SALERNO – Ho seguito con molto interesse il dibattito, purtroppo brevissimo, sulla borghesia salernitana fantasma pubblicato da “Il Mattino” a firma della collega Piera Carlomagno. Il dibattito ha preso il via dalle dichiarazioni del filosofo Massimo Adinolfi che ha così spiegato: <<… una borghesia cittadina dedita più all’affare che all’intrapresa, dotata più della proverbiale italica furbizia che di genuino spirito imprenditoriale e di robusta etica pubblica …>>. Nel dibattito sono subito intervenuti Peppino Cacciatore (storico e filosofo, docente universitario), Dario Incutti (storico avvocato, primo presidente della camera penale), Mauro Maccauro (attuale presidente di Confindustria) e lo storico Aurelio Musi (docente universitario). I filosofi e gli storici, è bene chiarirlo, vanno sempre presi con le molle anche se nel caso di specie non si sono molto allontanati dalla realtà; il loro intervento, comunque, mi da la possibilità di ritornare sull’argomento, quello della borghesia o meglio della “casta proletaria”, che è alla base della “conquista di Salerno” da parte di alcune ben individuate cosiddette “grandi famiglie” attraverso “il cemento”, ovvero l’impresa del mattone che vive e prospera tuttora soltanto sulla magnanimità del protettore politico di turno e sulle prebende pubbliche. Beninteso, anche i filosofi possono essere inclusi in quella “casta proletaria” a buon diritto, e tra essi entra a piè pari anche l’avvocato Incutti che nelle sue esternazioni riesce sempre a filosofeggiare meglio degli stessi filosofi. Nella casta proletaria, ma non come filosofo, è inserito a pieno diritto Mauro Maccauro che, invece, dovrebbe rappresentare (ma non rappresenta !!) un modello inedito per le nuove generazioni, modello fatto di grinta giovanile e assolutamente lontano dall’asservimento politico. Ma prima di addentrarci nel discorso della borghesia e della casta proletaria mi piace di ricordare a Voi lettori cosa hanno detto, dopo l’esternazione del filosofo Massimo Adinolfi, gli altri tre intervenuti nel dibattito. Incominciamo da Peppino Cacciatore che ha detto: <<Una borghesia in senso classico a Salerno non c’è mai stata. Quella che oggi è scomparsa è la borghesia parassitaria che ha sempre vissuto di prebende>>. Il filosofo Cacciatore porta ad esempio alcune grandi industrie (Amato, Marzotto, Landis e Gyr) che hanno avuto i suoli gratis e poi sono scomparse, e conclude dicendo che: <<La borghesia inglese, tedesca e milanese qui non c’è mai stata, c’è stata quella dei palazzinari>>. Sarà stata colpa dello spazio ristretto concesso da Il Mattino ma il punto di vista di Peppino Cacciatore (che comunque rispetto !!) mi appare alquanto riduttivo di quello che è stato, anche a Salerno, il famoso miracolo economico del tempo in cui “Avevamo la luna” (di Michele Mezza), uno spazio di tempo molto risicato e compreso tra il 1962 e il 1964 che diede grandissimi risultati che ancora oggi, forse, producono benefici impensabili. Del resto come fare a mescolare in un solo calderone esperienze imprenditoriali totalmente diverse come quella nobilissima di Amato con gli avvoltoi della Marzotto e della Landis e Gyr. L’imprenditorialità degli Amato affonda le sue radici nell’800 a cavallo della seconda rivoluzione industriale per esplodere nel secondo dopoguerra grazie alla caparbietà del compianto cavaliere Antonio Amato che trainava o spingeva, ogni giorno, un carretto pieno di cruscami e di sciuscelle da Fratte al Porto e viceversa sotto lo sguardo comprensivo e complice del capitano Earl Monroe che comandava le forze alleate e buona parte della Città. Che poi la geniale imprenditorialità di “don Antonio” sia finita male è altra storia e su questo è ancora presto per stilare un giudizio definitivo. Ben diversa la storia degli avvoltoi della Marzotto e della Landis, venuti a Salerno per prendere senza lasciare, che avrebbe comunque bisogno di un serio e indipendente giudizio che tutti noi abbiamo sospeso per meglio lanciarci nella più strumentale e comoda accusa di sfruttamento in danno della popolazione lavorativa salernitana. Probabilmente non andò proprio così, o almeno non andò solo così; su questi due colossi dell’industria nazionale si lanciò a piedi uniti la politica locale puntando soltanto sulla massa invece che sulla qualità arrivando a riempire i due grossi contenitori lavorativi di tutta quella “sotto borghesia parassitaria” che viveva soltanto di prebende. Ma il discorso è lungo.
Cemento/26: Salerno e la borghesia tra casta proletaria e palazzinari … parlano i filosofi.

Su questo punto e sul ruolo dell’imprenditoria ho scritto nel 1985,condannando il modello assistenziale dell’organizzazione industriale sempre pronto a tendere le mani al politico che scuce.