di Angela D’Alto
(giornalista – vice sindaco di Monte San Giacomo, il paese più socialista d’Italia)
D: Il periodo che va dal ’48 al ’63 fu, in Italia ma anche nel Vallo, il periodo della grande DC. In questi anni si afferma il sistema di potere democristiano…
R:Dobbiamo collocare i contorni di questo periodo nel crollo del fascismo, che rappresentò la fine di un certo tipo di organizzazione sociale. Quando ciò è accaduto, dopo il ’46, si è aperta una vera e propria autostrada, di possibilità ma anche di speranze. Speranze di risorgere socialmente ed economicamente. Il mondo contadino di allora era un mondo di miseria e stenti, i giovani erano senza prospettiva, la comunicazione era pressoché inesistente. Con la caduta del fascismo, tutta la classe dirigente del ventennio ebbe modo di ricollocarsi, riconquistando un ruolo. Nel Vallo, infatti, almeno inizialmente ci fu, più che l’immediata affermazione della DC, una crescita esponenziale delle forze conservatrici monarchiche. Non dimentichiamo,ad esempio, che qui nel ’53 vinse la monarchia, col grande giurista di Sala Consilina, il senatore Alfredo De Marsico. La DC, che aveva ereditato molta della vecchia classe dirigente fascista, sicuramente quella che non aveva avuto responsabilità dirette, dopo gli ultimi sussulti dei monarchici nel ’53, iniziò a radicarsi e ad affermare il proprio predominio. E il Vallo di Diano fu una delle prime isole di libertà, perché il popolo, allora, si sentiva libero con la DC che, attraverso la gestione delle risorse pubbliche, l’assistenza,le casse mutue, l’istituzione di scuole e asili riuscì, in parte, ad elevare la qualità della vita. Era proprio attraverso questi strumenti- interventi nel campo dei lavori pubblici, dell’assistenza, dei patronati- che la DC costruì il proprio sistema di potere. Per tutti gli amministratori locali dell’epoca, essere democristiani fu perciò quasi una scelta obbligata: a livello centrale la DC gestiva interamente fondi e risorse di ogni genere che solo attraverso la DC stessa era possibile far arrivare in periferia.
La ramificazione della DC nella società di allora era fittissima, e avveniva anche e soprattutto attraverso istituzioni come la chiesa o organizzazioni collaterali al partito.
In realtà, però, la DC, pur avendo sicuramente contribuito alla ripresa economica della società del dopoguerra, non era riuscita a modificare nel profondo le strutture sociali, che ancora contenevano in sé le incrostazioni ereditate dal fascismo. Il Vallo, negli anni 50 e nei primi anni ’60 era ben lontano dalle trasformazioni sociali che,invece, a livello nazionale cominciavano a delinearsi.
D: I partiti di sinistra, allora, erano una realtà debolissima in tutta la provincia…
R: A Salerno i partiti di sinistra, insieme, non arrivavano a superare il 20%.
Nel Vallo, poi, non avevano presenza sindacale perché non c’era il mondo operaio, e non avevano presenza partitica perché durante il fascismo era difficile organizzarsi. La DC, insomma, non aveva ostacoli alla sua crescita.
Lo stesso Quaranta, che iniziò la sua carriera politica nella sinistra moderata, nella socialdemocrazia, a San Pietro era inizialmente avversato e ritenuto quasi un anticristo. La sua elezione a sindaco, nel ’56, parve un episodio isolato, che sembrava destinato a non andare oltre i confini di San Pietro al Tanagro. Poi, un po’ grazie alla sua abilità e al paziente lavoro di quegli anni, un po’ grazie al sostegno del Psdi, che era un partito di governo, e come tale aveva la possibilità di aiutarlo a dare risposte concrete ai bisogni della gente, il suo consenso crebbe, e San Pietro diventò un punto di riferimento per tutti, una piccola isola socialista nel mare democristiano.
Intanto, in altri piccoli comuni del Vallo, nascevano minoranze di sinistra, in contrapposizione alle amministrazioni democristiane che, dopo la prima fase di ritrovata libertà e affrancamento dal fascismo, erano pian piano degenerate, chiudendosi nella gestione del potere, creando caste di notabili privilegiati.
