbolo politico». Ai Rom: «Chiesa è casa vostra»

 

da L’Avvenire – Mimmo Muolo, inviato a Prešov, Slovacchia martedì 14 settembre 2021

 

Francesco ha celebrato la Divina Liturgia a Prešov, davanti a 30mila fedeli. Nel pomeriggio l'incontro con i Rom: «No ai pregiudizi e alla ghettizzazione». Poi allo stadio con i giovani

“Non riduciamo la Croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale”. Bisogna imparare a “passare dai pregiudizi al dialogo, dalle chiusure all’integrazione”. Sono i due forti appelli che il Papa ha lanciato da Presov e dal quartiere ghetto di Lunik a Kosice, nella Slovacchia orientale, dove ha trascorso la terza giornata del suo viaggio in Slovacchia, dopo la tappa di Budapest. Nel primo caso ha celebrato la Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, davanti a più di 30mila fedeli cattolici di rito bizantino, riuniti nel piazzale antistante il locale palazzetto dello sport. Nel secondo appuntamento parlava davanti alla comunità dei Rom, ai quali ha detto: “La Chiesa è casa vostra”. A chiusura del programma l’incontro con i giovani nello stadio Lokomotiva di Kosice, in un entusiasmo da Gmg.

A Presov fece sosta anche Giovanni Paolo II, nel 1995, (tra l’altro siamo a 150 chilometri da Cracovia e spesso Wojtyla, quando andava sui monti Tatra, sconfinava sul versante slovacco). Erano gli anni in cui si stava ricostituendo la comunità cattolica, duramente perseguitata negli anni del regime comunista, anche con forzate annessioni alla Chiesa ortodossa. Francesco ha infatti ricordato in un passaggio dell’omelia “le persone generose che hanno patito e sono morte in Slovacchia a causa del nome di Gesù”. Ma prendendo spunto dall’odierna festa dell’Esaltazione della Croce si è soffermato soprattutto sul corretto modo di testimoniare Gesù crocifisso nella vita di tutti i giorni, invitando a evitare di “inficiare” questa testimonianza con la “mondanità” e la “mediocrità”. Soprattutto il Papa ha messo in guardia dalla “grande tentazione” di “aspirare a un cristianesimo da vincitori, a un cristianesimo trionfalistico, che abbia rilevanza e importanza, che riceva gloria e onore”.

“La Croce – ha spiegato il Pontefice – esige invece una testimonianza limpida. Perché la croce non vuol essere una bandiera da innalzare, ma la sorgente pura di un modo nuovo di vivere”. In sostanza lo stile di vita delle Beatitudini. “Il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo – ha proseguito Francesco – non vede nessuno come nemico, ma tutti come fratelli e sorelle per cui Gesù ha dato la vita. Il testimone della croce non ricorda i torti del passato e non si lamenta del presente. Non usa le vie dell’inganno e della potenza mondana: non vuole imporre sé stesso e i suoi, ma dare la propria vita per gli altri. Non ricerca i propri vantaggi per poi mostrarsi devoto: questa sarebbe una religione della doppiezza – ha sottolineato ancora il Papa -, non la testimonianza del Dio crocifisso”. In altri termini “il testimone della croce persegue una sola strategia, quella del Maestro: l’amore umile. Non attende trionfi quaggiù, perché sa che l’amore di Cristo è fecondo nella quotidianità e fa nuove tutte le cose dal di dentro, come seme caduto in terra, che muore e produce frutto”.

