SALERNO – “Tutti assolti perché il fatto non sussiste”, sette parole, questa la formula con cui i funzionari e gli impiegati della ex Banca di Credito Cooperativo del Cilento (attuale “Banca del Cilento, di Sassano e del Vallo di Diano e della Lucania”) sono stati assolti dal GUP Sergio Marotta, nel ruolo di giudice monocratico del tribunale di Vallo della Lucania, in sede di giudizio con il rito abbreviato, che viene invocato da chi si sente innocente e non tanto e non solo per ottenere un eventuale sconto di un terzo della pena, piuttosto per uscire in fretta dal tritacarne giudiziario. Quello del rito abbreviato è comunque una strada che spesso nasconde molti pericoli nel senso che anche il giudizio potrebbe essere condizionato dal fatto che il rito prevede lo sconto della pena; ma nella fattispecie, ben utilizzato dai difensori, ha ribadito l’assoluta innocenza degli indagati.
Questa la notizia diffusa con molta professionalità dall’addetto stampa della Banca, Antonio Sica, una notizia che tutti gli organi di informazione hanno ripreso ed eclatato senza, però, esprimere alcun giudizio sulla inquietante vicenda.
Se il lettore ha la pazienza di fare una breve ricerca nell’archivio di questo giornale troverà facilmente i miei articoli del 2014 con i quali, contrariamente a tutti gli altri e in perfetta solitudine, avanzavo pesanti dubbi sulla linearità e sulla professionalità con cui gli inquirenti (pm e investigatori) stavano, all’epoca, conducendo l’inchiesta che annunciava sfracelli giudiziari e che, per qualche mese, aveva addirittura irretito la Banca d’Italia e messo in discussione la fusione della Bcc Cilento con la Bcc Sassano, cosa poi avvenuta successivamente e fortunatamente. Per dirla tutta e usando toni bassi devo affermare che fin da quel momento l’inchiesta mi appariva assolutamente e, forse, soltanto mediatica. Mettere le mani su una banca è sempre un fatto che, da se, assicura consenso e popolarità; ma questa ovviamente non è giustizia.
E’ d’obbligo, quindi, dopo aver dato la notizia dell’assoluzione, esprimere alcune considerazioni iniziando dall’ottimo lavoro svolto dagli avvocati Guglielmo Scarlato e Franco Maldonato, difensori dei vari funzionari e impiegati travolti anche sul piano umano e familiare dall’inchiesta, che hanno (come dimostra la sentenza di assoluzione) seguito attentamente l’iter investigativo per individuare tutti i punti deboli nelle formulate accuse e consigliare ai propri assistiti la difficile pratica del “rito abbreviato”. Insomma questo caso, che può essere considerato un “caso scuola”, evidenzia come gli avvocati dovrebbero fare il loro mestiere, leggendo – studiando e concertando tutti i passaggi nell’ottica di una strategia difensiva che deve coinvolgere anche gli indagati con le loro certezze ed anche con i loro dubbi.
La prima domanda è “Possiamo accontentarci della formula –perché il fatto non sussiste- per avere giustizia ?”; assolutamente no, per una semplicissima considerazione di natura letterale rispetto alla formula. Molto diversa è la formula assolutoria che dice “per non aver commesso il fatto”; in questo caso il fatto esiste ma non lo ha commesso l’indagato o non ci sono prove che portino la giustizia in tal senso; invece con la formula “perché il fatto non sussiste” viene consacrata la circostanza che il fatto non è mai esistito, e questo lascia spazio ad altre considerazioni.
Difatti dovremmo tutti chiederci che se il fatto non sussiste su che cosa ha indagato il PM con i suoi investigatori ? Probabilmente ha indagato sul nulla partendo da una concezione aprioristica della colpevolezza, tout court, dell’indagato; e questa sicuramente non è giustizia. E’ vero che il PM rappresenta la pubblica accusa, ma è altrettanto vero che la pubblica accusa è tenuta anche a ricercare gli indizi a discarico e non soltanto quelli a carico. Ma per avere questo, mi permetto sommessamente di affermare, dopo oltre trent’anni di cronaca giudiziaria, che dovremmo cominciare a mettere in campo le scuole formative degli investigatori (PM e altri), scuole che in passato soltanto il mitico PCI seppe fare per partorire una grossa generazione di magistrati e di investigatori di sinistra; occorrerebbe aprire scuole al di sopra dei colori e delle parti per instillare quel “quid investigativo” che moltissimi non hanno avuto e non avranno mai. Un Paese civile come il nostro non può rimanere indietro anni luce, in fatto di giustizia, rispetto ai Paesi del nord Europa e del nord America; ma qui siamo abituati a scimmiottare i noti telefilm senza averne le qualità e le specificità professionali.
Spiego meglio il mio pensiero; se per il caso della Bcc Cilento non c’è stato bisogno del processo ordinario con tanto di pubblico dibattimento, e tutto è stato possibile definire con il rito abbreviato dinanzi al GUP, questo è il segno che tutti quelli che hanno costruito il castello delle accuse non hanno saputo o non hanno voluto fare il famoso passo indietro che li avrebbe classificati come persone, prima ancora che investigatori, capaci di ragionare, capire e decidere.
Pensare o credere che in pochi mesi le pesanti accuse di usura possano essersi trasformate in un “il fatto non sussiste” è a dir poco allucinante e mi porta a pensare che siamo di fronte ad un sistema giustizia che non funziona in quanto ha costretto per tre anni a soffrire, a stare zitti, a sentirsi guardati a vista, a dover spiegare cose inspiegabili alle rispettive famiglie ed agli amici per finire all’esclamazione che sento molto più spesso pronunciare da tantissimi giustiziati “Finalmente giustizia è stata fatta”.
Una frase pronunciata anche dal direttore generale della Banca del Cilento, Ciro Solimeno, che nella sua veste ufficiale non poteva non rimanere nelle linee della perfetta istituzionalità anche al fine di non accrescere la distanza che, comunque, esiste tra il potere economico e quello giudiziario, un potere quest’ultimo che spesso non viene amministrato con saggezza e lascia spazio all’irruenza e al preconcetto. Ma lo stesso d.g., con garbo ed educazione, non ha potuto evitare di mettere in risalto che “Si è potuto finalmente dimostrare che non c’è mai stato alcun superamento della soglia usura e che questa vicenda non sarebbe mai dovuta arrivare in Tribunale”. Parole molto significative che stanno ad indicare la faccia peggiore di una giustizia che non riesce ad essere giusta e neppure a fare giustizia; cose queste che con il potere economico cozzano in maniera irrimediabile.
Ma commentando la dichiarazione del presidente Pasquale Lucibello quando afferma che “se i limiti soglia fossero stati valicati avrebbero incontrato nel sistema operativo immediata indicizzazione e automatica correzione” verrebbe voglia di chiedere ai singoli investigatori su che cosa hanno investigato o meglio su che cosa non hanno investigato. Capisco che non esiste un sistema di responsabilizzazione dell’autonomia degli investigatori in grado di non far gridare allo scandalo, ma dovrebbe essere quantomeno avviata la procedura secondo la quale a tutti gli “assolti perché il fatto non sussiste” chi ha condotto le indagini preliminari dovrebbe spiegare come e perché ha operato solo nella direzione della preconcetta colpevolezza. Probabilmente solo così i funzionari e gli impiegati della Bcc Cilento (i cui nomi furono sbattuti in prima pagina) potrebbero sentirsi in piccola parte ripagati delle mortificazioni morali e umane subite in questi anni.
direttore: Aldo Bianchini