Aldo Bianchini
SALERNO – Correva l’anno 2001, mercoledì 19 dicembre, quando con il calare delle prime ombre della sera cala anche definitivamente il sipario sulla vita di Cosimo D’Andrea che definire un uomo qualunque è sicuramente molto riduttivo.
Innanzitutto perché la morte avviene all’interno del padiglione Palermo (riservato ai detenuti – sezione staccata del carcere di Secondigliano)) dell’ospedale Cardarelli di Napoli e poi perché la morte di quell’uomo chiude davvero, e per sempre, uno spaccato della vita politica – giudiziaria e malavitosa sviluppatasi in tutta la provincia di Salerno, con particolare riguardo alla Piana del Sele-Battipaglia, con molte diramazioni anche verso Roma-Capitale (centro del potere politico) e Milano-da bere (centro della potenza economica e industriale del Paese); e con conoscenze dirette di altissimo rango: Cancellieri, Ligresti, Armellini e Berlusconi, solo per citarne alcuni.
D’Andrea morì diciannove anni fa alla giovane età di 55 anni; era stato arrestato il 12 giugno 2001 e rinchiuso nel carcere di Opera a Milano dopo una lunga battaglia legale culminata con uno strano e, per certi versi, contraddittorio provvedimento dell’Autorità Giudiziaria che disponeva la “detenzione in carcere” del famoso collaboratore di giustizia che invece di essere tutelato venne mandato al massacro: volutamente o casualmente ?
Questa è la domanda che ancora oggi accompagna quei pochi che hanno voglia, come me, di saperne di più e di avvicinarsi quanto più possibile alla verità. Insomma, come dire che l’Autorità Giudiziaria invece di tenerlo ben conservato e tutelato in una sorta di bomboniera per fargli raccontare tutto quello che probabilmente sapeva, venne mandato letteralmente al massacro.
Perché non sapeva niente ? Perché sapeva troppo ? Perche sapeva, forse, cose inconfessabili e dannosissime per politici, amministratori e stessi investigatori ? Probabilmente non lo sapremo mai, in primo luogo perché Cosimo D’Andrea non c’è più ed in secondo luogo perché, oggi come oggi, nessuno ha più voglia di indagare e di avere delle risposte alle tantissime inchieste insolute. Per il ricordo, abbastanza sfumato, che ho di quella persona sarei più incline a pensare che Cosimo D’Andrea si sarebbe comportato da uomo, perché era un uomo vero, di quelli che sanno mantenere i segreti (ammesso che ne avesse) fino alla morte; proprio come ha fatto lui dicendo e non dicendo, raccontando e negando, insomma lanciando messaggi trasversali nell’attesa di tempi migliori.
Soltanto una persona, la figlia Raffaella, a più riprese ha dimostrato di voler sapere tutto e di più sulla storia umana di suo padre, non fosse altro che per l’impegno profuso dalla stessa nella lunga battaglia legale per il suo riconoscimento come “figlia legittima di D’Andrea”, un riconoscimento consacrato purtroppo anni dopo la morte del padre che, per questi motivi, Lei non ha mai avuto la possibilità di conoscere in vita. Qualcuno sussurra che presto Raffaella darà alle stampe un libro-verità su suo padre Cosimo D’Andrea.
Oltre alla figlia c’è anche il fratello Damiano che cerca con tutte le sue forze di ricostruire i fatti per di ridare all’immagine del defunto congiunto la luminosità che verosimilmente gli spetta.
Per quanto mi riguarda, Cosimo D’Andrea era, senza alcuna ombra di dubbio, divenuto il capro-espiatorio di tanti personaggi e di tantissime responsabilità della politica, della magistratura e della malavita organizzata.
Come, solo per fare un esempio, quell’affare da svariati miliardi di vecchie lire risalente agli anni ‘80 ben nascosto dietro l’aggressione del cemento per gli insediamenti abitativi sulla costa cilentana da Agropoli, Acciaroli (!!!), Ascea fino a Palinuro. Un affare miliardario sul quale indagarono a turno Michelangelo Russo, Mariano De Luca e Antonio Esposito (si proprio quello che ha condannato Berlusconi in Cassazione). In quell’inchiesta si parlò di Ninuccio Marrandino (il boss della Piana del Sele) e dei suoi rapporti con Raffaele Cutolo; vennero descritte le visite che Cutolo (mentre era nascosto ad Albanella) effettuava insieme a Marrandino sui posti dove effettuare le speculazioni edilizie lungo i 230 chilometri di costa; venne spiegato ogni dettaglio su come il malaffare riusciva a superare la legge regionale D’Angelo-Porcelli (che impediva di costruire entro 500 metri dal mare) e furono addirittura elencate tutte le società o i soggetti privati (imprese e imprenditori) che nacquero, crebbero e proliferarono all’ombra del duo Cutolo-Marrandino.
Ebbene alla fine di quelle clamorose inchieste appariva sempre e solo il nome di Cosimo D’Andrea come l’unico vero e mefistofelico autore di tutto su tutti; una cosa questa che poi si è trascinata per anni, dal 1987 fino al 2001. D’Andrea regnò (se è lecito utilizzare questo termine !!) per alcuni decenni sull’intera Piana del Sele dall’alto della sua immensa capacità aggregativa ed anche professionale, con tanto di laurea per poter fare il commercialista; regnò fino al 1987 indisturbatamente, appunto, momento in cui iniziarono anche per Lui le rogne giudiziarie che non seppe regimentare e frenare come, forse, avrebbe voluto e creduto di poter fare.
Di certo i suoi molteplici interessi spaziavano dalla Piana del Sele alla capitale, così come dall’hinterland napoletano alla ricca e rigogliosa bassa bergamasca, senza trascurare la sua amata “Orvieto”.
La sua eredità giudiziaria più grossa è, ancora oggi, costituita dalla clamorosa deposizione che fece nelle mani dell’allora pm antimafia Antonio Centore presso il carcere di Milano-Opera; era il 19 luglio 2001 e la deposizione iniziò alle ore 11.35 per concludersi nella tarda serata con impegno a rivedersi (cosa mai più accaduta). Più di duecento pagine per spiegare, tra le altre cose, tutto ciò che era avvenuto a Salerno intorno e dentro l’ipotetica realizzazione del mitico Sea-Park.
A pagina n. 117 di quel verbale giudiziario c’era e c’è la rivelazione più clamorosa fatta da D’Andrea; ma è proprio su quella rivelazione, purtroppo, che tutto si è stranamente inceppato; e Cosimo D’Andrea forse non lo sapeva che proprio da quella rivelazione doveva incominciare un calvario durissimo che lo portò finanche a desiderare la morte che arrivò in quella brulla giornata del 19 dicembre 2001.
Sono passati diciannove anni e un mese da quella data e alcuni processi che potevano fare leva su quella dichiarazione sono ormai estinti per assoluzione o per prescrizione; per buona pace di tutti.