Dopo San Pietro, i socialisti del Vallo conquistarono le amministrazioni di San Rufo e Monte San Giacomo.
Io, in quegli anni, ero un povero cristo.
Nel ’55 partii per l’America, poi tornai qui, mi diplomai. Ricordo di aver votato per la prima volta nel ’58 per Cacciatore, socialista, numero uno della lista del PSI. Lo votai perché mi colpì molto un suo comizio a Teggiano. I democristiani gli avevano negato persino il balcone per il comizio, che poi tenne dal poggio in fondo alla piazza principale del paese.Lui, rivolgendosi alla folla e, in particolare agli anziani, disse..”si, è vero. La DC vi ha dato la pensione ( nel ’55 il governo democristiano garantì la pensione ai coltivatori diretti, nda) . Ma questa pensione è un po’ il passaporto per il cimitero…”.
Con lui combatteva, nel Vallo, un altro socialista storico dell’epoca, Iannicelli di Sala Consilina.
Io ero ancora fuori dalla politica, ma avevo già dentro questo senso di avversione per chi governava. Ero anch’io un figlio della società contadina, e avvertivo innanzitutto sulla mia pelle quel senso di oppressione, di emarginazione,quella discriminazione che subivamo dalle famiglie “bene”, dai notabili.
D:Fu in quegli anni che conobbe Quaranta?
Enrico era un giovane pieno di passione ed entusiasmo. Aveva studiato a Napoli, all’Università, e questo gli aveva consentito di vivere esperienze nuove, di confrontarsi con una realtà differente da quella del Vallo. Era tornato pieno di speranze, e con una gran voglia di lottare non tanto per conquistare il potere, quanto per provare davvero a cambiare qualcosa.
Lo conobbi nel 1963 , nell’anno in cui fu eletto alla camera col Psdi. Da lì partì tutta la rivoluzione.
D:Nel ’63, infatti, Luigi Angrisani fu eletto con la socialdemocrazia sia al senato che alla camera. Lucio Mariano Brandi ed Enrico Quaranta furono rispettivamente secondo e terzo. Angrisani optò per il senato, consentendo così l’elezione, oltre che di Brandi, dello stesso Quaranta…
R: Inizialmente, la candidatura di Quaranta nel ’63 era passata del tutto inosservata. Nessuno pensava che il Psdi potesse registrare un risultato di tali dimensioni, arrivando addirittura a eleggere due deputati e un senatore nei collegi del Cilento-Vallo di Diano che, tradizionalmente, erano una roccaforte della DC. Angrisani, fu un po’ il padre di questa rivoluzione, perché era il leader storico della socialdemocrazia salernitana e perché fu la sua doppia elezione, sia alla camera che al senato, a fare da apripista a quella di Brandi e soprattutto di Quaranta.
Enrico riuscì, in quell’occasione, a superare gente come Russo, Correale. E ci riuscì perché seppe creare una rete di rapporti personali e, soprattutto, perché fu capace di mobilitare il suo paese su questa grande scommessa, che avrebbe potuto costituire un’occasione unica non solo per sé ma per tutta la comunità.
D:L’elezione di Quaranta fu una rivoluzione per il Vallo di Diano. Di lì ebbe inizio il corso socialista,che incise profondamente sulla società politica e civile dell’epoca, modificandone significativamente i contorni, stravolgendo i precedenti rapporti di forza tra i partiti della vecchia repubblica, aprendo nuovi spazi di partecipazione, svecchiando definitivamente la classe dirigente locale…
R:Neppure dopo la elezione del ’63 fu immediatamente chiara la portata di quella che si apprestava ad essere la riscossa delle forze socialiste nella valle. Si continuava a pensare, almeno inizialmente, che l’elezione di Quaranta fosse stata una fortunata parentesi, destinata a non modificare più di tanto il quadro politico-amministrativo e, soprattutto sociale, dell’epoca. Uomini più prestigiosi di lui, democristiani legati al governo centrale e con percorsi amministrativi di tutto rispetto alle spalle considerarono la sua elezione poco più che un accidente.
Quaranta, però, iniziò da subito un lavoro capillare sul territorio, andando personalmente in tutti i paesi, invogliando i cittadini alla partecipazione attiva alla vita politica, aggregando un po’ alla volta, intorno a sé a all’idea socialista, settori significativi della società.
