Aglio e Travaglio

 

da Antonio Cortese (giornalista)

 

Non ci sono quasi mai riusciti, il giornalismo watchdog di Rai Tre, e nemmeno vari programmi stagionali o di inchiesta plastificata. Invece Giletti al di là del torto o della ragione, che in tivvù é più una questione di immagine e di orgoglio, di reputazione e consenso, sta in pochi giorni dimostrando che fare giornalismo di inchiesta è ancora possibile. Anche in televisione, o per la televisione. Ma in più c’è il vento a favore degli inquirenti, forze dell’ordine e di giudizio, che altrimenti si occupavano dello scippo nei vicoli o del gratta, ruba e scappa. I fantasmi e lo spirito di Antonio Di Pietro hanno imparato a scrollarsi le cadenze dialettali, i balbettii e le origini zotico arricchite, acculturate,  ma trent’anni fa ancora inesperte nel lavare le mani o lavarsele da sé. Come canta Vasco Rossi in una canzonetta dei tempi già precedenti a Tangentopoli, ora c’è “gente più capace, macchine veloci” nella hit fine anni ottanta “C’è chi dice no”. Uno di questi é Marco Travaglio che da solo tenta di sbugiardare faldoni su faldoni di inchieste che neanche i magistrati sanno spesso gestire. Ma nel vortice dello show spezzatino, con la pubblicità dei piselli congelati e del ramarro della “Fintus”* che ti fa dimenticare tutto e subito per cucinarti cinque friarelli americani, è sempre stata una vox clamans in deserto. Un deserto però solcato lentamente dal Massimo nazionalpopolare che da intervistatore di oche giulive è divenuto, polemica patinata dopo polemica patinata, un personaggio determinante, almeno alle cronache odierne. Con un paio di dissimulazioni, facendo del proprio salotto televisivo un’arena nota ai palinsesti invece col nome “Non é l’Arena” ha buttato nell’agone politico più di un protagonista invertendo i ruoli di una sceneggiatura che come il direttore Aldo Bianchini ha già prefigurato, non è più di facile lettura, confondendo il regista su chi sia ora piuttosto l’antagonista.

 

*(nulla contro il valore della nota marca riferita di surgelati che nessun italiano non abbia mai comperato o apprezzato positivamente se non come mito pubblicitario in parodia: es. Cocacola- “pocacola”- “cocacosa?”)

 

 

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