TANGENTOPOLI (75): 22 maggio 1993 … quando cambiò la storia di Salerno

 

Aldo Bianchini

Il municipio di Salerno dove il 22 maggio 1993 si svolse il consiglio comunale che elesse Vincenzo De Luca sindaco per la prima volta

SALERNO – Troppo spesso si abusa del termine “storico” per dare maggiore spessore e valore anche a fatti di poca importanza; soprattutto nell’ambito giornalistico il termine storico è praticamente all’ordine del giorno nei titoli a tutta pagina per eclatare una notizia che, altrimenti, passerebbe sotto silenzio.

Per la giornata del 22 maggio 1993 il termine “storico” è a dir poco riduttivo rispetto agli avvenimenti che la caratterizzarono sul piano politico, giudiziario e sociale; in quella giornata, difatti, prese corpo (ma nessuno lo sapeva) la vera ed unica “svolta di Salerno” che soltanto gli storici, fra qualche tempo, potranno catalogare, esaminare, sviscerare e giudicare.

Il mio è soltanto un semplice tentativo, da cittadino prima ancora che da giornalista, di mettere in fila, ora dopo ora, tutto quello che accadde in quella giornata di sabato di trent’anni fa con le redazioni giornalistiche della città in pieno fermento e agitazione e con l’attenzione rivolta non tanto verso il Consiglio Comunale, convocato per le ore 18.00, per l’ elezione del nuovo sindaco, ma essenzialmente verso gli arresti eccellenti che con un tam-tam quotidiano ed asfissiante venivano annunciati, e non solo dalla Procura della Repubblica.  Nessuno dico, nessuno avrebbe mai immaginato cosa, invece, sarebbe accaduto sul piano giudiziario in quella giornata che cambiò radicalmente la storia stessa di Salerno.

Per queste ragioni il presente capitolo sarà, necessariamente, più lungo rispetto a quelli con i quali fin qui ho cercato di ricostruire ciò che realmente è accaduto negli anni focosi della tangentopoli salernitana che ho circoscritto tra il 16 aprile 1992 (sequestro studio tecnico Galdi-Amatucci) e il 23 febbraio del 1994 con la lettura della sentenza di 1° del processo “Fondovalle Calore” (alla sbarra 31 imputati) che è stato l’unico processo alla tangentopoli conclusosi con sette patteggiamenti e numerose condanne passate in giudicato dopo il vaglio della Suprema Corte di Cassazione per gli altri ventiquattro imputati.

Per i lettori è giusto ricordare che quella giornata del 22 maggio 1993 era stata preceduta da avvenimenti molto importanti sul piano della credibilità e dell’economia di tutte le inchieste giudiziarie iniziate il 16 aprile del ’92 con i sigilli apposti allo studio tecnico degli ingegneri Galdi e Amatucci ( i cosiddetti “compassi d’oro” molto vicini all’allora ministro Carmelo Conte) richiesti dal pm Michelangelo Russo il cui nome, piaccia o no, ritorna spesso nel racconto e nella storia di tangentopoli.

Per capire meglio e di più dobbiamo fare un piccolo passo indietro per cercare di rivedere, come in un video, tutto quello che a Salerno era successo dal momento delle dimissioni del sindaco Vincenzo Giordano:

