L’Unione delle Camere Penali Italiane ha scritto una lettera ai Presidenti dei Tribunali e delle Corti di Appello di tutta l’Italia ,per rappresentare, la situazione insostenibile che si è venuta a determinare in tutti i Fori d’Italia a seguito di quanto statuito dalla nota sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione ,’’ la regola Bajrami’’ ,n.41736 ,del 10 ottobre 2019.

 

 

da Pietro Cusati

Dr. Pietro Cusati - giurista, giornalista

Roma 6 giugno 2022. Il Presidente e il Segretario dell’Unione Nazionale delle camere penali , Avvocati Gian Domenico Caiazza ed  Eriberto Rosso,hanno scritto ,a nome della giunta dell’UCP, una lettera  a tutti i Presidenti dei Tribunali e delle Corte d’Appello d’Italia,per  avviare con la magistratura un confronto leale e costruttivo sul diritto ad essere giudicato da chi ha assunto la prova, a seguito della nota sentenza delle  Sezioni unite della Corte di Cassazione n.41736, del 10 ottobre 2019.L’Unione Camere penali intende contrastare con forza e con ogni iniziativa, nei processi e fuori dai processi, questa inammissibile negazione dei principi costitutivi del giusto processo.Le Sezioni unite della Corte di Cassazione ,con la sentenza n.41736, del 10 ottobre 2019, hanno affermato che, fermo restando che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza deve coincidere con quello che ha disposto l’ammissione delle prove assunte alla sua presenza, in caso di mutamento del giudice, qualora non venga formalmente rinnovata l’ordinanza ammissiva, i provvedimenti in precedenza emessi conservano comunque efficacia se non espressamente modificati o revocati, ma le parti hanno la facoltà di formulare una richiesta specificamente motivata di ammissione di prove nuove o di rinnovazione di quelle in precedenza assunte, che il giudice deve valutare ai sensi degli artt. 190 e 495 cod. proc. pen., anche in punto di non manifesta superfluità; sicché, qualora la ripetizione delle prove non abbia avuto luogo, o perché non richiesta o perché, pur richiesta, non sia stata ammessa o non sia stata possibile, non è necessario il consenso delle parti alla lettura degli atti ex art. 511, comma 2, cod. proc. pen..La Giunta dell’Unione delle Camere Penali italiane si è determinata a scrivere ai Presidenti dei Tribunali e delle Corti di Appello per rappresentare, la situazione davvero insostenibile che si è venuta a determinare in tutti i Fori d’Italia in diretta, inequivocabile conseguenza di quanto statuito dalla nota sentenza delle SS.UU. Bajrami ,n.41736 del 10 ottobre 2019.La radicale riscrittura del combinato disposto degli artt. 525 comma 2, 526 comma 1 e 511 c.p.p., operata con quella decisione, sta determinando conseguenze che non esitiamo a definire letteralmente devastanti sulla qualità della giurisdizione e sui principi fondativi del giusto processo.La sostanziale abrogazione del principio di immediatezza del giudizio ha polverizzato un diritto dell’imputato (e di tutte le parti processuali) che era e resta fondamentale nell’architettura del giusto processo: il diritto ad essere giudicato dallo stesso giudice che ha raccolto la prova. Ciò che era relegato ad eccezionale ipotesi derogatoria, è divenuto regola; con la conseguenza di dover noi assistere ormai quotidianamente ad un incontrollabile avvicendamento di giudici all’interno dei collegi e negli stessi giudizi monocratici. Venuta meno, per via interpretativa extratestuale, la regola della riassunzione della prova in caso di mutamento del giudice, le esigenze tabellari, organizzative, carrieristiche o anche meramente private dei singoli magistrati, giustificative di un trasferimento o anche solo di una temporanea assenza, prevalgono sulla modalità codificata del principio di immediatezza ed oralità. Quanto qui denunziamo non è solo una erosione, pur gravissima, di garanzie soggettive fondamentali, ma è soprattutto la sovversione della regola epistemologica fondativa del giudizio penale. Occorre che tutti i protagonisti della giurisdizione prendano atto della oramai ingovernabile gravità di una situazione, forse non prevista e non voluta al momento della pronuncia di quella decisione, che vede l’intollerabile prevalenza di esigenze del tutto personali -ancorché legittime- del giudice sul diritto dell’imputato ad essere giudicato da chi ha assunto la prova.È intendimento dei penalisti italiani contrastare con forza e con ogni iniziativa, nei processi e fuori dai processi, questa inammissibile negazione dei principi costitutivi del giusto processo. E poiché non possiamo immaginare che la magistratura giudicante non abbia già colto la gravità di una simile, incontrollabile deriva, esprimiamo l’auspicio che si voglia avviare un confronto leale e costruttivo, nel solco sempre più auspicabile e necessario di una “ermeneutica condivisa”, in sede di merito e di legittimità, che possa portare nei tempi più brevi ad un radicale ripensamento della “regola Bajrami” e delle prassi che ne sono conseguite.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *