Tangentopoli: la prima microspia della storia giudiziaria del distretto di Salerno e … Santacroce svela i presunti misteri di tangentopoli

 

Aldo Bianchini

Domenico Santacroce, detto "don Mimì", da magistrato fu protagonista della tangentopoli salernitana

SALERNO – E’ un sabato molto strano, quello dell’8 maggio 1993, che la città di Salerno (o meglio la su gente) vive sonnecchiosamente nell’attesa dei grandi sconvolgimenti giudiziari da circa un anno annunciati con i clamorosi ordini di cattura, relativi alla progettazione esecutiva della strada a scorrimento veloce denominata “Fondovalle Calore”, che avevano portato il 23 luglio 1992 in carcere personaggi di peso del mondo politico e imprenditoriale: Pasquale Iuzzolino (già sindaco di Sicignano), Giuseppe Parente (sindaco comunista di Bellosguardo), Pasquale Silenzio (già sindaco di Eboli e noto ancor di più per le sue altissime capacità professionali come segretario comunale), Mario Inglese (ingegnere capo della Fondovalle), Raffaele Galdi (progettista e direttore dei lavori della Fondovalle, uno dei due “compassi d’oro” e uomo di fiducia del ministro Conte) e Vittorio Zoldan (titolare di una delle tre imprese racchiuse in ATI che avevano vinto la gara di appalto); arresti che avevano sconvolto l’intera provincia di Salerno e che presto si riveleranno come l’avvio della grande ondata di arresti di quel 1992; con cadenza quasi settimanale seguirono anche gli arresti di Franco Todini (titolare di un’altra impresa dell’ATI), Renzo Rosi, Corrado Vecchio (già presidente della Comunità Montana Alburni), di Carmine Spirito (ingegnere capo dei lavori di ricostruzione di Valva, detto “Nuccio”), e del compianto senatore Nicola Trotta (socialista, già sottosegretario di Stato ai lavori pubblici e braccio destro del ministro Conte). E c’era stata la pesantissima ordinanza del 21 set. 92 del gip Mariano De Luca che, nel rigettare la richiesta di scarcerazione di Galdi, descriveva nei minimi dettagli il malaffare salernitano accusando la politica di alleanze mostruose con la camorra.

Le inchieste del ’92 iniziate tutte sotto l’egida del pm d’assalto Michelangelo Russo come coordinatore dei “Tre Di Pietro di Salerno” (Russo – D’Alessio e Di Nicola); un pool di inquirenti che dal luglio ’92 al maggio ’93 ha già lasciato per strada Michelangelo Russo (anche se la frattura vera avverrà il 19 giugno 93) per far largo al giovanissimo pm Antonio Scarpa.

Tutto ciò che avviene nel ’93, che è un anno orribile per la politica, è gestito, quindi, dai tre pm Di Nicola – D’Alessio e Scarpa che possono contare sui consigli di un suggeritore molto speciale: l’ex giudice istruttore di Salerno e in quel momento storico capo della Procura di Sala Consilina dr. Domenico Santacroce, detto Mimì.

Enrico Quaranta - già sottosegretario di Stato

Molto noto alle cronache giudiziarie per la sua immensa bravura nella conduzione delle indagini (ha avuto a che fare con i veri grandi camorristi dell’epoca sui quali ha scritto anche un libro) e aveva indagato sui delitti eccellenti di Marcello Torre (avvocato e sindaco di Pagani) e del criminale ras di Pagani “Salvatore Serra” detto Cartuccia; ma anche per la sua avversione, quasi patologica, contro i socialisti a cominciare da Enrico Quaranta per finire a Carmelo Conte. Don Mimì non era uno che rompeva tutta la cristalleria in un sol colpo, piuttosto come un bravo pugile lavorava l’avversario ai fianchi ed arrivava sempre, o quasi, dove i suoi colleghi si arrendevano. Le prime inchieste sugli uomini d’oro che simbolicamente attorniavano ma in realtà accerchiavano prima il sottosegretario Quaranta e poi il ministro Conte furono clamorose per la loro risonanza mediatica, tanto da indurre il Ministero degli Interni a mettere sotto protezione il magistrato con un periodo di isolamento in una località sconosciuta del nord Italia. Su tutto va ricordato lo scontro all’ultimo sangue tra Santacroce e Quaranta; il giudice interrogando un pentito (in merito al clamoroso delitto del boss Alfonso Rosanova avvenuto nell’ospedale di Via Vernieri) aveva raccolto una sua confidenza circa un incontro tra l’allora sottosegretario di Stato Enrico Quaranta e il boss sanguinrio, a cena in un ristorante dell’agro. E senza prove conclamate “don Mimì” aveva inserito questo episodio in una sua ordinanza. Apriti cielo, successe il finimondo e il senatore tappezzò tutta Salerno con manifesti contro il giudice anticamorra accusandolo di abuso di potere; sottoposto a provvedimento disciplinare del CSM il giudice istruttore venne trasferito a Palermo (ma allora la politica era forte e funzionava !!).