Alle amministrative del ’64, riuscì a presentare liste socialdemocratiche in quasi tutti i comuni del Vallo.
D: Che ricordo ha, invece, di Brandi e Angrisani?
R: Brandi nel 1963 era assessore provinciale al personale. Era di Sapri, ed era riuscito a costruire una rete di rapporti nel territorio provinciale che gli garantivano un certo consenso, anche piuttosto consistente. Era un uomo della struttura del partito. Aveva un certo potere a Roma, sicuramente maggiore della sua rappresentatività reale.
Angrisani aveva l’alone dell’uomo di governo, e veniva da una terra,da una realtà che a noi del Vallo destava un certo timore. Era un uomo particolare, dal carattere forte e spigoloso, ma tutto sommato era anche lui una persona generosa.
Nessuno dei due, però, aveva le caratteristiche di Enrico Quaranta, che era dotato soprattutto di una grande capacità comunicativa, che riusciva a toccare il cuore della gente.
Anche per Quaranta, comunque, all’inizio non fu per nulla facile. Incominciarono subito ad attaccarlo, mettendo in evidenza la sua scarsa capacità oratoria, dipingendolo come un politico improvvisato e mediocre. Lui, però, sopperì a questa mancanza di eloquenza e di formazione politica attraverso uno straordinario impegno , un lavoro costante e puntiglioso, ma soprattutto attraverso l’incredibile carica umana di cui era dotato e che lo rendeva così diverso dai vecchi politici paludati che lo avevano preceduto e a cui la gente si era abituata, si era rassegnata.
Riuscì a mettere in piedi praticamente dal nulla una classe dirigente nuova, ad avvicinare al partito professionisti e a conquistare, un po’ alla volta, amministratori nelle varie realtà locali, sino a conquistare la guida di diversi comuni del Vallo.
Le vicende di Polla, di Sassano o di altri comuni, in quegli anni, dimostrano perfettamente come Quaranta riuscì a far crescere il partito e a ribaltare i rapporti di forza con la DC anche attraverso una sistematica erosione di pezzi di classe dirigente di altre formazioni politiche, dei democristiani soprattutto ma anche delle forze conservatrici e dei comunisti. A Montesano, ad esempio, il PCI era arrivato ad eleggere sette consiglieri comunali, sfiorando addirittura l’elezione del sindaco. Poi, però, quasi tutti si allontanarono dal Partito Comunista confluendo nell’area socialista, perché si erano resi conto che, in quel contesto, il PCI non offriva alcun tipo di prospettiva di crescita politica mentre, al contrario,l’area socialista iniziava ad assumere i contorni di una forza realmente antagonista alla DC, in grado di sfidarla su tutti i terreni.
D:La crescita dell’area socialista e la sua affermazione come forza antagonista della DC vide nell’elezione di Quaranta del ’63 il suo momento più significativo…
R: Si. Da quel momento si creò, per la prima volta, una dialettica, si delineò un’alternativa concreta al monopolio democristiano. “Stiamo bonificando la palude del Vallo di Diano”. Era così che i socialisti, in quegli anni, commentavano i primi risultati positivi della loro azione politica.
Si andava modificando un po’ alla volta anche il sistema dei rapporti sociali. Soggetti diversi, nuove forze erano chiamati ad assumersi responsabilità dalle quali sino ad allora erano stati esclusi. Venivano messe in discussione certezze…
D: Le amministrative del ’64 rafforzarono il dato politico dell’anno precedente, con l’elezione di ben cinque consiglieri provinciali socialdemocratici…
R:…di cui addirittura due, Settimio Rienzo di Padula e Angelo Ippolito di Sant’Arsenio, nel collegio di Quaranta. Il Psdi era in forte crescita, e la classe dirigente formatasi in questo periodo nella socialdemocrazia intorno alla figura di Quaranta sarà la stessa del PSI degli anni 60-70.
D: Come avveniva, in quegli anni, la selezione della classe dirigente?
