CUOMO: quando l’architettura diventa politica

 

Aldo Bianchini

Dr. Arch. prof. Alberto Cuomo (già presidente Ordine Architetti di Salerno)

SALERNO – Ho letto e riletto con attenzione il report giornalistico sull’anteprima salernitana de “L’architettura fantasma” in uscita per Mimesis e scritto dallo studioso nostrano arch. prof. Alberto Cuomo (che conosco, insieme al fratello Giuseppe, fin dai primi anni ’60 quando qualche volta ci siamo incrociati sulla pista di atletica leggera del Vestuti agli ordini del prof. Varricchio); un’anteprima storica che ha registrato anche la presenza di un altro studioso e filosofo come il prof. Massimo Cacciari (già sindaco di Venezia).

Due personaggi molto autorevoli nelle loro rispettive attività professionali che da qualche tempo a questa parte stanno evidenziando, però, il vizietto di distruggere tutto quello da cui sono rimasti fuori con inoppugnabili ragionamenti tecnico-filosofici che comunque lasciano il tempo che trovano e mostrano una evidente implacabile rancorosità verso chi, oggi, li ha praticamente sostituiti nell’accezione pubblica di un confronto sereno e di un dibattito costruttivo; soprattutto quando questo dibattito investe il variegato e, se vogliamo, filosofico mondo dell’architettura “disciplina che progetta ed organizza spazi in cui vivono, agiscono ed interagiscono gli esseri umani e condiziona profondamente la vita di ogni persona” (fonte Il Mattino).

L’arch. Cuomo per questa città ha rappresentato, è bene chiarirlo, un pezzo di storia molto importante; lui insieme all’arch. Giovanni Giannattasio (con il supporto di validissimi ingegneri quali Franco Amatucci e Raffaele Galdi) portarono avanti la grande progettualità urbanistica della Salerno degli anni ’80 nell’ambito di quell’ambizioso “laboratorio laico e di sinistra” dei socialisti di Carmelo Conte. Un laboratorio che sfornò idee progettuali molto all’avanguardia per quei tempi, in parte cantierizzati e in gran parte definiti e completati dal “sistema di potere politico deluchiano” nel quale sicuramente Cuomo (che non ha mai tradito l’idea socialista) non trovò spazio e nel quale qualche spazio trovò invece il compianto Giannattasio, o almeno creò i presupposti per qualche spazio alle sue due figlie (entrambe architetti).

L'architetto Cuomo ritratto in una splendida vignetta del prof. Arnaldo Amabile (vignetta risalente ad alcuni anni fa)

Perché nel titolo ho scritto “quando l’architettura diventa politica”; l’ho scritto perché in effetti l’architettura è politica e i loro protagonisti tecnici dovrebbero farsene una ragione quando la politica cambia padrone e cambia radicalmente idea su come progettare e rivitalizzare una città.

Vincenzo De Luca lo avrà fatto anche male (e secondo me lo ha fatto male !!) ma l’ha fatto; e per farlo si è scontrato vivacemente con i suoi predecessori ed è riuscito a convincere la magistratura (parole di Michelangelo Russo) di averlo fatto per il bene della comunità da lui rappresentata perché votato a larghissima maggioranza. Cosa che non seppe fare quel laboratorio socialista che naufragò sotto il maglio della presunta giustizia anche per colpa dei tantissimi impauriti delatori che gravitavano nel cerchio magico contiano. L’ex ministro Conte ebbe il pregio, unico, di interessare solo ottimi professionisti locali, contrariamente a De Luca che ha chiamato le grandi archistar.

Detto questo, e solo per questo, non condivido la dichiarazione tranciante del prof. Alberto Cuomo quando dice: “”Se si guarda da ogni punto di vista della città al cosiddetto crescent con piazza, balza all’occhio il fatto che siano fuori-scala, escrescenze anomale, metastasi, tessuto cancerogeno tale da indurre la morte di Salerno, del suo corpo urbano, della sua identità. Un esempio di come un fantasma, l’idea della modernizzazione, trovi un corpo che è di fatto uno zombie il quale induce altre morti””.

Una dichiarazione, troppo forte e troppo personalizzata, che si allontana dalla politica e quindi dall’idea di architettura di una città, dando per scontato che l’architettura è politica. Una dichiarazione che, in definitiva, va molto al di là della splendida lezione di architettura teorica offerta dallo studioso Cuomo ai novelli tecnici cittadini ed alla filosofia dei fantasmi dell’architettura.

 

 

3 thoughts on “CUOMO: quando l’architettura diventa politica

  1. Il racconto di fatti storici è sempre utile per il confronto di corsi e ricorsi che nel divenire di anni e tempi possano evidenziare verità, pregi o errori, da non sottovalutare. Nello specifico la satira degli anni Sessanta, talvolta “irrisa”, per il vero sottotraccia, desiderava pure stimolare almeno un sorriso.