  • · Qualche mese prima Marcello Torre gli aveva consegnato una lettera riservata che Santacroce ha aperto ovviamente soltanto dopo la barbara uccisione dell’ex sindaco di Pagani, nella lettera Torre avanzava dubbi e sospetti anche verso alcuni compagni di partito, la Democrazia Cristiana.
  • “E’ arrivato!”, diceva uno. “Chi ? … ‘a Volpe”, chiedeva un altro alludendo al G.I. Giovanni Volpe. “No … no”, rispondeva quello di prima “E’ don Mimì”. Nasce così, semplicemente, per bocca di alcuni camorristi detenuti nelle vecchie carceri di Salerno, il mito di Domenico Santacroce, prima pm, poi giudice istruttore e infine capo della Procura della Repubblica di Sala Consilina per diversi anni. Ma il vociare nel carcere continua: “Già –osserva un terzo- chillo tene chillo piezzo abbascio ‘e celle”. Il pezzo era nientemeno che Salvatore Serra, detto Cartuccia, che il pm Santacroce si apprestava ad interrogare dopo il primo di una lunga serie di arresti. Siamo nel 1979 e la figura del magistrato Domenico Santacroce balza imperiosamente agli onori della cronaca per aver determinato la cattura del boss più potente dell’intero agro nocerino-sarnese.

(Brani tratti dal libro “La mia camorra” di Domenico Santacroce)

Don Mimì, dunque, conosceva fatti e misfatti e fu l’uomo nuovo e l’uomo chiave di tutta la tangentopoli salernitana perché dal suo arrivo in poi ci fu davvero una strage politico-giudiziaria di tanti socialisti da venire la pelle d’oca; al suo acume investigativo si aggiunse il coraggio dei tre giovani pm ed il quadro fu davvero completo.

Bisognava, però, andare alla ricerca delle prove provate per smantellare quella fitta rete di omertà che ancora reggeva intorno al PSI ed al suo strapotere cittadino e provinciale; c’era stato, è vero, il blitz della Fondovalle Calore ma sembrava che i giudici si fossero accontentati delle dichiarazioni ammissive del sen. Trotta che, poi, nel processo Fondovalle patteggerà consentendo alla magistratura l’unica vera vittoria giudiziaria dell’intera tangentopoli con la condanna di tutti gli imputati. Ed anche se tutto traballava dopo le dimissioni del sindaco Giordano del 23 marzo 1993 tutto lasciava preveder un lento ma inesorabile avvio verso la pacificazione globale tra politica e magistratura; ovviamente per il bene comune della città e della provincia.

Non era così e non fu così; don Mimì riunì i suoi tre pm (uno dei quali era stato addirittura a fare pratica legale nello studio di Gaspare Russo che, in quel momento, era uno dei personaggi da attaccare e distruggere) per concordare una strategia offensiva senza precedenti che doveva spianare tutto il territorio provinciale da Scafati a Sapri. La strategia, semplice ma complicata al tempo stesso, prevedeva un blitz mai tentato prima in tutta la circoscrizione giudiziaria di Salerno; per questo occorrevano professionalità e mezzi-strutture tecniche di ultima generazione: le microspie.

La mattina dell’8 maggio 1993, in tutta la circoscrizione di Salerno, soltanto un ufficio era in piena attività, quello al terzo piano della Procura di Sala Consilina, l’ufficio del procuratore capo Domenico Santacroce; con lui i tre PM di Salerno Di Nicola – D’Alessio e Scarpa con il capitano dei carabinieri Domenico Martucci, l’uomo di fiducia di Santacroce che qualche mese prima aveva comandato la squadra dei catturandi (Armentano, Tiberio e Capparrone) che, senza spargimento di sangue, avevano scovato nel luglio 1992  gli esecutori materiali (Carmine De Feo e Carmine D’Alessio) dei due carabinieri (Fortunato Arena e Claudio Pezzuto) assassinati a Pontecagnano il 17/02/1002 dai camorristi che, a Calvanico, si consegnarono al pm Alfredo Greco quando ormai erano stati assediati. C’erano anche altre figure, tra le quali i comandanti provinciali della Guardia di Finanza e dei Carabinieri e, ovviamente la segreteria del Capo della Procura al completo.

