Tangentopoli (72): 13 maggio 1993 … il giovedì nero di Gaspare Russo

 

Aldo Bianchini

Gaspare Russo in un caricatura del prof. Arnaldo Amabile

SALERNO – Si svegliò di buon mattino, quel 13 maggio 1993, l’avvocato Gaspare Russo in una stanza d’albergo sobria, non elegante ma con tutti i servizi necessari; una specie di suite un po’ demodè ma all’altezza, comunque, di un personaggio importante come lui abituato alle assolate spiagge del sud americane ed ai fasti dei resort brasiliani, ma profondo conoscitore anche della “città dalle stelle d’oro e cieli grigi”, e non solo della sua lingua che parlava e parla correntemente.

Ed era lì, proprio a Parigi che ora si trovava; “non in latitanza e neppure in fuga, semplicemente in vacanza” mi ha ripetuto più volte nel corso dei tantissimi incontri di questi ultimi anni; una vacanza “dorata” cominciata il 13 maggio 1993, interrotta quasi come un piccolo disturbo il 9 febbraio 1996 e continuata, poi, fino al 17 gennaio 2001, giorno del suo ritorno ufficiale in Italia.

La mini suite già frequentata nei precedenti soggiorni parigini e scelta con cura in Via Victor Hugo a non più di cinquanta metri dai mitici “champs élysèes” e poco più di duecento metri in linea d’aria da “l’arc de triomphe” ai margini del quartiere molto frequentato da molti italiani accolti per ragioni di epurazioni politiche e non solo; insomma tra arte, modernità, vestigia imperiali e frequentazioni culturali ed intellettuali molto avanzate, questa la sistemazione per quella che lui sapeva già lunga permanenza sul suolo francese. Ed è anche lì che si sarebbe imbevuto d’arte e cultura il buon Gaspare Russo con lunghe passeggiate sulla Senna e visite nelle strade e nelle piazze alla ricerca della vera identità dei parigini. E visto che era in vacanza prolungata si era anche dotato, per tempo, di una linea telefonica personale fissa ben inserita nell’elenco telefonico della città, ovviamente a suo nome e cognome.

Aveva lasciato Salerno, senza fretta ma in maniera programmata da tempo, nel pomeriggio di lunedì 10 maggio 1993 (guarda caso poco dopo l’inizio dell’interrogatorio di Alberto Schiavo nella Procura di Sala Consilina – leggasi capitolo precedente) quando ormai le voci su un suo possibile arresto in carcere si erano fatte pressanti e dal tribunale qualcuno gli suggeriva di andarsene nell’attesa di tempi migliori per tornare. Lasciò di buon mattino la sua casa di Via San Giovanni Bosco e da un fedelissimo fu accompagnato in auto fino all’aeroporto di Capodichino. In aereo fino a Milano e da lì, sempre in aereo, alla volta di Francoforte. In treno da Francoforte a Zurigo; e ancora in auto con un amico fino ad un pesino della Vallata della Loira In Francia, un paese che aveva frequentato ogni estate fin da giovane. E infine da lì a Parigi nel pomeriggio del 12 maggio il passo fu davvero breve; a sera dopo una visione delle stelle d’oro un meritato e sano riposo fino al mattino.

Prima di prendere sonno, però, gli tornò alla mente un’esclamazione del profeta Isaia scritta nella Bibbia: “Guardai in giro e non c’era più nessuno da interrogare per avere una risposta”. Una domanda che ritornò spesso nei suoi pensieri in quel lungo soggiorno parigino; di quelle centinaia e centinaia di personaggi in politica come nella vita professionale e quotidiana non c’era più nessuno intorno a lui, tranne pochi fedelissimi per dargli almeno il conforto della solidarietà umana, per non dire le sostanze per la costosa villeggiatura; e per questo aveva scelto la via più sicura verso Parigi ed aveva lasciato la sua amata Salerno alla quale aveva dato tutta la sua vita.

