IL CILENTO: UN TERRITORIO DA SALVARE – LA FASCIA COSTIERA (segue da 09/01/2023)

 

da Alfonso Malangone

(Ali per la Città)

 

La situazione di insopportabile ritardo del Cilento costituisce la prova inconfutabile di quanto grande sia stato l’errore di aver tenuto separati i destini della fascia costiera e dell’area interna, per quanto diverse possano essere le loro caratteristiche ambientali. Sempre che, ovviamente, sia stato solo un errore. Di fatto, mare e monti costituiscono le due facce di un territorio unitario nel quale memorie storiche, delle arti e delle tradizioni di ciascun a parte sono il prodotto di una stessa originaria umanità che secoli di isolamento hanno consentito di preservar e come ricchezza comune. Così, per il recupero del distacco dalle zone più avanzate della Provincia, è necessario riconosce r e di aver  perseg uito una innaturale contrapposizione  localistica e di dover ripartire con un nuovo progetto, complesso ma non complicato, in grado di armonizzare con professionalità, frammista a inventiva, fantasia e tecnologia, tutte le appare n ti diversità nel rispetto dei loro uniformi, inequivocabili, caratteri identitari. Per immaginare il ‘nuovo Cilento, è però nec essario conoscere il ‘vecchio Cilento’ e, in particolare, individuare le criticità presen ti per migliorare il futuro di tutti, non quello di singoli portatori di interessi. Con questo obiettivo, iniziamo a capire, oggi, la sua fascia costiera. Negli anni ’70, sotto la spinta di un crescente flusso di villeggianti provenienti dall’intera Regione per il progressivo degrado dei litorali di Caserta, Napoli e Salerno, le sue aree marine divenne ro oggetto di una vera invasione entrando anche nel mirino di immobiliaristi pronti ad approfittar e della genuinità e, forse, dell’ingenuità di un territorio che veniva addirittura usato come ‘luogo di confino’. La gente si svegliò improvvisamente da un secolare letargo e si trovò ad affrontar e relazioni e modalità di vita del tutto nuove rispetto alle costrizioni, sociali ed economiche, di una esistenza dura, portata avanti da generazioni, per produr re l’essenziale in un contesto arido, arso dal sole, pietroso e roccioso, segnato da pendii scoscesi a rischio frane e alluvioni. In precedenza, solo alcune aree dotate di una eccezionale qualità ambientale avevano potuto beneficiare dell’attenzione del turismo balneare, addirittura a livello internazionale, divenendo mete ambite di flussi estivi consistenti e continui. Chi ha una certa età, ricorderà il Club Mediterrané, il treno diretto da Parigi e le attività gestite da impren ditori settentrionali tra Pisciotta, Palinuro e Camerota. La nuova corsa al mare cambiò ogni cosa. Furono aperti negozi ‘bazar’ per sedie, ombrelloni, palette e secchielli, bar per granite di limone e ghiaccioli, negozi per costumi e sandali, mentre nei tabacchi si distribuivano gratis le cartoline con le immagini dei luoghi per diffonderne la conoscenza. Il desiderio di massimizzare i guada g ni, unito ad un veloce adatta m e n t o ai metodi e alle mentalità dei ‘forestieri’, non tardò a spingere molti residenti ad improvvisarsi gestori di incerte attività ricettive e ad avviare un processo sfrenato di cementificazione del territorio. Le ‘seconde case’, costruite come capanne poco più grandi di un box, furono edificate sulla sabbia, sulle frane o nei valloni dei fiumi, intere colline furono trasforma t e in ‘alveari’, villaggi di baracche diventarono ‘campeggi’, improbabili alberghi furono realizzati con materiali scadenti, senza qualità architettonica, senza servizi adegua ti e, visto che si usavano solo per due mesi, privi pure degli impianti di riscalda m e n to. Ovviamente, non mancarono eccellenze, ma come solitarie eccezioni. Iniziò, così, una fase di espansione incontrollata, finanziata con le cambiali e con i prestiti offerti dalle poche Banche a elevati ‘tassi di