R: Era Quaranta stesso, naturalmente, che lavorava alla costituzione dei gruppi dirigenti locali, innanzitutto attraverso i rapporti personali, poi grazie alla possibilità, derivatagli dal suo ruolo istituzionale, di supportare le amministrazioni locali nella gestione delle risorse, specialmente nel campo dei lavori pubblici. Non va dimenticato, infatti, che tra ’63 il ’70 abbiamo, in Italia, i primi governi di centro-sinistra, con la partecipazione dei socialisti. E Quaranta si appoggiava molto ad alcuni ministeri a guida socialista, e in particolare proprio al ministero dei lavori pubblici di Mancini, che in quel periodo inondò di finanziamenti il Vallo di Diano, consentendo la realizzazione di importanti opere pubbliche e infrastrutture quali strade, scuole etc.
Questo fu uno strumento fondamentale, per Quaranta, sia per la crescita del suo consenso che nel processo di formazione della nuova classe dirigente locale.
Del resto,la sua elezione era stata assolutamente inaspettata e, nella percezione di molti, destinata a rimanere un episodio isolato. Proprio per questo, Quaranta aveva bisogno di rafforzare la propria posizione, di creare attorno a sé una rete di persone, di riferimenti nelle singole realtà.
D: In quel periodo, i socialisti si caratterizzarono anche per la vocazione alla rappresentanza delle aree interne, e per l’identificazione tra partito e territorio.
R: In quel periodo, non essendo state ancora istituite le regioni, era il governo centrale a destinare fondi e risorse alle realtà locali. Naturalmente, il ruolo di Quaranta, in quanto deputato del Vallo di Diano, fu decisivo in questo senso, e garantì al nostro territorio una opportunità di crescita e di sviluppo notevole. La sua attenzione verso quest’area della provincia fu totale e, per certi versi, persino esasperata. Intuì con anticipo l’emergenza territoriale del Vallo di Diano, rendendolo assolutamente competitivo con altri territori, stando attento sempre a mantenerlo pienamente nel processo di sviluppo complessivo, e rappresentandolo con forza nei processi decisionali.
D:Alle elezioni politiche del ’68 i socialisti unificati del PSU bissarono il successo del ’63, eleggendo nel salernitano Brandi, Quaranta e Angrisani alla camera e Vignola e Iannuzzi al senato. La scelta di candidare nel collegio Cilento-Vallo di Diano Lino Iannuzzi fu per certi versi dirompente…
R:Ricordo bene quella campagna elettorale per averla vissuta in prima persona, facendo anche dei comizi a Teggiano. L’avversione delle forze conservatrici, e della chiesa in particolare,fu evidente e fortissima. Il Vescovo della nostra diocesi, monsignor Forzoni, uomo di grande cultura e per certi versi oserei dire ascetico, non mancò di attaccarci duramente, definendoci demoni. In occasione di un mio comizio con Iannuzzi in piazza, sotto l’obelisco di San Cono, si augurò pubblicamente che l’obelisco fosse caduto sulla nostra testa, impedendoci di parlare. Il clima, insomma, era infuocato, e noi eravamo visti come dei pericolosi sovversivi. Del resto, Iannuzzi era venuto qui come elemento di rottura, a dare la carica ai pavidi. Si era autodefinito il nuovo Pisacane, che avrebbe dovuto scuotere le coscienze dei tanti oppressi, abbandonati,calpestati, tormentati,dai potenti democristiani e dai loro mazzieri che intimidivano la popolazione. E lui, novello Pisacane, avrebbe liberato il popolo oppresso dal giogo democristiano. Fu una campagna elettorale di grande suggestione, ricca di tensione civile e passione politica. Quaranta sostenne Iannuzzi con lealtà, sentendosi assolutamente vincolato alle scelte del partito,e contribuendo così alla sua elezione.
Purtroppo, l’elezione di Iannuzzi non produsse i risultati sperati, ma non tanto e non solo per la sua poca presenza sul territorio, quanto per la difficoltà che Iannuzzi stesso incontrò nel radicarsi in un tessuto politico ancora fortemente legato alle forze moderate, alla DC e ai suoi uomini di governo. Iannuzzi, da uomo intelligente, capì immediatamente che per lui non c’era spazio. Avrebbe potuto tentare di fare come il PCI, organizzando sul territorio la protesta , ma era la struttura sociale stessa a renderlo impossibile, perché era assente la classe operaia, perché non c’erano fabbriche, perché i disoccupati, più che essere inclini alla protesta e alla lotta, tentavano di essere assistiti dagli amministratori democristiani.