Se non si fa così “la croce rimane un libro non letto, di cui si conoscono bene il titolo e l’autore, ma che non incide nella vita”, ha commentato papa Francesco, che su questo tema è in pratica tornato in ogni tappa di questo suo 34° viaggio internazionale. E non è certo un caso che egli lo faccia qui nel cuore dell’Europa, in cui più forte si avverte il richiamo di forze politiche e culturali che fanno riferimento alla croce come a un simbolo identitario, propagandando al contempo legislazioni non inclusive e solidali. Il richiamo del Papa appare però diretto non solo a certi uomini politici o a certi partiti, ma a tutti. Anche all’uomo della strada e alle famiglie. “La croce è dipinta e scolpita in ogni angolo delle nostre chiese – ha detto in un altro passaggio dell’omelia -. Non si contano i crocifissi: al collo, in casa, in macchina, in tasca. Ma non serve se non ci fermiamo a guardare il Crocifisso e non gli apriamo il cuore, se non ci lasciamo stupire dalle sue piaghe, aperte per noi”. In tal modo il viaggio a Budapest e in Ungheria si sta caratterizzando come un itinerario in cui il Papa pone l’accento non su una religiosità fatta di riti esteriori, simboli identitari e difesa delle tradizioni per altri fini, ma sulla fede viva, che traendo linfa dall’amore per Gesù si trasforma in braccia aperte per accogliere i fratelli. Proprio come le braccia di Cristo sulla croce.

 

Due gli incontri del pomeriggio: alle 16 con la comunità Rom nel Quartiere Lunìq IX a Kosice, cui Papa Francesco porterà un saluto, e alle 17 l’incontro con i giovani ai quali indirizzerà un discorso presso lo Stadio Lokomotiva a Kosice. La partenza in aereo per Bratislava è prevista alle 18.30, con arrivo un’ora dopo. – Reuters

Il Papa è arrivato a Presov, partendo di buon mattino dall’aeroporto di Bratislava, atterrando a Kosice, seconda città della Slovacchia e poi trasferendosi in auto fino al luogo della celebrazione. Qui è stato accolto dall’arcieparca metropolita (l’equivalente dell’arcivescovo per i cattolici di rito latino), monsignor Jan Babiak, un gesuita molto attivo nella pastorale, che gli ha rivolto calde parole di benvenuto. Alla Divina liturgia era presente tra gli altri il cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia e segretario di Giovanni Paolo II, il quale era al fianco del Papa ora santo anche nella visita del 1995.

Il Papa tra i Rom: «Integrazione, non discriminazione»

No ai pregiudizi e alle chiusure. Sì al dialogo e all’integrazione. Il Papa spalanca le braccia alla comunità Rom e dice loro: “Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma nel cuore. La Chiesa è casa vostra. Siete benvenuti e non abbiate mai paura di abitarci. Nessuno tenga fuori voi o qualcun altro dalla Chiesa”. Sono le parole che il Pontefice pronuncia al Lunìk IX di Kosice, la zona a più alta densità di popolazione Rom in Slovacchia, dove giunge nel pomeriggio. Grandi ovazioni per lui e la testimonianza di una famiglia Rom, con due bambini, inserita nel mondo del lavoro.

Il quartiere fu costruito negli anni ’70 per l’edilizia popolare, ma progressivamente è diventato un vero e proprio ghetto. Abitazioni prive di gas e riscaldamento e con l’acqua corrente disponibile sono in alcune ore del giorno. Alcuni palazzi sono stati addirittura abbattuti, perché pericolanti. E dappertutto povertà e degrado per i 4.300 abitanti censiti (ma c’è chi dice che siano il triplo).

Ma oggi è un giorno di festa, testimoniato dai canti e dai balli che precedono l’arrivo del Pontefice. Tanti sono intorno al palco papale. Altri seguono l’incontro affacciati dalle finestre dei palazzoni del rione. Il Lunìk IX è infatti anche una storia di evangelizzazione e di riscatto, grazie alla missione dei salesiani, che vi hanno costruito la chiesa del Cristo Risorto, con l’annesso Centro pastorale. Si comincia avvicinando i bambini e le loro madri, per avviare i primi all’oratorio e le seconde al servizio di lavanderia. Quindi ai giovani si offre formazione scolastica, mentre per i genitori si creano contatti con l’ufficio di collocamento, nella speranza di trovar loro un lavoro. Il direttore è don Peter Besenyei, che ha dedicato tutta la vita sacerdotale ai Rom e che il Papa ringrazia pubblicamente. Lui e i suoi collaboratori, fa intendere Francesco, sono stati capaci di vincere i pregiudizi, “ricevendo spesso in cambio “incomprensione e ingratitudine, magari persino nella Chiesa”. Invece bisogna ascoltare Cristo che dice “non giudicate”. Perciò il Papa invita a non essere “giudici rigorosi degli altri e indulgenti con noi stessi”. “Non si può ridurre la realtà dell’altro ai propri modelli preconfezionati”. Per conoscere veramente le persone, “bisogna riconoscerle”, dato che “ciascuno porta in sé la bellezza insopprimibile di figlio di Dio, in cui il Creatore si rispecchia”.