    Ho conosciuto Alberto Cuomo anch’io sulla pista di atletica leggera del “Vestuti” (era un campione del mezzofondo, come il compianto mio fratello Franco). In più Alberto ebbe il miglior tempo nelle selezioni per aspiranti tedofori a portare la fiaccola olimpica nei percorsi per “Roma 60”.

    E poi diede subito prova di correre con una marcia in più nella vita, dal salernitano Liceo Tasso fino alla prestigiosa docenza all’Università.

  2. Senza entrare nel merito delle giuste motivazioni alla base della inevitabile simbiosi architettura-politica esposte dal dr. Bianchini, provo a fare un mio commento su quanto letto circa la posizione dell’arch. prof. Alberto Cuomo, che non ho il piacere di conoscere.
    Non metto in dubbio le sue eccellenti qualità professionali, con il corollario delle rinomate abilità anche in campo sportivo, come testimoniato dal Direttore e nel precedente commento del sig. Amabile.
    In generale si accetta che, quanto meno una volta nell’esercizio delle loro funzioni, anche i più grandi luminari della scienza incorrano in qualche errore di valutazione quando chiamati ad esprimere un giudizio critico su fatti o opere dell’ingegno umano.
    Non mi ha sorpreso quindi il giudizio virgolettato espresso dal prof. Cuomo sul “cosiddetto crescent con piazza”.
    Un giudizio severissimo e funesto, se li ha assimilati ad “escrescenze anomale, metastasi, tessuto cancerogeno tale da indurre la morte di Salerno”, e in definitiva “uno zombi che induce altre morti”.
    E ciò perché “balza agli occhi” quanto il suddetto nuovo complesso edilizio e l’antistante piazza della Libertà siano palesemente “fuori scala”.
    Non mi è noto se il giudizio sopra citato, con la sua irreversibile conclusione, sia solo l’estrapolazione da un più ampio contesto.
    Appare comunque molto limitativo se stilato solo con riferimento all’aspetto dimensionale della struttura.
    Si potrebbe infatti fare una carrellata di esempi di situazioni dove il “fuori scala” non ha prodotto metastasi distruttive né di se stesse né di ciò che le circondava all’atto della loro edificazione.
    Anzi, ancora sono vive e vegete e non arrecano danni ma profitti.
    Ne cito alcuni:
    – La Basilica di San Pietro con l’antistante piazza delimitata dal colonnato di G.L.Bernini, sorta a suo tempo in un’area caratterizzata dalla presenza di sole case di cubatura non paragonabile;
    – La Reggia di Caserta e il suo esteso parco retrostante. Dato il clima politico dell’epoca, non furono sollevate critiche quando i Borbone ne vollero la costruzione. Eppure, balza all’occhio che essa sovrasta di molto le abitazioni cittadine, ma non mi sento di solidarizzare con chi volesse sostenere che essa rappresenta un vulnus irreparabile;
    – Per similitudine, mi viene in mente il Royal Crescent di Bath ugualmente inserito in un “fuori scala paesaggistico”, eppure non pregiudizialmente rifiutato ma funzionalmente utilizzato per vari scopi, anche di tipo abitativo;
    – La nuova Cittadella Giudiziaria svetta fra edifici che la circondano, tutti di vecchia costruzione e comparativamente di scala ridotta. Tuttavia in tanti riconoscono che la sua presenza nobilita la zona.

    Certamente sono tanti altri gli esempi che si potrebbero citare.
    Purtroppo non mancano anche i casi in cui interviene invece l’assuefazione a giustificare l’esistenza di certe situazioni, anche se oggettivamente abnormi.

    Una di questa è stata la sopraelevazione dell’ex Albergo Diana.

  3. Intervengo di mala voglia sull’articolo di Bianchini solo per correggere il fatto che in esso vengo ascritto al gruppo di tecnici “contieni”: a differenza di Giannattasio, Galdi e Amatucci io non ero affatto amato da Conte con il quale entrai in contrasto a proposito degli interventi post-terremoto. A. Differenza dei tecnici citati da Bianchini io non ho mai vinto un appalto, ho goduto solo la stima del sindaco Giordano. Ci tengo pertanto a distanziarmi da quei tecnici “contiamo” di cui non ho condiviso la politica e, ahimè, le disavventure giudiziarie. Infine con n fermo: il Crescent offende l’organizzazione storica della città e il mio giudizio di riconosciuto conoscitore dell’architettura non può confrontarsi con quello di chi ignora l’evoluzione di questa discussione sciolina.

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