  • 23 marzo 1993: Giordano ormai con il fiato sul collo e braccato di magistrati, tra veleni esterni e fuoco amico, si dimette; con lui esce di scena l’uomo che aveva personificato il “laboratorio laico di Salerno” portandolo a riferimento nazionale;
  • 27 marzo 1993: finiscono dietro le sbarre Enrico Zambrotti (mente finanziaria del PSI, definito il “tarzan” nella giungla delle società del partito), Ciro Savarese, Marcello Losito e Domenico D’Arco; per loro l’inchiesta sulla Banca Popolare di Salerno e Autosud;
  • 7 aprile 1993: arresto clamoroso di Gaetano Amendola, patron della Divina Costiera e dell’hotel Excelsior di Pogerola, grand commis della DC e braccio destro di Arnaldo Forlani (componente del famigerato CAF, con Craxi e Andreotti); clamoroso il suo arresto perché viene eseguito all’interno del tribunale di Salerno dove si trovava per essere sentito dai magistrati;
  • 9 aprile 1993: il quotidiano Il Mattino pubblica le confessioni di Pasquale Galasso (boss della camorra napoletana); un dossier di 198 pagine che scaraventa nel tritacarne personaggi del calibro di Gava, Meo, Pomicino, Vito, Mastrantuono, Di Donato, Conte, Del Mese ed altri;
  • 26 aprile 1993: avvisi di garanzia al sindaco Vincenzo Giordano, all’architetto Annibale Casilli e all’ingegnere Armando Zambrano per abuso di ufficio e turbativa d’asta in merito alla gara di appalto per gli alloggi di Matierno e Sant’Eustachio;
  • 8 maggio 1993: la microspia del procuratore Domenico Santacroce registra tutti i segreti svelati dall’imprenditore Vincenzo Ritonnaro;
  • 10 maggio 1993: il lungo interrogatorio di Alberto Schiavo presso la Procura di Sala Consilina;
  • 11 maggio 1993: arresto dell’architetto Annibale Casilli, vicino al PSI; le sue dichiarazioni avviano indagini serrate contro le Coop. Rosse (Argenta e Sistema) con rilevanti implicazioni di personaggi come Fulvio Bonavitacola, Salvatore Aversano, Vincenzo Giordano e Carmelo Conte;
  • 12 maggio 1993: nelle redazioni giornalistiche corre voce di una indagine per un presunto accordo segreto tra le imprese di costruzione per la spartizione, con regolare sottoscrizione di un protocollo d’intesa, dei grandi lavori pubblici ricompresi in un pacchetto di 140miliardi; nella tempesta giudiziaria  la Edilter di Bologna, la Sacaim di Venezia, la Coraggio Costruzioni, l Edildemartino, la Generoso Coraggio, la Geneca di Carratù, la Grimaldi, la Tortorella e la Virno Lamberti; il protocollo non si troverà mai;
  • 13 maggio 1993: il tentativo di arresto di Gaspare Russo; nella bufera le imprese Icla, Agostino De Falco, Giuseppe Maltauro e Alberto Schiavo;
  • 15 maggio 1993: scoppia lo scandalo dello svincolo autostradale di Battipaglia e viene subito nuovamente arrestato l’imprenditore battipagliese Antonio De Rosa; uno scandalo che pochi mesi dopo coinvolgerà pesantemente l’on. Francesco Curci (PSI);
  • 17 maggio 1993: parte ufficialmente l’inchiesta a carico della Infomer (società editrice de Il Giornale di Napoli, che coinvolgerà anche Enrico Zambrotti che era già in carcere dal 27 marzo 93), della Offset, della Its Intesa, della Tecnomez, della Tecnos, della Geproter e della Sterri;
  • 18 maggio 1993: l’arresto del giudice Alfonso Lamberti;
  • 20 maggio 1993: Le inchieste si allargano in maniera impressionante e la procura incomincia a radiografare gli interessi dei singoli politici (Paolo Del Mese, Carmelo Conte, Ciriaco De Mita, Giovanni Clemente ed altri) nelle varie banche come il Credito Commerciale Tirreno, la Cassa di Risparmio Salernitana, la Banca Popolare, fino alla banca di Generoso Andria. Allo scoperto gli interessi della compagnia assicurativa Tirrena, dell’Hotel Baia e di alcune  famiglie cavesi.

Prima del 22 maggio 1993, quindi, in soli 60 giorni era accaduto di tutto e di più e il devastante quadro di indagini si era ampliato a dismisura e per questo rischiava di naufragare se gli investigatori non avessero trovato la classica ciliegina da depositare sulla torta; era già pronta, era stata forse preparata per tempo: il primo arresto di Alfonso Lamberti del 18 maggio 93.

Nel mio immaginario ho sempre pensato che l’arresto di “Fonz ‘a manetta” (così era soprannominato Lamberti) apparve più come una consacrazione dell’azione giudiziaria in corso che la ricerca della verità sulle tante presunte malefatte del noto magistrato e docente universitario di “antropologia criminale”; in pratica con l’arrestato di un giudice (fatto che accadeva per la prima volta nella circoscrizione giudiziaria di Salerno) prendeva ulteriormente quota l’ipotesi che la tangentopoli avesse realmente invaso tutti gli ambienti di una città che il 21 settembre 1992 il gip Mariano De Luca, in una sua ordinanza, aveva descritto come “… profondamente corrotta in una oscura e desolante realtà che sovente si annida nelle pieghe delle istituzioni troppo facilmente permeabili ad interessi personalistici ed a sfruttamenti parassitari …”.

