Dr. PIETRO CUSATI
Roma 8 aprile 2020. È un periodo terribile, di grande sofferenza per molti ma è anche una straordinaria occasione di ripensamento. Il futuro sarà diverso da come l’avevamo previsto, proprio per questo dobbiamo avere il coraggio di rifondarlo su categorie nuove. Davanti alla potenza del coronavirus siamo tutti uguali,senza confini. Dobbiamo uscire da un sistema in cui il profitto, che è necessario, come indice sicuro di gestione razionale di un’impresa, sia concepito solo in termini di contabilità. Dovremo considerare le condizioni minime indispensabili per l’equilibrio eco-sistemico della società. Produrre a misura d’uomo. Non pensare solo alla massimizzazione cieca e furiosa del profitto, che può rompere l’equilibrio della comunità e di cui oggi paghiamo un prezzo duro, serve un nuovo concetto di sviluppo, ritmato sulle esigenze dell’uomo, che non sono illimitate e assolute. Come diceva il mio maestro Adriano Olivetti, bisogna industrializzare senza disumanizzare. La vera globalizzazione la sta realizzando il virus: colpisce tutti in tutto il mondo, nessuno è escluso. Questa è una esperienza davvero globale, una sfida tremenda . La tecnologia ci mette a disposizione risorse formidabili , però non dobbiamo illuderci che il futuro stia nella tecnologia. È quanto osserva con cognizione di causa a proposito dell’emergenza coronavirus, il padre della sociologia italiana, il Prof. Franco Ferrarotti,originario di Palazzolo Vercellese,il più noto dei sociologi italiani all’estero,infanzia contadina, intellettuale poliedrico e primo titolare di una cattedra universitaria di Sociologia in Italia, direttore della rivista La Critica sociologica. Il decano dei sociologi italiani ieri ha compiuto 94 anni. Qualsiasi ordine sociale è sempre molto fragile, noi diamo per scontata l’esistenza e la resistenza di una società, ma basta un invisibile virus per azzoppare la società e determinare una contrazione del sociale fino alla sua estinzione, anche se per fortuna solo temporanea ,finita l’emergenza ci farà apprezzare ancor di più l’ordine sociale e darà «nuova vitalità, perché sentiremo il bisogno di rispondere alla morte con la vita, è nella nostra natura» fino al punto di «darci la voglia di fare più figli: usciremo dalla denatalità.’’Il Prof. Franco Ferrarotti ,autore di numerosi libri, ha collaborato con le maggiori riviste scientifiche statunitensi, oltre che europee.I suoi libri sono tradotti in francese, inglese, spagnolo, in russo e in giapponese.Si è interessato dei problemi del mondo del lavoro e della società industriale e postindustriale, dei temi del potere e della sua gestione, della tematica dei giovani, della marginalità urbana e sociale, delle credenze religiose, delle migrazioni. Una particolare attenzione è stata dedicata nelle sue ricerche alla città di Roma. Ha sempre privilegiato un approccio interdisciplinare e insistito sull’importanza di uno stretto nesso tra impostazione teorica e ricerca sul campo.Nel 1961 il Prof. Ferrarotti ottenne la prima cattedra di sociologia in Italia, all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dopo aver vinto il primo concorso bandito in Italia per questa disciplina, venendo per questo considerato oggi il decano della sociologia italiana. Nel 1962 contribuì alla creazione della facoltà di sociologia dell’Università di Trento, dove ha tenuto la sua seconda cattedra di professore di sociologia. Ha ricevuto moltissimi premi nella sua carriera, tra cui quello, insigne, dell’Accademia dei Lincei, nel 2001e d ha insegnato in Europa e in America. E’ stato per dodici il consigliere di Adriano Olivetti di Ivrea, ‘’il laboratorio del futuro,’’,patrimonio dell’umanità, imprenditore illuminato ,editore,politico e urbanista,ha abbattuto i muri del complesso di Ivrea per aprire lo sguardo dei dipendenti sul paesaggio piemontese attraverso le innovative vetrate. Ha implementato una rete di servizi sociali a beneficio dell’intera comunità dei lavoratori della Olivetti. Un precursore della sostenibilità e di quello che oggi viene definito welfare aziendale.
L’imprenditore di Ivrea è noto al grande pubblico per i celebri modelli che hanno fatto della Olivetti un mito senza tempo, come l’iconica macchina da scrivere portatile Lettera 22 che dalle mani del grande Indro Montanelli è passata direttamente in esposizione al Moma di New York, il più importante tra i musei al mondo di arte contemporanea. Il grande sociologo Ferrarotti è stato anche diplomatico e deputato indipendente,’’cane sciolto’’ al Parlamento italiano,’’nelle fumose stanze’’, dal 1958 al 1963, il più giovane tra i deputati e il suo voto da indipendente fu dirimente per il primo governo di centro sinistra. Ferrarotti è stato il primo firmatario di una mozione per la “Costituzione Europea”, firmata poi anche da Ugo La Malfa, Riccardo Lombardi e altri. Alla veneranda età il Prof. Ferrarotti fa una lucida analisi molto attuale ,memore del suo Maestro Adriano Olivetti.
‘’Abbiamo fatto troppo affidamento sulle macchine, fino a diventare dipendenti da esse. Ma le macchine non hanno volontà, non esprimono un progetto, non possono fare altro che replicare sé stesse all’infinito. Sono mezzi, strumenti. Non possono diventare uno scopo.Non possiamo ignorare la realtà con la quale la pandemia ci obbliga a fare i conti. Abbiamo tanto parlato di globalizzazione e adesso non vogliamo ammettere che la vera globalizzazione la sta attuando il coronavirus. Distruggendo le nostre false certezze. Ed è qui che entra in gioco la tecnologia o, meglio, il delirio di onnipotenza tecnica che ci portava a immaginare un mondo affidato ai robot, all’intelligenza artificiale, al meccanismo fantomatico della crescita economica sganciata dalla creazione di posti di lavoro. Era come se il “diritto all’ozio”, teorizzato da Paul Lafargue alla fine dell’Ottocento, fosse lì lì per trionfare. Riconsiderati adesso, nella prospettiva della pandemia, questi ragionamenti ci sembrano di una ingenuità incredibile. Solo ora comprendiamo i limiti della tecnica e, insieme, i nostri stessi limiti.Mai come in questo momento ciascuno di noi si sente fragile, addirittura in pericolo. Il futuro che siamo chiamati a ricostruire non potrà essere se non “a misura d’uomo”, per adoperare un’espressione cara ad Adriano Olivetti. La sua lezione, ora come ora, mi sembra più che mai attuale.Al fatto che per Olivetti, imprenditore di genio, il profitto non fosse da concepire solo in termini contabili, ma all’interno di una visione più ampia, che nel suo caso coincideva col famoso “ordine politico delle comunità”. Ma in questa fase, purtroppo, è proprio il senso della comunità che manca. Il senso del limite di cui facciamo esperienza in questi giorni può aiutarci a riscoprire l’importanza della vita interiore, del silenzio, di quella beata solitudo che, come sappiamo, è sola beatitudo. Intesa correttamente, la solitudine non induce a chiudersi in sé stessi ma, al contrario, è la premessa necessaria all’incontro con l’altro. Le parole pronunciate da Papa Francesco durante la memorabile preghiera in piazza San Pietro mi fanno sperare che sì, il risveglio di un comune sentimento di umanità è ancora possibile. Occorre ristabilire la rete delle relazioni personali, occorre ritornare a una socialità autentica. Il digitale, in questo momento, fa quello che riesce, ma da solo non basta. La tecnica è uno strumento. Non può mai essere un fine.