Gaspare Russo di fianco ad una caricatura (sempre del prof. Amabile) che campeggia nel suo studio

Alle ore 8.30 del 13 maggio 1993 squilla, puntuale come un orologio svizzero, il telefono fisso che era sul comodino di fianco al letto presente nella mini suite parigina; dall’altro capo della linea internazionale la voce gelida del suo assistente di studio: “Avvocato buongiorno, le confermo che la Guardia di Finanza, i Carabinieri e la Polizia di Stato per la notifica di ben sette ordini di cattura in suo danno”.

Gaspare Russo non risponde, chiude la brevissima conversazione abbassando la cornetta dell’apparecchio telefonico e pensa “Ma cosa avrà mai dichiarato il mio amico Alberto Schiavo e cosa avranno nei loro faldoni i magistrati inquirenti ?”.

Cerca di sgombrare la mente dagli altri pensieri e si concentra sul da farsi; rapida la decisione, si veste e scende in strada, percorre alcune centinaia di metri e raggiunge il Consolato Italiano per farsi “audire” dalla segreteria dell’ambasciatore alla quale non nasconde i fatti accaduti poche ore prima in Italia e chiede rifugio politico dichiarando, con documentazione già predisposta alla bisogna, che tutti i mandati di cattura di cui era destinatario erano da circoscrivere ad una lotta politico-giudiziaria nei suoi confronti da parte di avversari spietati.

Mentre ritorna verso casa, pardon verso la mini suite, non riesce a darsi pace del perché di quei sette ordini di cattura; fa un’analisi veloce della situazione e ricorda che contro di lui hanno indagato ben otto magistrati: sei di Salerno, uno di Roma e uno di Milano.

Quel 13 maggio 1993 negli atti giudiziari viene, però, raccontato in maniera diversa: “Il solerte vice questore Sebastiano Coppola (capo del drappello di polizia presso il Tribunale, l‘uomo che stringerà le manette intorno ai polsi del sindaco Vincenzo Giordano) verga un rapporto urgente per la Procura, un confidente gli ha sussurrato che Russo, ignaro degli ordini di cttura, sta rientrando da Francoforte con volo diretto verso Capodichino; rapida la decisione assunta dai pm Di Nicola, D’Alessio e Scarpa con l’avallo del capo Ermanno Addesso. La pista di atterraggio dell’aeroporto partenopeo, nel tardo pomeriggio di quel 13 maggio, viene cinta d’assedio dagli uomini delle forze dell’ordine; ma di Gaspare Russo nessuna traccia. Sparisce nel nulla e su di Lui fioriscono varie leggende; c’è chi lo vuole nei mari del sud America, chi a Londra e chi a Parigi sulle rive della Senna in una latitanza dorata”.

Diversi i giudici che lo avevano inseguito: Claudio Tringali (tribunale Salerno nell’85), Vitaliano Calabria (tribunale di Roma nell’88), Michelangelo Russo, Alfredo Greco, Vito Di Nicola, Luigi D’Alessio, Antonio Scarpa, Domenico Santacroce (tribunali di Salerno e Sala Consilina negli anni ’90).

Bisognerebbe scrivere un libro (ed io sto cercando di farlo) per ricordare tutti gli avvenimenti che hanno riguardato, direttamente e indirettamente, il mitico Gaspare Russo; per il momento mi limito a raccontare il primo (e forse più serio) tentativo giudiziario di mettere in discussione il suo immenso potere.

Gaspare Russo con Aldo Moro

Il caso Tringali:

“”Il magistrato, in ordine di tempo, a sferrare il primo, vero e forse unico serio attacco contro Russo, è stato Claudio Tringali che nell’85 ordinò, a sorpresa, una perquisizione in casa e nello studio del potentissimo demitiano e sequestrò numerosi fascicoli. Successe la fine del mondo; il Procuratore capo dell’epoca “Gennaro Gelormini” rientrò immediatamente da Firenze (dove si trovava per un convegno) ed avocò la pratica a se; la città rimase sconvolta: qualcuno aveva avuto l’ardire di violare il sacrario democristiano.  Tringali venne deferito al CSM (unitamente ad altri due magistrati che avevano avallato l’azione del pm d’assalto) e trasferito a Potenza ed infine prosciolto da ogni accusa di abuso di potere.

