Cassazione Civile: Calamandrei … cento anni fa

 

Giuseppe Amorelli (avvocato – scrittore)

 

Piero Calamandrei

Sono trascorsi centounoanni dalla pubblicazione della: “Cassazione Civile” di Piero Calamandrei.

Fu nell’anno 1920, ovvero 100 anni fa, quando un giovane  Piero Calamandrei pubblicava: “La Cassazione civile”.

L’ immensa opera  analizzava, approfonditamente, la disciplina positiva dell’istituto. Si prefiggeva di elaborare  un modello teorico di Corte Suprema, al quale si sarebbe ispirata la nostra Corte di Cassazione e la cui funzione fondamentale sarebbe stata quella di assicurare la «esatta osservanza» e l’«uniforme interpretazione» della legge.

L’Istituto della Cassazione, così come concepito da Piero Calamandrei, costituì un precetto della grande rivoluzione europea, sosterrà, il Prof.Mauro Cappelletti, allievo prediletto del Grande Maestro, perchè fu e rimane il simbolo dello “stato di diritto”, retto sul principio di legalità. Successivamente , negli anni 50, Calamandrei propugnava una “evoluzione” , nel senso che il principio di legalità, fosse integrato da quello di “costituzionalità”, ovvero auspicava, il superamento dello stato liberale di diritto mediante una preordinata instaurazione di uno “stato sociale di diritto” e di un istituto inteso a garantire ed affermare il “principio di costituzionalità”

Una Corte di Cassazione unica per tutto lo Stato istituita per mantenere l’unità del diritto nazionale attraverso l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale, con «uno scopo differente da quello cui servono tutti gli altri organi giurisdizionali: rimediare agli inconvenienti che derivano alla interpretazione giurisprudenziale dalla pluralità degli organi giudiziari dello stesso grado».

In quel preciso momento storico in Italia, esistevano ben cinque Corti supreme: quelle di Torino, Firenze, Roma, Napoli e Palermo.

Occorreva per Calamandrei evitare assolutamente uno “stato di incertezza” costituito dalle molteplici  interpretazioni della medesima norma date molti giudici. La Cassazione ha il compito di indicare l’indirizzo ermeneutico da seguire, suggerire la rotta da tenere nell’oceano in tempesta delle pronunce dei magistrati inferiori e assicurare pertanto la certezza del diritto (c.d. funzione nomofilattica), termine, quest’ultimo, la cui diffusione dev’essere fatta risalire proprio all’opera di Calamandrei, e che deriva dal greco νομοφύλαξ (composto da νόμος, legge, e φύλαξ, custode), vocabolo con cui nell’antica Grecia si designava il magistrato al quale, in alcune città, era affidato il compito di custodire in un archivio il testo ufficiale del- le leggi, e quindi di assicurare la stabilità della legislazione.

La Corte veniva pertanto ad assumere una funzione costituzionale di controllo sia sul versante della creatività giurisprudenziale delle magistrature inferiori, attraverso l’uniformità interpretativa, sia sul versante del rapporto con il potere legislativo, «segnando il confine al di la del quale l’onnipotenza legislativa non può estendersi».

Acceso fu il dibattito nell’Assemblea Costituente vari furono i contrasti alla tesi prospettata  da Calamandrei.

Nella seduta pomeridiana del 27 novembre 1947 dell’Assemblea Costituente, quando si discuteva dell’ art. 102, corrispondente all’attuale settimo comma dell’art. 111 Cost., Piero Calamandrei arrivò in ritardo. Nella prima parte del dibattito, Giovanni Leone difese la proposta della Commissione contro gli emendamenti diretti a reistituire le Cassazioni regionali, sostenuti anche da Palmiro Togliatti e da Vittorio Emanuele Orlando.

Significative, in proposito, appaiono le parole di Calamandrei, il quale fu assoluto protagonista della discussione, fornendo la spiegazione più esauriente della natura profondamente democratica e pluralista di una soluzione, come quella prescelta, formalmente “monista”: «La Corte di cassazione […] non è istituita per raggiungere soltanto quello scopo, in senso stretto giurisdizionale, per il conseguimento del quale sono istituiti tutti gli altri giudici […] e che consiste nell’attuazione del diritto in concreto, mediante l’accertamento delle singole volontà di legge che scaturiscono, per regolare i rapporti individuali, dal coincidere di una fattispecie reale con una fattispecie legale. Anche la Corte coopera a questa funzione giurisdizionale in senso stretto, consistente nel rendere giustizia ai singoli ma questa sua cooperazione è per essa mezzo, non fine; perché il fine ultimo che essa, come suo ufficio esclusivo, persegue è più vasto ed eccedente i limiti della singola controversia decisa . Il suo scopo ultimo è, dunque, uno scopo di più ampia portata, che non quello strettamente giurisdizionale dei giudici di merito: è uno scopo di carattere costituzionale di coordinazione tra funzione legislativa e funzione giudiziaria che attiene più che alla fase di applicazione del diritto al caso concreto alla fase di formazione e formulazione del diritto […]. In quanto si ritenga che la giurisprudenza abbia un’efficacia creatrice o trasformatrice del diritto, la Corte è al centro di questa perpetua emanazione giurisprudenziale di questa dinamica che instancabilmente ringiovanisce ed adegua la legge alle sempre nuove  esigenze della vita e dei rapporti economico-sociali»

