PERCHE’ SI UCCIDE UN PROPRIO FIGLIO

 

 

da avv. Giuseppe Amorelli (scrittore)

 

Martina Patti: ha ucciso la figlioletta Elena

Un fatto di cronaca sconvolgente:

Martina Patti, 23 anni, uccide, con 11 coltellate  la propria figlia Elena, di 5 anni, avuta da una relazione  con l’ex compagno Alessandro Nicodemo Del Pozzo, di anni 24 . E’ arduo dare una risposta ad un gesto cosi folle e palesemente contro natura.

Gli psicologi, gli psichiatri, i sociologi hanno cercato di individuare le cause , il movente che ha scatenato in quella madre l’insano gesto.

Dalla ricostruzione dei fatti operata dalla Procura della Repubblica, che svolge le indagini sul caso, la giovane madre Martina Patti, era in preda ad una folle gelosia e non tollerava che “la figlia si affezionasse all’attuale compagna dell’ex convivente” e padre della piccola, Alessandro Nicodemo Del Pozzo. Nel caso di specie quindi,  secondo la letteratura clinica inerente alla “fenomenologia e antropologia del figlicidio”,   ci troviamo di fronte alla “sindrome di Medea” e cioè la  vendetta della madre nei confronti del compagno. Medea, oltre a Creonte e sua figlia, uccise anche tutti i propri figli avuti con l’eroe greco per vendicarsi del suo tradimento; da qui l’immagine di Medea associata al figlicidio per vendetta contro il coniuge.

La psicoanalisi interpreta questo gesto come il voler “amputare” Giasone, poiché i figli erano una parte sua e il voler imporre da parte di Medea il totale possesso su di loro: “io li ho partoriti, io ho il diritto di ucciderli“. Sono donne che, poste in uno stato di forte stress emotivo, per punire il proprio marito o compagno uccidono i figli, in modo da vendicarsi dei torti subiti, reali o presunti che siano.

È un modo per infliggere al compagno un dolore fortissimo: il bambino diventa uno strumento di rivalsa sul coniuge, anche perché la madre lo vede come il frutto del loro amore. Complesso di Medea come il comportamento materno finalizzato alla distruzione del rapporto tra padre e figlio dopo le separazioni conflittuali: così l’uccisione diventa simbolica e ciò che si mira a sopprimere non è più il figlio stesso ma il legame che ha con il padre.

Nella coppia il padre ricopre un ruolo di equilibrio in un rapporto molto profondo tra madre e figlio. Quando questo elemento di equilibrio viene a mancare il rapporto scende ad un livello molto delicato. È esperienza quotidiana che i figli vengano usati dai genitori quando c’è un conflitto nella coppia. Nel caso dell’omicidio di Elena Del Pozzo e Martina Patti è facile immaginare che, anche in questo caso, la figlia sia stata usata come strumento di attacco all’altro componente.

Da un punto di vista psicologico, nel momento dell’uccisione del figlio, la madre raggiunge l’apice del delirio di onnipotenza, tipico delle crisi psicotiche. Secondo la moderna psichiatria, il Complesso di Medea presenta nuove sfumature, in particolare la cancellazione della memoria del crimine, l’omissione della propria partecipazione e della propria presenza, un’auto-proclamazione di innocenza ed una dichiarazione di protezione verso le proprie vittime.

Paolo Crepet, psichiatra e sociologo  in una sua intervista, ha dichiarato: “non ci accorgiamo che il razzismo più profondo non lo nutriamo contro i diversi, gli alieni, ma proprio nei confronti delle persone che dovremmo amare di più, i bambini: si chiama pedofobia. Un caso, il nostro definito anche  di pedofobia  ovvero la paura di una madre giovane, Martina Patti, aveva 18 anni quando ha concepito Elena, che vede la propria figlia  come un peso, una zavorra da cui liberarsi. Si tratta in questi casi di  genitori che non vogliono più o non hanno mai voluto fare i genitori  e pertanto essendo la famiglia  morta, i figli  che sono il loro frutto, rappresentano solo “un peso” di cu disfarsene.

Il Caso di Martina Patti e del suo folle gesto  è da ricercare nella condizione di  solitudine in cui versava. Abitava in una villetta in campagna, un compagno che viveva altrove, scarsi rapporti con i nonni. La solitudine è sempre alla base di questi episodi. In una società in cui mentre aumentano gli strumenti di comunicazione, dall’altra aumenta la solitudine Forse Martina  aveva piu profili social, ma era drammaticamente sola.

Sostengono gli psichiatri che: “È importante che chi sta intorno a una madre si attivi per sostenerla. Ma anche che lei trovi canali che le consentano di abbassare il livello della tensione: possono bastare una telefonata con un’amica o un tuffo in piscina .Ogni donna deve potere ritrovare la propria comfort zone per interrompere il momento di rabbia o difficoltà. Le onde ci sono, bisogna cercare riparo prima di essere sommersi”.

Giuridicamente non si può parlare di figlicidio.

Il termine, infatti, pur indicando l’uccisione del figlio da parte di uno dei due genitori, non è contemplato nel Codice Penale italiano che prende in considerazione solo l’infanticidio e l’omicidio. Intatti a Martina Patti   viene contestato l’omicidio volontario pluriaggravato e l’occultamento di cadavere. A questo si aggiunge il reato di false informazioni al pubblico ministero per aver mentito sulla dinamica, raccontando che la figlia era stata rapita da un commando di uomini incappucciati

 

 

 

 

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