Questo, ovviamente, nel mio immaginario; nella realtà Alfonso Lamberti si era macchiato di tanti reati da meritare, forse, l’arresto che puntuale era arrivato su richiesta del suo collega Alfredo Greco che nel ’93 era anche il pm delegato ai rapporti con la stampa su delega del procuratore capo Ermanno Addesso.

Ma andiamo con ordine e cominciamo il racconto dalle prime ore del 22 maggio 1993.

Quel sabato scadeva il termine di legge di 60 giorni entro il quale bisognava eleggere il nuovo sindaco di Salerno, in caso contrario bisognava lasciare la città nelle mani di un commissario ministeriale. Il sindaco in carica Vincenzo Giordano (eletto nel ruolo l’8 marzo 1987) aveva protocollato le sue dimissioni nella mattinata del 23 marzo 1993 proprio a causa della tempesta giudiziaria che da mesi stava travolgendo soprattutto il Partito Socialista.

Nei due mesi di crisi in tanti avevano cercato di convincere Giordano a recedere dal suo proposito; ma ostinato e caparbio qual era non volle ascoltare ragioni, neppure le richieste fattegli qualche giorno prima del 22 maggio quando era andato a casa di Conte (le condoglianze per la morte della mamma del ministro) dove aveva incontrato anche Vincenzo De Luca (accompagnato da Antonio Bottiglieri); ma la riunione molto riservata non ebbe alcun esito.

E si era arrivati al giorno 22 maggio 1993 con Vincenzo Giordano che si era reso praticamente introvabile, ragion per cui ci si avviava decisamente verso le ore 18.00 del pomeriggio per l’inizio del Consiglio Comunale decisivo per le sorti future della città.

Un piccolo e doveroso ricordo di quelle ore precedenti l’inizio del consiglio comunale; nella redazione di TV Oggi (diretta da me) venne Gioconda De Sanctis per una intervista; era accompagnata da Salvatore Memoli che rappresentava una parte della D.C., e in rapida successione arrivarono anche altri politici tra i quali Enzo Pucci; nella mia stanza (che avevo opportunamente lasciato libera) ci fu un summit molto importante. Quel gruppo voleva la De Sanctis come sindaco, ma l’operazione come vedremo non riuscì.

Alle 18.00 in punto la seduta ebbe inizio; tutta la stampa locale era accorsa in massa, il salone dei marmi era pieno di addetti ai lavori e di gente comune, l’ora delle decisioni irrevocabili era arrivata e le ipotesi si alternavano alle ipotesi, una più incredibile dell’altra. C’era tanta animazione e confusione con una promiscuità mai registrata nè prima e né dopo, tanto è vero che i giornalisti si affiancavano ai consiglieri negli scranni a loro riservati.

La seduta fu tra le più drammatiche della storia comunale, almeno dal secondo dopo guerra in poi; e andò per le lunghe; intorno alle 22.00 arrivarono il ministro Carmelo Conte (PSI) e il sottosegretario Paolo Del Mese (DC), che all’epoca erano anche consiglieri comunali e non soltanto ministro e sottosegretario, e da quel momento in poi l’atmosfera diventò convulsa e quasi irrespirabile; le discussioni pubbliche si alternarono alle riunioni molto riservate; nel giro di una novantina di minuti sulla poltrona di sindaco salirono in tanti per discenderne presto; da Gioconda De Santis (sponsorizzata dagli ex D.C. di Memoli) a Nicola Scarsi (sostenuto dai repubblicani che avevano portato a Salerno il tecnico Bohigas).

Poco dopo le ore 23.00 dal vaso di pandora venne fuori il nome di Vincenzo De Luca, sponsorizzato più da Conte che da Del Mese; entrambi, forse, costretti ad accettarlo in quanto nella figura dell’allora vice sindaco comunista si intravedeva anche il giusto contrappeso per una Procura della Repubblica che avrebbe avuto, così, la sua parte di gloria: Vincenzo Giordano fuori, Vincenzo De Luca dentro, con il ritorno in maggioranza (almeno dall’esterno) anche della DC al fianco del PSI e del PDS per un riequilibrio delle forze politiche in campo che negli ultimi anni si era spostato tutto  sinistra con il famoso laboratorio laico. Secondo i maggiorenti politici dell’epoca questo fatto avrebbe sicuramente placato gli ardenti spiriti della Procura che, con calma e riflessione, avrebbe potuto concludere le sue giuste e doverose inchieste per porre fine alla clamorosa azione giudiziaria avviata un anno prima. Non avevano capito un bel niente; i giochi, quelli veri, erano ancora lontani.

