ALBANESE: da uomo di banca a uomo di cultura … passando per l’Università

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Non era facile, non è stato facile e non sarà facile, ma Michele Albanese, direttore generale della Banca Monte Pruno, ce la sta facendo ad entrare a pieno titolo nel mondo della cultura, quella intesa in senso lato che passa in rassegna l’intero scibile umano partendo dall’arte della finanza per arrivare a quella dei grandi temi sociali.

Michele Albanese è partito da molto lontano fin da quando da “semplice apprendista bancario”, al fianco di suo zio Michele, si incamminò sulla difficilissima strada per salvare, potenziare e rilanciare la BCC che da anni era già la banca di famiglia impegnata nel sociale. Piano piano è diventato un vero e proprio banchiere con idee e progetti speciali sempre vincenti; infine si è reso conto che per non rimanere intrappolato nei confini ristretti della “sua banca”, e per continuare il suo viaggio nel mondo esterno, doveva gioco forza sfondare il recinto per entrare a pieno titolo in quel mondo della cultura innanzi descritto; prima presenziando con innata umiltà a numerosi e variegati convegni e seminari di studio, per poi entrare finalmente dalla porta principale dell’Università di Salerno (nella quale, ormai da tempo, è chiamato spesso a tenere incontri con gli studenti sul tema della finanza e dell’economia) che gli ha aperto orizzonti davvero molto interessanti. Ma anche la tv (locale e nazionale) lo ha più volte ospitato per i suoi brevi e concisi interventi, anche in momenti difficili per l’economia globale o in quelli drammatici della pandemia. E pensare che tutto questo Michele Albanese lo ha fatto da solo e sempre, anche, nell’interesse della predetta “sua banca”.

Ora lo sdoganamento definitivo è arrivato in presenza del giornalista Lirio Abate (il nuovo direttore de L’Espresso in versione Iervolino) in occasione dell’evento-dibattito su uno dei temi più pregnanti del 21° secolo: ”La Mafia, Le Mafie – 1992/2022 – In memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”; all’interno del quale il citato direttore ha presentato il suo libro “Stragisti”. Nel contesto di tale evento Albanese è stato chiamato ad esprimere la sua opinione su un argomento tanto difficile e tanto discusso in questi ultimi trent’anni. Ebbene, Albanese, non si è perso d’animo ed ha sciorinato il suo pensiero in maniera impeccabile, senza supponenza ma con la convinzione che ogni tappa è utile per raggiungere il traguardo.

Mi sono spesso chiesto quale fosse il segreto, perché dovrà pur esserci un segreto, dei continui e progressivi successi dell’uomo Albanese fuori e dentro la banca. La risposta a mio modo di vedere è una soltanto: Michele Albanese si muove con grande abilità in mondi, dove lui non è conosciuto ed a lui è sconosciuto, ponendosi rapidamente al centro dell’attenzione perché allo strato culturale che già possiede di proprio aggiunge la sua capacità di muoversi e districarsi anche sui problemi più grossi con la bilancia della logica (un dono che non è di tutti !!) fino al punto di stupire anche i cosiddetti ai lavori, ormai incapsulati nel recinto del loro mondo e pronti soltanto a parlare senza alcun nesso logico.

Per tutto questo, e non solo, mi ha particolarmente colpito l’intervento, molto condivisibile, offerto Michele Albanese ad una numerosa ed attenta platea che non ha perso l’occasione di applaudirlo a lungo:

Non può essere disperso, per nessuna ragione, il patrimonio lasciato da Falcone e Borsellino e va consegnato quotidianamente alle giovani generazioni. Due temi hanno contrassegnato la vita di questi due eroi: la cultura e l’amore. La cultura è la base per combattere il pensiero mafioso, per sradicarlo, per far capire che esiste la bellezza della vita, che si oppone alla barbarie della morte messa in atto dalle mafie. E questo Falcone e Borsellino lo hanno dimostrato con il loro esempio, con l’amore per il proprio lavoro, l’amore per la libertà, per la giustizia, l’amore per la loro terra, l’amore per i giovani verso i quali sentivano il dovere di lasciare una società più giusta. Le mie non vogliono essere riflessioni solo per le celebrazioni del trentesimo anniversario, considerato che c’è tutta una verità ancora da scrivere e quell’agenda rossa sottratta nella macchina di Borsellino, subito dopo l’attentato, è il senso di tutti gli intrecci politici e di apparati deviati dello Stato che hanno condannato a morte questi uomini.  Credo fermamente, invece, che è indispensabile far conoscere questi uomini ai giovani, cominciando a parlarne nelle scuole primarie, non solo per far conoscere la storia di questi eroi ma per educare i giovani, sin da piccoli, alla legalità perché questi esempi fanno parte della storia del nostro Paese e resteranno per sempre nelle nostre menti”.

Una disamina attenta di fatti che hanno cambiato il nostro Paese, una disamina portata avanti con senso compiuto in uno degli spartiacque della nostra storia recente.

Davvero complimenti e, tanto di cappello.

 

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