Ai Rom Francesco dice: “Troppe volte siete stati oggetto di preconcetti e di giudizi impietosi, di stereotipi discriminatori, di parole e gesti diffamatori. Con ciò tutti siamo divenuti più poveri, poveri di umanità. Quello che ci serve per recuperare dignità è passare dai pregiudizi al dialogo, dalle chiusure all’integrazione”. E ancora: “Ghettizzare le persone non risolve nulla. Quando si alimenta la chiusura prima o poi divampa la rabbia. La via per una convivenza pacifica è l’integrazione”.

Quindi Francesco chiede di fare scelte coraggiose a favore dei bambini, la scuola soprattutto. “Voi non fate assistenzialismo sociale, ma accompagnamento personale”, conclude il Papa, che nel suo abbraccio racchiude tutti gli emarginati, compresi i detenuti ai quali manda un saluto. Per tutti, prima della benedizione finale, l’invito “ad andare oltre le paure, oltre le ferite del passato, con fiducia, passo dopo passo: nel lavoro onesto, nella dignità di guadagnare il pane quotidiano, nell’alimentare la fiducia reciproca”.

Allo stadio con i giovani: “Attenti ai manipolatori di felicità”

La giornata del Papa, prima del suo rientro a Bratislava, si è conclusa allo stadio Lokomotiva di Kosice, la seconda per importanza della Slovacchia, dove Francesco è stato accolto dai giovani che gli hanno riservato un benvenuto assai caloroso, in sitle Gmg. Il Papa, sorridente anche se comprensibilmente un tantino stanco, ha fatto il giro dei settori in papamobile tra l’entusiasmo e i canti dei ragazzi. E ha ascoltato le testimonianze previste dal programma. Quando è toccato a una giovane coppia con tre bambini piccoli, il maschietto ha abbracciato il Pontefice come un nonno.

In questo stadio fu beatificata nel 2018, Anna Kolesarova, la Maria Goretti slovacca, uccisa durante la II Guerra mondiale da un soldato sovietico che la voleva violentare. “Eroina dell’amore”, l’ha definita il Pontefice. Che in nome suo ha chiesto ai ragazzi di “puntare a traguardi alti”. “Non facciamo passare i giorni della vita come le puntate di una telenovela”, ha detto mettendo in guardia dai “manipolatori di felicità”, dagli “amplificatori di negatività”, dai “professionisti della lamentela”. “E quando sognate l’amore, non credete agli effetti speciali, ma che ognuno di voi è speciale”, ha aggiunto. “La vera rivoluzione è ribellarsi alla cultura del provvisorio, è andare oltre l’istinto e oltre l’istante, è amare per tutta la vita con tutto sé stessi”. Francesco ha anche consigliato ai giovani di coltivare le proprie radici, il rapporto con i genitori e i nonni, senza perdersi nei messaggi virtuali. “Disconnetterci dalla vita non fa bene”. Infine l’invito a confessarsi spesso, a “non rimanere prigionieri della vergogna” dei peccati. “Dio non si vergogna mai di te – ha concluso Francesco – Lui ti ama proprio lì, dove tu ti vergogni di te stesso. E ti ama sempre”. A braccia aperte come sulla croce.

 

 

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