Col senno di poi, cioè con le recenti dichiarazioni pubbliche dell’ex pm Michelangelo Russo, è piuttosto facile e credibile affermare che la ricostruzione di quella giornata del 22 maggio 1993 (così come fatta) è molto attendibile in quanto la Procura (che fino a quel momento era convinta di avere a che fare con farabutti, ladri e malfattori) si sarebbe decisamente accontentata dell’elezione  a sindaco di Vincenzo De Luca che quasi tutti i magistrati inquirenti incominciavano a vedere come il personaggio politico in grado di risolvere tutti i problemi, dalla corruzione alla concussione ed al malaffare di giornata, che attanagliavano la vita sociale e politica in quanto la sua azione appariva incentrata soltanto sul bene comune; insomma De Luca come un novello Pericle: “… Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private …”.

L’accordo politico, tra PSI e PCI, con il malumore della DC-PRI-PLI ed altri, era stato dunque concretamente realizzato, bisognava portarlo in aula e sottoporlo al voto dell’assemblea consiliare che era in trepida attesa.

Erano le 23.20 circa quando si aprì la votazione che appariva scontata, i numeri c’erano e bisognava soltanto tradurli in una elencazione politica concreta; ma ecco la grande sorpresa, inaspettatamente il socialista Michele Ragosta (già assessore alla casa con Giordano) si ribellò alle decisioni del suo partito (il PSI) e senza timori annunciò il suo voto contrario all’elezione di De Luca.

Tutto da rifare ? Assolutamente no, l’accordo su De Luca fu tenacemente difeso, in gioco c’erano tantissimi interessi ma bisognava trovare quel voto utile all’elezione del nuovo sindaco. Quella ostinazione da parte di Conte e Del Mese sulla figura di De Luca avvalora la mia ipotesi che anche quella riunione riservata in casa di Conte al Bivio di Santa Cecilia era stata organizzata sul nulla ed era servita soltanto per capire le reali intenzioni di Giordano di mantenere le dimissioni; forse già quel giorno ad Eboli le decisioni erano state prese in maniera irrevocabile e con le decisioni era stato segnato anche il destino dell’ex sindaco, sacrificato sull’altare del presunto accordo tra la Procura e la nuova maggioranza politica che si andava profilando.

La tensione nel Salone dei Marmi era altissima, c’era un assente, il socialista Marco Siniscalco, andarono a prenderlo a casa, arrivò giusto in tempo e votò per De Luca sindaco.

Alle ore 23.55 del 22 maggio 1993 cambiò la storia politico-sociale-giudiziaria di Salerno, e forse dell’intera provincia; la storia svoltò in favore del nuovo sistema politico di potere con l’avvio dell’epopea deluchiana che dura ancora oggi, dopo trent’anni.

Il tribunale di Salerno in cui nella stessa giornata del 22 maggio 1993 tre pubblici ministeri interrogarono a lungo l'imprenditore Vincenzo Ritonnaro; le sue dichiarazioni avrebbero potuto sconvolgere l'esito del consiglio comunale che elesse sindaco Vincenzo De Luca poche ore dopo

Ma in apertura del presente capitolo della lunga storia di tangentopoli ho scritto che quel giorno, il 22 maggio 1993, accadde anche un’altra cosa molto importante, forse più dello stesso consiglio comunale; si svolse in un set privilegiato sito al terzo piano del palazzo di giustizia.

In una stanza c’erano ben 3 sostituti procuratori: Vito Di Nicola, Luigi D’Alessio e Antonio Scarpa, davanti a loro, trepidante, l’imprenditore Vincenzo Ritonnaro.

Ma come, si chiederà qualcuno, di nuovo Ritonnaro ?, ma non era stato registrato nel corso del pomeriggio del precedente 8 maggio quando in auto con il procuratore Domenico Santacroce aveva svelato gran parte dei segreti di tangentopoli ?

La verità sulla convocazione straordinaria ad horas di Ritonnaro appartiene alla storia e soltanto la storia potrà, forse, chiarirla; per la ricostruzione di quella giornata è possibile avanzare soltanto l’ipotesi che i tre magistrati inquirenti avessero avuto l’urgente necessità di alcuni chiarimenti in merito alle tante vicende raccontate dall’imprenditore a Santacroce e registrate all’insaputa dello stesso Ritonnaro.