Ma cosa trovò il giovane PM in casa di Russo? Tante cose, anche gli schizzi progettuali di quelli che dovevano essere i futuri insediamenti industriali del dopo-terremoto, con una serie impressionante di probabili speculazioni e di dominio politico sui Consigli di Amministrazione delle Aziende e sui finanziamenti statali. Anche in questo caso venne subito fuori un mistero: il capo del drappello, che aveva eseguito la perquisizione e i sequestri, venne trasferito e con il suo trasferimento “scomparve” dagli armadi del Tribunale l’elenco (il foliario) dei beni sequestrati: casualità o depistaggio dei servizi segreti?

Ma insieme all’elenco sparirono anche gli atti preziosi sulla ricostruzione, o almeno quelli che gli inquirenti dell’epoca ritenevano tra i più importanti. Fortunatamente una traccia la si trova nella famosa “Relazione Scalfaro” sul terremoto dell’80; la Commissione d’Inchiesta affermò che la sig.ra Maria Luisa Soffritti (moglie dell’imprenditore vallese Alberto Schiavo che era il titolare di una delle più grosse imprese di costruzione dell’epoca e che oggi, nelle mani dei figli, si è modernizzata ed ampliata ancora di più) aveva acquistato con largo anticipo molti terreni siti nella Valle del Sele sui quali dovevano, poi, essere edificate le aree industriali; ovviamente aveva pagato i terreni a prezzo agricolo e li aveva rivenduti a costi molto più alti. All’epoca Gaspare Russo e Alberto Schiavo (che tre giorni prima lo aveva pesantemente accusato dinanzi ai magistrati Santacroce, Di Nicola, D’Alessio e Scarpa, e il brillante capitano dei ROS Domenico Martucci) viaggiavano in perfetta osmosi; e questo è un dato storico inconfutabile che dà la giusta dimensione della vastità degli interessi della politica nel dopo terremoto””.

Non so se Russo, come spesso ha detto Aniello Salzano (demitiano come Russo e amico di quest’ultimo), è stato il punto di riferimento politico della DC grazie alla sua disponibilità al dialogo, al rispetto delle istituzioni e alla concretezza amministrativa; io non ho fatto politica in maniera diretta ma ho seguito dall’esterno e molto da vicino tutti gli avvenimenti ed ho sempre pensato che anche per colpa di Gaspare Russo e dei suoi tentennamenti strategici tra PaternopoliNusco e Pontecagnano (prima con Sullo, poi a lungo con De Mita, brevemente con Del Mese, e infine ritorno a Nusco) si aprirono dei varchi enormi in cui si infilò abilmente la magistratura locale che in un precedente passato era stata crocifissa e, forse, sottomessa anche e non solo dallo stesso Gaspare Russo. Ma è vero, mi devo convincere, più mi guardo in giro e più mi rendo conto, che non c’è più nessuno da interrogare per avere una risposta (Isaia nella Bibbia).