D: La stagione dell’unificazione socialista, voluta da Nenni e Saragat, durò solo tre anni e si concluse nel ’69, con una nuova scissione. Quaranta , insieme a Brandi e alla quasi totalità dei socialisti del Vallo, confluì nel PSI….
R:La scissione fu vista, perlomeno inizialmente, come una maledizione da tutti noi. Temevamo di perdere tutto ciò che era stato costruito in quegli anni, e di dover partire daccapo. Noi, che eravamo legati in quella fase più all’uomo che al partito, seguimmo Quaranta senza esitazioni. La sua leadership era l’unica garanzia di unità per tutti noi.
Quaranta scelse il PSI perché, insieme a Brandi, nel frattempo si era legato a Mancini, che in quella fase si identificava nella corrente di Autonomia, che era quella più vicina ai socialdemocratici, e dunque anche al sentire di Enrico, che era nato socialdemocratico.
Le difficoltà, dopo la scissione, ci furono anche nel Vallo. Angrisani, che era rimasto nel Psdi, tentò di mantenere in ogni paese dei suoi riferimenti, e nel contempo non risparmiò ai due ex compagni di partito, ma a Quaranta in particolare, accuse di ogni genere per tentare di screditarne l’azione politica. Da quel momento in ogni occasione pubblica, in ogni comizio, in tutte le piazze, gli attacchi di Angrisani nei confronti di Quaranta furono di una ferocia inaudita. Angrisani si era sentito tradito da Quaranta, che era diventato deputato, nel ’63, grazie a lui, alla sua scelta di optare per il senato anziché per la camera, consentendogli così di subentrare, dopo Brandi, come terzo eletto.
Ma Quaranta ne uscì bene, persino rafforzato, perché nel frattempo il consenso intorno a lui era cresciuto, e tutti i compagni gli furono solidali.
D: La scissione del ’69 non cancellò, insomma, nel Vallo, i risultati ottenuti dai socialisti negli anni precedenti…
R: Assolutamente no. La forza dei socialisti restò invariata, e la posizione di Quaranta fu addirittura rafforzata, in quella fase. Fu un’esperienza anomala, quella del socialismo del Vallo negli anni successivi alla scissione del ’69. Anomala rispetto al resto del Paese, dove invece il PSI conobbe dei momenti di grave crisi toccando il proprio minimo storico, in termini di consenso elettorale, nella prima metà degli anni ’70. Ma è del tutto evidente che anche questa anomalia dipese dal ruolo giocato da Quaranta, dalla sua capacità di aggregare e creare consenso. Del resto, anche la nostra adesione al PSI non fu tanto il frutto di un abbraccio ideologico, quanto la dimostrazione inequivocabile della fiducia, del legame che ci univa a Enrico e che ci portava ad essere al suo fianco in ogni sua scelta, in ogni battaglia.
Quaranta è stato un vero riformista, legato non all’ideologia ma a un concreto pragmatismo, al fare giorno per giorno, preoccupandosi dei problemi della gente comune.
D:La forza del nuovo corso socialista nel Vallo di Diano va ricercata anche nella democratizzazione della società politica, che per la prima volta si apre a settori sociali sino a quel momento esclusi dalla partecipazione attiva…
R: Indubbiamente. E forse questo dato, più di qualunque altra considerazione, dà l’esatta misura di ciò che Quaranta e i socialisti significarono per la valle, in termini di trasformazione del quadro politico e dei rapporti sociali.
Nel ’70, poi, con l’istituzione delle Regioni e le conseguenti elezioni , il PSI del Vallo candidò e riuscì ad eleggere Angelo Ippolito, di Sant’Arsenio. Don Angelo -così lo chiamavamo tutti – non era sicuramente come Quaranta, per mentalità, per cultura, per indole,ma la sua elezione rappresentò un ulteriore tassello del mosaico socialista che, ben presto, si arricchì anche della presenza di ben 5 consiglieri provinciali, tutti socialisti. Fu proprio nel ’70, infatti, che fui eletto per la prima volta alla provincia.
