Tangentopoli (38): 8 agosto 1992 il malore di Galdi, le accuse del gip De Luca in carcere e il clima pesante in città
Aldo Bianchini
SALERNO – Nella precedente puntata di questa serie dedicata alla presunta “tangentopoli salernitana” avevo riscritto la giornata del 23 luglio 1992 ricordando i clamorosi arresti per la famigerata “Fondovalle Calore” con sei personaggi eccellenti finiti dietro le sbarre: “Pasquale Iuzzolino (Sindaco di Sicignano degli Alburni) – Giuseppe Parente (Sindaco di Belosguardo) – Pasquale Silenzio (ex sindaco di Eboli e segretario generale della Comunità Montana Alburni) – Mario Inglese (ingegnere, coproggettista della Fondovalle) – Vittorio Zoldan (a.d. dell’omonima impresa facente parte dell’ATI che si aggiudicò l’appalto pubblico per la realizzazione della Fondovalle) e Raffaele Galdi (ingegnere, progettista Fondovalle, ritenuto uno dei “due compassi d’oro” dell’epoca, nonché l’uomo ovunque dell’allora ministro per le aree urbane on. Carmelo Conte) ”. Gravissimi i capi d’imputazione: associazione per delinquere, abuso d’ufficio, concussione, corruzione, turbativa d’asta, falso ideologico e abuso di potere.
Il clima in città sembrava essersi rasserenato, i titoli dei giornali si fanno sempre più cauti, ma i tre magistrati (Russo, Di Nicola e D’Alessio) stranamente dopo il clamoroso successo non vanno in ferie e continuano a lavorare alla loro immensa inchiesta.
Il colpo di coda, però, non si fa attendere ed arriva puntuale la mattina del 5 agosto 1992 con l’arresto di Franco Todini, titolare dell’omonima impresa inclusa nell’ATI di cui prima. Venne arrestato a Roma su richiesta dei tre PM salernitani e su ordine del gip Raffaele Oliva, e tradotto subito nel carcere di Fuorni. L’aria ritornò subito pesante e si inasprì la lotta senza esclusione di colpi tra le difese degli indagati e la Procura.
La mattina dell’ 8 agosto 1992 fu decisiva per stigmatizzare il clima incandescente che sovrastava la città di Salerno e tutta la provincia.
Nel pomeriggio di quel giorno gli avv.ti Dario Incutti e Antonio Zecca difensori di Raffaele Galdi, arrestato quindici giorni prima, indicono una frettolosa conferenza stampa davanti al Tribunale per comunicare che il loro assistito, durante l’interrogatorio nel carcere di Avellino ha accusato un forte malore a causa delle condizioni di salute per postumi di un carcinoma operato a Boston nel settembre del ’91, condizioni che non consentivano più il permanere in carcere del loro assistito. Immediata la reazione della Procura che con un documento a firma dei tre magistrati rimanda al mittente le accuse e nega la possibilità di una carcerazione domiciliare. Anche il quotidiano “La Repubblica” si interessa al caso e il noto giornalista Antonello Velardi mette in risalto “l’atteggiamento eccessivamente severo dei magistrati che hanno respinto ogni richiesta di scarcerazione nonostante l’indagato sia da tempo malato di tumore”.
Ma qual era il clima in città ? Lo spiegò in una famosa ordinanza di rigetto della richiesta di scarcerazione di Galdi il Gip Mariano De Luca, il 21 settembre 1992 pubblica le motivazioni dalle quali si legge:
“””Non può dunque sottacersi che i fatti di causa costituiscono una delle non frequenti occasioni offerte alla giustizia per far luce sulla oscura e desolante realtà che sovente si annida nelle pieghe delle istituzioni troppo facilmente permeabili ad interessi personalistici ed a sfruttamenti parassitari; lo squallido sottobosco che rigoglia ai margini del sistema istituzionale è nella vicenda processuale esemplarmente rappresentato e mostra, con la forza della protervia dei fatti, come l’abbandono di ogni principio morale, il disprezzo verso i valori fondamentali della vita associata, il miope egoismo che tutto subordina al tornaconto personale siano ampiamente diffusi, sovente elevati a sistema di vita e tendenzialmente suscettibili di attentare alla stessa sopravvivenza dello stato di diritto, non meno di fenomeni delinquenziali assai più appariscenti ed eclatanti. Gli elementi probatori sin qui acquisiti, confermando puntualmente l’ipotesi accusatoria, hanno evidenziato non soltanto come protervia e scadimento morale possano indurre a ritenere fatto normale e fisiologico l’appropriazione privatistica di apparati e sistemi predisposti a tutela di interessi generali e collettivi, ma anche come ad una concezione così distorta non siano estranei professionisti stimati e di prestigio, esponenti di categorie cui certo non difettano gli strumenti per una corretta valutazione di simile forma di devianza … La prognosi comportamentale non può, dunque, che essere infausta”””.
Questa, secondo i magistrati, era la Salerno dei primi anni ’90.