L’indirizzo propugnato da Calamandrei fu accolto ed  il legislatore si conformerà, in parte, alla sua visione programmatica. Con il R. D. n. 601 del 24 marzo 1923 verrà superata la pluralità delle corti in favore di un consesso unico con sede in Roma e con il R. D. n. 12 del 1941 sull’Ordinamento giudiziario e il Codice di rito del1940, verrà messo nero su bianco che lo scopo del tribunale supremo è (anche) quello verrà messo nero su bianco che lo scopo del tribunale supremo è (anche) quello nomofilattico: «La corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale […].» (art. 65 R. D. n. 12/1941).

Nel rinnovato quadro normativo, ma quando si riteneva ancora che parte delle disposizioni della Carta fondamentale della Repubblica fossero meramente «programmatiche», la Cassazione riconobbe che l’art. 111, comma 2 (oggi 7), avesse immediata portata precettiva (Cass., sez. un., 30 luglio 1953, n. 2593, in Foro it., 1953, I, 1248).

Piero Calamandrei nel 1933  in occasione del decennale della Cassazione unica, affermava:«la porta, per la quale la scienza del diritto entra più liberamente nelle aule di giustizia, è quella della Cassazione unificata.

L’assemblea generale della Corte di Cassazione del 23 aprile 1999 aveva segnalato i rischi paventati per l’attività della Corte.

La crescita esponenziale dei ricorsi, dipendente in buona parte anche dalla riforma del contenzioso tributario e, da ultimo, dalle controversie in materia di immigrazione, ha creato, per la Corte, una situazione di emergenza.

Oggi La Corte di Cassazione, nonostante i ripetuti interventi del legislatore, si trova in uno stato di costante affanno. L’esercizio effettivo della funzione nomofilattica è di fatto ostacolato da un carico di lavoro eccessivo (nel solo 2019 sono stati iscritti ben 38.725 ricorsi civili), che rende la Corte più simile a un giudice di appello che a un organo di legittimità.

La natura stessa del supremo consesso è, poi, oggetto di profondi mutamenti. All’interno di un orizzonte più vasto, in cui i concetti di separazione dei poteri e di gerarchia delle fonti del diritto sono ormai traballanti, la Cassazione in dialogo con le altre Corti apicali nazionali, sovranazionali e internazionali è divenuta un vero e proprio centro di produzione normativo, quel judge made law da cui Calamandrei metteva in guardia, ritenendolo un modello «assolutamente estraneo al nostro diritto»

La Corte di Cassazione è affetta da un problema ormai atavico, rappresentato dai tempi di risoluzione dei ricorsi presentati innanzi a sé, che mina alla radice la sua funzione nomofilattica. Crisi che si è accentuata nell’attuale periodo per effetto della pandemia e del blocco dell’attività giurisdizionale prodottasi.

La comunità scientifica e dei giuristi italiani si interroga sulla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione post Covid-19, e analizza possibili rimedi.  Spesso si sostiene che, a Costituzione invariata, i rimedi alla lunghezza dei tempi del processo di legittimità possono trovarsi pensando solo ad un ampliamento di organico o  all’informatizzazione del processo all’interno di misure organizzative che continuano a studiarsi. Il tutto con il solito dilemma fra esigenze di specializzazione e di valorizzazione dei diversi apporti culturali forniti da magistrati anche non “esperti” di una specifica materia La dr.ssa Elena D’Alessandro, di recente ha sostenuto che :”Le sezioni composte da soli magistrati esperti in una determinata materia non possono diventare “la regola”, perché gli episodi della vita che generano il contenzioso civile sono fenomeni complessi che, spesso, con difficoltà si lasciano inquadrare in “rigide categorie”. Proprio per cogliere a pieno questa complessità della società moderna i nuovi programmi di finanziamento di matrice europea spingono affinché l’attività di ricerca, nell’accademia, sia più interdisciplinare. Se l’interdisciplinarietà è lo strumento per dominare la complessità della società attuale, allora occorre valorizzare anche la figura del giudice non ‘esperto’, che porta in camera di consiglio il bagaglio esperienziale di un diverso settore del diritto civile.

Viva e attuale rimane oggi l’immensa opera  del maestro Piero Calamandrei sull’istituto della Cassazione Civile.

 

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