A questo punto, anche se a distanza di trent’anni, verrebbe naturale chiedere:

  • Perché i tre magistrati convocarono Ritonnaro alle ore 16.00 ben sapendo che alle ore 18.00 sarebbe iniziato un consiglio comunale decisivo per l’elezione del nuovo sindaco;
  • Avevano in animo di intervenire ad horas anche sullo stesso consiglio comunale, semmai con la convocazione urgente di qualche personaggio politico;
  • Volevano acquisire ulteriori precisazioni sul ruolo svolto da De Luca che in quel momento era assessore ai lavori pubblici e vice sindaco.

Potrebbero, ovviamente, rispondere soltanto loro tre magistrati a queste domande; è comunque un momento storico che andrebbe definitivamente chiarito, e pur dando atto che l’azione giudiziaria era ed è autonoma e indipendente dalla politica rimane in piedi la realtà di quel tempo, quando l’azione giudiziaria interveniva tempestivamente sull’azione politica con continui irruzioni nel palazzo di città alla ricerca di faldoni documentali ma anche con continue convocazioni in Procura di politici e dirigenti dello stesso comune.

Ma ritorniamo sul set allestito, nella stanza al terzo piano del palazzo di giustizia, soltanto dai pm Di Nicola, D’Alessio e Scarpa, nel gruppo mancava il pm Michelangelo Russo a conferma che l’iniziale gruppo (Di Nicola, D’Alessio e Russo) che Il Mattino, con un pezzo a sei colonne, aveva presentato il 10 luglio 1992 come “Tre Di Pietro anche a Salerno”, si era già frantumato per le evidenti difficoltà di rapporti tra i tre con la divisione anche delle inchieste. A Di Nicola e D’Alessio la Fondovalle Calore ed altre inchieste, nelle mani di Russo quella del Trincerone Ferroviario; ma tutto questo lo analizzeremo in un successivo capitolo.

Alle ore 16.00 del 22 maggio 1993 tutto è pronto in Procura e i tre PM danno inizio all’interrogatorio che si conclude alle ore 17.55 con un verbale composto da ben 26 pagine dattiloscritte.

Nell’ultima pagina, la ventiseiesima, arrivò la sorpresa che forse i tre non si spettavano; Vincenzo Ritonnaro rispondendo a domande sui alcuni lavori pubblici effettuati a Salerno e più precisamente su quelli degli alloggi di Sant’Eustachio dichiarò:

  • << In buona sostanza io avrei dovuto, tra progettazione e sponsoraggio, pagare circa 20 milioni di lire e ne ho pagato circa 60. Mi risulta che anteriormente all’aggiudicazione della gara il presidente della capo-fila Giovanni Donigaglia (denominato “gamba di legno”) venne in Salerno ove io stesso lo accompagnai presso la segreteria dell’allora Partito Comunista in Via Manzo. Rimasi sotto la sede ad attendere mentre lui saliva alla sede del partito. Non mi riferì il motivo per il quale si recò presso tale sede né io lo approfondii>>.

Perchè Donigaglia (l’uomo ovunque delle Cooperative Rosse, controllore materiale di tutti i grandi lavori pubblici salernitani -anche quelli del dopo terremoto nella Valle del Sele- super inquisito da diverse Procure in tutta Italia, compresa quella di Salerno) fosse andato in Via Manzo e chi fosse il segretario provinciale del PCI sono due aspetti che in quell’interrogatorio non vennero chiariti e né approfonditi; lo stesso interrogatorio, difatti, venne chiuso alle ore 17.55 con le ultime parole di Ritonnaro in merito alla visita di Donigaglia nella sede del PCI.

Un dato è certo, il nome di Vincenzo De Luca che all’epoca era il segretario provinciale del PCI non venne mai citato in nessun rigo del pur lungo interrogatorio; da qui, credo, la non necessità di forzare i tempi e piombare nel Comune con una irruzione che avrebbe cambiato la storia.

Cinque minuti dopo a poca distanza, nel palazzo Guerra sede della municipalità, si aprì alle 18.00 come previsto il Consiglio Comunale che consegnerà alla storia il nome nuovo per la città: Vincenzo De Luca.

La storia, ovviamente, non finisce qui e nei rimanenti giorni di quel tragico maggio del ’93 accadrà ancora di tutto e di più.

 

 

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