Gaspare Russo con il Papa Giovanni Paolo II

Il giorno più bello per Gaspare Russo fu, forse, quello della sua incoronazione a sindaco di Salerno; correva l’anno 1970 e più specificatamente il giorno 19 ottobre: “Era l’epoca in cui si sussurrava, e non tanto silenziosamente, che Salerno era caduta nella mani degli avellinesi che avevano praticamente occupato la città con le falangi demitiane e sulliane, tenendola in stretto scacco. Gaspare Russo si inserì molto intelligentemente in questa battaglia perché aveva capito che il suo astro si sarebbe affermato se di contro fosse stato oscurato quello di Fiorentino Sullo ed anche quello di Alfonso Menna, con l’aiuto di quello che si appalesava già come “lo zar di Nusco. Nelle elezioni successive a quelle del ’64 la DC salernitana aveva perso sempre più pezzi cadendo verso il basso anche nelle percentuali dei consensi elettorali mentre, al contrario, salivano i consensi per Russo; e crescevano il PCI e il PSI. Si arrivò così alla fatidica data del 19 ottobre 1970; quel giorno era stato convocato il consiglio comunale con all’ordine del giorno la verifica della maggioranza (un surrogato anomalo di centro destra). Con un discorso da vero e proprio leader Gaspare Russo mise praticamente in stato d’accusa il vecchio sindaco Menna e lo scalzò letteralmente dal suo scranno riuscendo a ricompattare la maggioranza che sembrava essersi sciolta come neve al sole. Nel silenzio generale e sotto gli occhi di tutti all’anziano sindaco non rimase che alzarsi dalla sua sedia di primo cittadino, attraversare longitudinalmente il salone dei marmi ed uscire nel corridoio principale per infilare le scale e raggiungere la strada. Non si mosse nessuno, neppure gli uscieri, e Alfonso Menna dopo oltre quattordici anni di sindacato fu costretto a chiamare un taxi per farsi accompagnare a casa, mentre il salone dei marmi cominciava ad infervorarsi per l’avvenuta elezione a sindaco di Gaspare Russo, quasi per acclamazione”.

Per la cronaca è doveroso ricordare che nel lungo periodo delle sue “vacanze parigine” un solo giornalista salernitano riuscì a contattarlo telefonicamente sul numero fisso che compariva nell’elenco di Parigi fin dal 1994; Tommaso D’Angelo, allora direttore di Cronache del Mezzogiorno, agli inizi del 1995 (domenica 19 febbraio) compose il numero che sicuramente era in possesso anche dei magistrati e dall’altro capo della linea la voce stentorea Gaspare Russo. Alle tante domande poste in rapida successione rispose gelidamente “Ma allora non vuole capire ? Sono qui, a Parigi, da due anni, come ben sanno i magistrati salernitani, e non mi sono mai mosso. Si dovrebbero vergognare !!”. Era la prova provata che Russo non era in stato di latitanza.

L’abilità politica di Gaspare Russo e l’enorme diffusione del suo potere credo possa essere racchiusa in un breve assunto storico: “Russo capì prima di tutti che doveva raccogliere intorno a se l’imprenditoria delle grandi famiglie salernitane che con i loro investimenti gli avrebbero consentito di realizzare il suo disegno-sogno politico. Insomma una specie ante litteram di “progettate e arricchitevi” di deluchiana memoria. E, forse, vistosi ormai perso fu lo stesso Russo ad allontanare le grandi famiglie dal potere contiano-socialista per farle correre in Procura a denunciare fatti e misfatti … anche falsi”.

Ovviamente su questo non ci sarà mai certezza e rimarranno tante ombre; ma le denunce dell’imprenditore vallese Alberto Schiavo (Procura di Sala Consilina – 10 maggio 1993) rimarranno per sempre come un campanello d’allarme.

Gli anni passano, la Procura di Salerno non molla ma di Gaspare Russo soltanto fumose notizie come quella di un telefonata fatta intercettare dal pm Michelangelo Russo sull’utenza privata di una signora salernitana che gestiva i contatti con Russo e la telefonata di Tommaso D’Angelo; si intrecciano le ipotesi, anche quelle più fantasiose, come quella che era stato avvistato in un noto albergo di Acciaroli (quello della famiglia Schiavo ?), oppure di essere nascosto in casa del figlio Ivo ma le perquisizioni non danno alcun esito positivo.