piazza’ che causarono protesti e fallimenti a dismisura. Per non dire degli effetti genera ti dalle operazioni di altri ‘prestato ri’. Come sempre accade nelle fasi tumultuose e senza regole, ci furono quelli che si arricchirono, quelli che se ne approfittarono e quelli che persero anche quel poco che avevano. Su queste fragili basi, il turismo massivo e pure poco evoluto si impadronì del Cilento costiero trasforma n d o le spiagge in ‘lidi mappatella’ e i piccoli centri in altrettanti luoghi di villeggiatura ‘stanziale’ di famiglie numerose e rumorose, in massima parte di provenienza Regionale, stipate in apparta m e n ti di due/tre stanze, appena arredate, con l’acqua ‘a ore notturn e’ e, se all’ultimo piano, con i secchi per raccogliere la pioggia dal soffitto. La febbre del danaro non consentì di capire che gli immobili avrebbero gener ato un reddito sterile, senza crear e occupazione duratura, né alimentare opportunità diversificate, né favorire le intelligenze, né consentire la crescita professionale. Per tutti, era importa nt e vivere bene con le vendite, i fitti più o meno dichiarati e gli altri introiti ‘variamen te motivati’. Neppur e venne valutato il rischio di deprezzar e i valori dei fabbricati con le continue costruzioni, come del tutto trascura to fu il pericolo di altera re gli equilibri ambientali con l’insostenibile pressione esercitata da flussi in eccesso e, talora, davvero ‘vandalici’. Di più. La maggiore professionalità acquisita dai giovani più volenterosi, grazie ai percorsi scolastici consentiti dalle nuove disponibilità economiche familiari, deter minò l’avvio di un processo di emigrazione verso luoghi economica m e n t e ‘vivi’ accrescendo il distacco rispetto a chi restava a condurre la propria esistenza con i ritmi locali in attesa del “quarto d’ora” di vita estivo e dell’incasso delle rendite immobiliari, sufficienti giusto fino all’estate successiva. In verità, da qualche anno le cose sono cambiate per davvero, ma non solo nel bene. Perché, se la riqualificazione edilizia perseguita da alcuni amministratori e il dinamismo degli operatori turistici hanno consentito di migliorare la qualità dell’accoglienza, è indubbio che nuove figure inquinanti hanno sottratto al Cilento l’originario candore. Nulla è cambiato, comunque, nelle modalità di una offerta ‘mono- prodotto’ che nel periodo invernale trasforma i piccoli centri in tante ‘aree fantasma’, con interi quartieri chiusi, disabitati, appena illuminati e attravers ati dalle ombr e spettrali dei pochi residenti . Inevitabilmente anziani. Questa parte del Cilento, secondo alcuni economisti e imprenditori, dovrebbe essere la ‘locomotiva’ del l’intero territorio grazie a nuovi  investimenti immobiliari. Una convinzione che seduce molti locali e affascina anche chi, pur ‘predicando’ da qualche altare per il bene della collettività, pratica nei fatti la cura degli interessi personali. Ci vuole poco a distruggere l’ambiente, quando si è convinti di averne in abbondanza. In realtà, non ci vuole una locomotiva per il Cilento, ma solo una diversa visione strategica seguita da una programmazione che possa consentire in primo luogo di risana re il territorio dai disastri causati da ben precise responsa bilità. Lo vedremo parlando dell’area interna. L’unica condizione è che sia sempre rispettata l’indole dei Cilentani, gente semplice, schietta e genuina, e, con essa, il loro carattere ‘forte e duro’ modellato da un ambiente, egualmente forte e duro, in conseguenza di un secolare rapporto di ‘odio- amore’ reciproco, intenso e profondo. Un legame che è vivo in tutti i Cilentani e che li spinge a difender e la ‘terra’ con comportamenti personalissimi e contrapposizioni localistiche persino incomprensibili a chi non è in grado di capirne le origini.

Alfonso Malangone – Ali per la Città – 11/01/2023 (segue)

 

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