Don Mimì svela nei dettagli il piano e premette che qualche giorno prima era stato contattato da un imprenditore che qualche volta aveva proficuamente collaborato con la giustizia: Vincenzo Ritonnaro, questa la sua identità, titolare di una delle imprese più accorsate del territorio provinciale, regionale e nazionale con la ditta “Ritonnaro Tubazioni” e con un fatturato di tutto rispetto. Probabilmente sentitosi alle strette, per via di un controllo della GdF che aveva evidenziato alcune storture nelle fatturazioni e temendo ripercussioni giudiziarie sulla propria figlia che era la legale rappresentante dell’azienda, aveva contattato “don Mimì” per fargli alcune confidenze.

L’incontro, dice Santacroce, è fissato per oggi pomeriggio; mi verrà a prendere sotto il Tribunale di Salerno per fare una passeggiata in macchina e per parlare a quattr’occhi solo con me.

Carmelo Conte - già ministro per le aree urbane

Viene predisposto tutto al meglio e intorno alle 17.00 don Mimì è già opportunamente microfonato con due ricevitori per non correre rischi; vengono altresì allestite due macchine civetta con a bordo strumentazioni per la registrazione del colloquio che si annuncia carico di sorprese.

E’ solo, don Mimì, sotto il monumento davanti all’ingresso del Tribunale su Corso Garibaldi quando intorno alle ore 17.30 un colpettino di clacson attira la sua attenzione; un’auto di media cilindrata si ferma proprio davanti al Procuratore che sale senza indugio salutando il suo conoscente Vincenzo Ritonnaro che è alla guida.

L’auto si rimette in movimento e svolta subito a sinistra verso il lungomare transitando davanti alla “pizzeria Margherita” ancora vuota ma già pronta per l’imminente serata.

Imbocca il lungomare e accelera verso Mercatello, imbocca la litoranea e prosegue fino al Lido Lago dove i due scendono per un sospirato caffè e la continuazione della chiacchierata che, da Salerno è già stata di grande interesse; poi ritorno verso Salerno dove il Procuratore viene lascito da dove è partito. Senza evidenziare alcun segnale di soddisfazione il giudice inquirente scende dall’auto e si infila rapido nel portone del Tribunale. Viene raggiunto subito dagli uomini della GdF che lo hanno seguito e che hanno registrato tutto alla perfezione. Questa volta la location è diversa da quella di Sala, l’ufficio è sempre al terzo piano ed al suo interno attendono “don Mimì” tutti quelli che erano presenti a Sala Consilina alcune ore prima. Il blitz è riuscito alla perfezione e sono stti svelati alcuni segreti dei sacrari politico-affaristici, soprattutto del PSI.

Il viaggio è durato circa tre ore; in quelle ore Santacroce viene a conoscenza di come è stato allestito il sistema e di come si potrà contrastarlo. Ritonnaro gli ha confidato, su tutto il resto, una cosa importantissima: le aziende facenti capo alle grandi famiglie salernitane, quelle cioè che prima erano nate e cresciute all’ombra del “grand visir” di Nusco (Ciriaco De Mita), poi si erano trasferite sotto l’ala protettiva dei socialisti di Carmelo Conte e che in quel momento si preparava a trasmigrare verso i lidi più confortevoli e meno costosi dell’astro nascente Vincenzo Luca; Ritonnaro gli ha anche parlato della maxi tangente di almeno 3miliardi di lire sborsato in parti quasi uguali dalle predette aziende a sostegno del “Giornale di Napoli” per il tramite dei “due compassi d’oro” Franco Amatucci e Raffaele Galdi; un esborso coatto che aveva portato alla decisione di cambiare aria.

Domenico Santacroce, da vecchia volpe della giustizia, che quello è il filone principale da seguire per colpire in alto impaurendo prima tutti i responsabili delle diverse aziende.

Tutti i presenti sono d’accordo; si spegne la luce al terzo piano quando è ormai notte fonda; la battaglia può cominciare. Il mese di maggio del ‘93 sarà drammatico per tanti.

 

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