Il processo sportivo sulle plusvalenze e le motivazioni della Corte d’Appello FIGC

 

 

da Angelo Giubileo (avvocato – scrittore)

 

SALERNO (30.01.23) – Sono state appena pubblicate le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello FIGC che ha attribuito 15 punti di penalizzazione alla Juventus FC, in sede di revocazione parziale della decisione della Corte federale di Appello, Sezioni Unite, del 27 maggio u.s.

Da una primissima lettura, le motivazioni della sentenza confermano essenzialmente l’esistenza di due questioni ad oggi del tutto irrisolte. La prima, relativa a una determinazione certa e altresì necessaria di una fattispecie illecita legata alla questione – viceversa allo stato generica e perfino talvolta aleatoria – delle “plusvalenze”. La seconda, inerente ai rapporti tra giustizia ordinaria e giustizia sportiva e in particolare quanto ai diversi principi e presupposti che sarebbero presi a fondamento delle rispettive decisioni.

Riguardo a questi due punti – al di là delle responsabilità e colpe della Juventus Fc che è doveroso accertare e punire – la sentenza della Corte d’Appello FIGC invece che fare maggiore chiarezza crea maggiore confusione, in quanto finisce con l’implementare e allargare lo spettro, che aleggia oggi sul mondo del calcio italiano, relativo a una maggiore e più ampia diffusione di attività, ai diversi livelli, che con lo sport non dovrebbero avere piuttosto nulla a che fare.

In premessa, si legge nelle motivazioni che “non si tratta di discutere della legittimità di un determinato valore in assoluto. Né di operare una valutazione del prezzo scambiato. Si tratta invece di valutare comportamenti (scorretti) e gli effetti di tali comportamenti sistematici e ripetuti sul bilancio. La Corte federale n. 0089/CFA/2021-2022, però, proprio su un tale profilo, aveva avvertito che non qualsiasi plusvalenza è legittima. Aveva poi segnalato il fatto che la carenza di parametri non consentiva di tradurre il sospetto in violazione, per questo chiedendo l’introduzione di disposizioni che operassero da sentinella anticipata rispetto a fenomeni che invece di essere fisiologici si trasformino in patologici, in modo anche da avvisare la società agente di avere oltrepassato i limiti della razionalità e della dimostrabilità. Ed un simile intervento normativo resta urgentissimo ancora oggi”. E dunque sembra che, in assenza di una precisa regolamentazione al riguardo e a seguito di avvertimento della Corte federale, l’atteggiamento che le società e i tesserati dovevano tenere avrebbe dovuto essere dettato piuttosto da una generica attenzione e prudenza. Non so se sia esattamente così, ma così a me pare. E quindi è evidente come, in ordine a quanto si legge nella sentenza, manchi del tutto la chiarezza necessaria.

Nel prosieguo della lettura delle motivazioni, si legge anche che “nell’ordinamento sportivo il fine principale da perseguire, al di là dell’aspetto giustiziale pur
fondamentale, è quello di affermare sempre e con forza i principi di lealtà, imparzialità e trasparenza, tipici del movimento sportivo, come pensato sin dalla sua fondazione da Pierre De Coubertin e, quindi, è compito degli Organi di giustizia considerare meno stringenti le regole formali rispetto ad aspetti sostanziali, che siano utili all’accertamento dei menzionati valori (Collegio di garanzia dello sport, sez. I, n. 56/2018)
”.

E quindi, “al di là dell’aspetto giustiziale pur fondamentale” – aspetto che viceversa nell’ordinamento giuridico ordinario civile amministrativo e penale è non tanto essenziale quanto addirittura esclusivo al fine di legiferare ed operare secondo il principio, che è assolutamente basilare, della giustizia -, nell’ambito dell’ordinamento sportivo il criterio prioritario sarebbe invece quello di agire “sempre e con forza” secondo “i principi di lealtà, imparzialità e trasparenza, tipici del movimento sportivo”.

Tanto e altro premesso – e naturalmente in base ai “fatti nuovi sopraggiunti” in sede di accertamento ordinario delle questioni legate alla vicenda delle “plusvalenze” per quanto riguarda le attività circoscritte e poste in essere dalla Juventus – la Corte d’Appello FIGC ha ritenuto di sanzionare la Juventus FC perché “risulta in particolare violato l’art. 4, comma 1, CGS”. E cioè: “I soggetti di cui all’art. 2 sono tenuti all’osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC (NOIF) nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. Al di là dell’aspetto giustiziale pur fondamentale, e in assenza di indagini più che necessarie quanto meno opportune nel merito delle vicende di “plusvalenze” occorse nei più recenti anni trascorsi, sarebbe davvero stranissimo che la Juventus FC risultasse aver agito – da sola ed essa sola, almeno in Italia e consapevolmente – in violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità sportiva. E quindi, anche su questo punto, occorrerebbe piuttosto fare chiarezza.

 

 

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