Consiglio di Stato: l’obbligo vaccinale imposto ai sanitari non si fonda solamente sulla relazione di cura e fiducia che li lega ai pazienti, bensì scaturisce da un più generale dovere di solidarietà imposto a tutti i cittadini verso gli individui più fragili, ovvero coloro che rischiano di morire a causa del virus Covid-19.

 

 

dr. Pietro Cusati (giornalista)

 

Roma,20 ottobre 2021 Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale,Sezione Terza, il 20 ottobre 2021,ha pronunciato la sentenza concernente l’appello emessa dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, sez. I. Gli appellanti sono costituiti da esercenti professioni sanitarie e da operatori di interesse sanitario nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, non ancora sottoposti alla vaccinazione obbligatoria contro il virus Sars-CoV-2 prevista dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, conv. con mod. in l. n. 76 del 2021. Gli appellanti  contestano  gli atti con i quali le Aziende Sanitarie friulane hanno inteso dare applicazione, nei loro confronti, dell’obbligo vaccinale c.d. selettivo previsto dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario. La vaccinazione costituisce espressamente «requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati» ed è somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle Regioni, dalle Province Autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in conformità alle previsioni contenute nel piano. L’unica esenzione dall’obbligo vaccinale, con differimento o, addirittura, omissione del trattamento sanitario in prevenzione, è doverosamente prevista per il solo caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale. Gravi ed incisive sono le conseguenze dell’inadempimento ingiustificato all’obbligo vaccinale perché, come prevede espressamente l’art. 4, comma 6, del d.l. n. 44 del 2021, decorsi i termini per l’attestazione dell’adempimento dell’obbligo vaccinale  l’A.S.L. competente accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza.. L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’A.S.L. determina «la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2» . La sospensione è comunicata immediatamente all’interessato dall’Ordine professionale di appartenenza e, ricevuta la comunicazione  il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile,cioè, «fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021» , non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato. Osserva il Consiglio di Stato che la sicurezza e l’efficacia dei vaccini in uso sono state accertate in sede di autorizzazione condizionata, all’esito di rigorose procedure rispettose di tutti gli standard di ricerca e di sperimentazione condivisi dalla comunità scientifica internazionale, e non vi è ragione alcuna né gli appellanti hanno addotto, con la genericità delle loro deduzioni, validi e documentati argomenti confutativi per ritenere che il sacrificio imposto ad essi, con la vaccinazione obbligatoria, sia eccessivo, sproporzionato, nella doverosa valutazione scientifica del rapporto tra rischi e benefici e, comunque, che questo rischio, per quanto sconti un margine di c.d. ignoto irriducibile (insito, nel resto, nell’utilizzo di un qualsivoglia farmaco), non rientri nella media, tollerabile, degli eventi avversi già registrati per le vaccinazioni obbligatorie in uso da anni. È fuor di luogo ,al di là della impossibilità, per il giudice nazionale, di disapplicare direttamente una norma nazionale contrastante con la Convenzione , anche il richiamo all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in quanto l’art. 8 della Convenzione, contrariamente a quanto assumono gli appellanti, consente invece l’ingerenza pubblica nella sfera privata e familiare a precise rigorose condizioni, fissate dalla più recente giurisprudenza della Corte EDU intervenuta proprio in materia di vaccinazioni obbligatorie, e che sono ampiamente rispettate, a giudizio del Collegio, nel caso di specie, in quanto essa persegue una finalità di un interesse pubblico, il contenimento del contagio, per la tutela della società democratica, a tutela dei soggetti più fragili, di fronte ad una pandemia di carattere globale e alla minaccia di un virus a trasmissione aerea particolarmente pericoloso per i soggetti più vulnerabili, affetti già da altre malattie o anziani, mediante la somministrazione di un vaccino sulla cui efficacia e sicurezza si registra il general consensus della comunità scientifica. Nell’eventualità che perduri la gravità della situazione sanitaria e l’insostenibilità a lungo termine delle limitazioni alle attività sociali ed economiche, «non vada esclusa l’obbligatorietà dei vaccini, soprattutto per gruppi professionali che sono a rischio di infezione e trasmissione di virus; tale obbligo dovrà essere revocato qualora non sussista più un pericolo significativo per la collettività».La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati, ed è somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle Regioni, dalle Province Autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in conformità alle previsioni contenute nel piano. Secondo il Consiglio di Stato l’obbligo vaccinale imposto ai sanitari non si fonda solamente sulla relazione di cura e fiducia che li lega ai pazienti, bensì scaturisce da un più generale dovere di solidarietà imposto a tutti i cittadini verso gli individui più fragili, ovvero coloro che rischiano di morire a causa del virus Covid-19. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sezione III, con la Sentenza del 20 ottobre 2021, n. 7045. Alcuni esercenti professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, non ancora sottoposti alla vaccinazione obbligatoria contro il virus Sars-CoV-2 hanno impugnato in appello al Consiglio di Stato  la sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia che aveva dichiarato inammissibile il ricorso collettivo e cumulativo proposto dai medesimi appellanti avverso gli atti delle Aziende Sanitarie friulane che  hanno inteso dare applicazione nei loro confronti dell’obbligo vaccinale.L’art. 4, al comma 1, dispone che, in considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla completa attuazione del Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, finalizzato a garantire il massimo livello di copertura vaccinale sul territorio nazionale, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, nella finalità di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2.L’unica esenzione dall’obbligo vaccinale, con differimento o, addirittura, omissione del trattamento sanitario in prevenzione risulta prevista  per l’unica ipotesi di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni  cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale.

 

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