Per arrivare al 13 agosto 1994 con il blitz nel convento delle suore carmelitane di clausura di Fisciano:

  • IL BLITZ: E’ l’alba del 13 agosto 1994; una ventina di uomini impiegati direttamente agli ordini di Sebastiano Coppola; lo squadrone giunge a Fisciano e cinge d’assedio il convento; poi qualcuno bussa al portone; non viene dato il consenso all’accesso (si tratta di suore di clausura), interviene addirittura l’arcivescovo di Salerno Mons. Gerardo Pierro che chiede di parlare con i due magistrati presenti sul posto (Vito Di Nicola e Luigi D’Alessio); secco il rifiuto e perentorio l’ordine di entrare; tardi, troppo tardi: Gaspare Russo è già sparito. Qualcuno dirà che è fuggito attraverso i cunicoli del monastero. A questo punto occorre chiedersi se Russo fosse davvero presente nel Convento. Per una certa logica si (ma si sa che la logica spesso non appartiene ai magistrati), altrimenti come giustificare la clamorosa azione, la violazione della clausura e forse dello Stato Pontificio ? Se Russo si trovava all’interno del convento, chi lo avrebbe avvertito e materialmente aiutato ? Qualcosa avrebbe potuto dirla, forse, Pietro De Divitiis, il fedelissimo di Russo, ma è morto poco tempo dopo il blitz.

La mia personale frequentazione con Gaspare Russo è stata praticamente inesistente fino a qualche anno fa, poi dal febbraio 2018 al marzo 2020 l’ho incontrato settimanalmente nel suo studio-casa di Via San Giovanni Bosco con l’intento di scrivere articoli, prendere appunti, dialogare a lungo al fine di dedicargli un libro che sto già scrivendo. Come anteprima mi piace raccontare ciò che il presidente Russo mi ha riferito, sorridendo, in uno dei tanti colloqui pomeridiani:

  • Una mattina dell’agosto del ’95 scesi di casa di buon mattino, percorsi Via Victor Ugo in direzione “champs élysèes” e girai a sinistra per recarmi al consolato italiano con i cui uffici avevo una interlocuzione continua. Mentre pensieroso camminavo sul marciapiedi vidi ad una cinquantina di metri da me il noto vice questore Sebastiano Coppola, colui che mi ha dato la caccia in più di una occasione; era insieme ad altri due uomini e tutti e tre stavano mangiando un gelato. Mi fermai per qualche secondo, poi visto che loro si erano incamminati li seguii a debita distanza senza fretta; li vidi entrare nel Consolato italiano proprio dove io ero diretto. Feci dietro front e ripercorsi al contrario la strada già fatta e riparai nella mia modesta suite. Erano venuti per me e considerato che erano andati nel luogo dove io andavo spesso e dove i funzionari conoscevano il mio indirizzo e il mio numero di telefono pensai che molto verosimilmente sarebbero, di lì a poco, venuti a prendermi. Non accadde niente ed io continuai la mia serena vacanza parigina. In quella occasione, mi piace dirlo, mi ero trasformato in un ottimo investigatore capace di seguire chi mi doveva seguire; un colpo di fortuna, certo, ma anche abilità di osservazione attenta e meticolosa.

Ma il 9 febbraio 1996 è vicino; quella mattina alcuni poliziotti italiani (coordinati in quel momento dal colonnello dei carabinieri Pietro Paolo Elefante) bussano alla porta della residenza di Gaspare Russo; gli notificano quei sette mandati di cattura del maggio 1993 e finisce ufficialmente la “vacanza dorata e oscura” in quel di Parigi e comincia quella ufficiale con un lunghissimo iter burocratico relativo alla pratica di estradizione conclusasi soltanto il 17 gennaio 2001 quando Russo scende dall’aereo che da Parigi lo ha portato a Roma per approdare direttamente nella sua abitazione di Via San Giovanni Bosco da uomo libero per aver patteggiato il suo ritorno.

Questa volta, però, è solo con l’autista in macchina; non c’è il corteo di auto che nel 1988, per lo scandlo delle lenzuola d’oro, lo aveva accompagnato strombazzando da Regina Coeli fino a Salerno.

 

 

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