Quaranta seguiva molto da vicino tutto ciò che riguardava l’amministrazione provinciale, consapevole anche dell’ostilità della classe dirigente salernitana nei suoi confronti. Ostilità che nasceva dalla peculiarità della sua esperienza politica, dal suo essere elemento di rottura di uno schema che, fino a quel momento, mai aveva visto protagonisti uomini che non fossero figli di un certo contesto culturale e sociale.
D: Gli anni ’70 rappresentarono, a livello nazionale, il momento più difficile nella storia del PSI della prima repubblica. Il partito uscì assolutamente indebolito dalla vicenda della scissione del ’69, e la lotta interna, tra le correnti, divenne sempre più aspra….
R:Ricordo bene le difficoltà di quegli anni. Mancini fu costretto a lasciare la segreteria del partito.
A subentrargli fu De Martino, che veniva dal partito d’azione e, per sua formazione politica, era molto vicino alle posizioni del PCI, col quale cercò di intrattenere sempre un rapporto privilegiato, tanto da arrivare a dire che era giunto il momento di arrivare al partito unico dei lavoratori. Fu un grave errore, da parte sua, rappresentare quel tipo di posizione politica che si rivelò fortemente penalizzante per il PSI, che in quella tornata elettorale toccò il suo minimo storico. A trarne vantaggio fu innanzitutto il PCI, che erose in modo consistente il nostro elettorato presentandosi come la vera sinistra, e come l’unica, credibile e forte alternativa alla DC, e poi la DC stessa, che rafforzò ulteriormente la propria condizione di forza moderata di governo. Insomma, la posizione del PSI nello scacchiere politico divenne di estrema debolezza, schiacciato a destra dalla DC e a sinistra dal PCI. Fu solo alla metà degli anni 70, con la segreteria Craxi, che il PSI uscì da questa crisi, trasformando una posizione che fino a quel momento era stata di debolezza in posizione strategica, di cerniera nel quadro politico nazionale.
D: A Teggiano, intanto, come si era modificato il quadro politico negli anni ’70?
R: A Teggiano, nel ’70, facemmo la lista socialista. Io non ero in lista perché quell’anno ero candidato alla provincia, e alcuni si opposero alla mia doppia candidatura, mettendo un veto anche sulla candidatura di mio fratello, che come me fu costretto a rinunciare. La vittoria della DC, peraltro ampiamente prevista, fu schiacciante: 11 seggi allo scudo crociato, 1 al PLI, 3 al Psdi e 6 al PSI. Per noi, nonostante tutto, fu una buona affermazione, che però fu purtroppo immediatamente vanificata nel giro di pochi mesi: ben quattro dei sei consiglieri eletti nella lista socialista passarono con la DC, decimando il nostro gruppo.
Fummo così costretti a ripartire da zero, e grazie anche al lavoro che mi fu possibile svolgere come consigliere provinciale, nel ’75 rilanciammo la sfida alla DC, ottenendo uno straordinario e storico successo: 9 seggi noi, 9 la DC. L’alleanza con un repubblicano e un comunista ex democristiano, l’avvocato Mea, ci consentì di eleggere il primo sindaco socialista nella storia di Teggiano.
D: La crisi del PSI negli anni ’70 non fu avvertita con pari intensità nel Vallo, dove al contrario i socialisti conobbero una esaltante stagione politica…
R:L’ elezione di Quaranta nel ’63 prima e nel ’68 poi, aveva allarmato non poco la DC, che tentò di correre ai ripari individuando tra le proprie file un antagonista, un anti-Quaranta. La scelta della corrente scarlatiana cadde su Pica di Sant’Arsenio, che fu candidato ed eletto nello stesso collegio di Enrico. Pica costituì un ulteriore ostacolo nel cammino di Quaranta e dei socialisti, perché iniziò subito ad intervenire nella gestione degli enti pubblici, delle risorse, soprattutto nel settore della sanità. Nel frattempo, in campo nazionale, il PSI viveva un momento di grossa difficoltà, stretto a tenaglia tra la necessità di sostenere la scelta del centro-sinistra come prospettiva strategica per il governo e lo sviluppo del paese, e la strenua opposizione, a sinistra, del PCI, che tentava di accreditarsi come unica alternativa al sistema di potere democristiano al quale riteneva che i socialisti fossero asserviti.
Il mondo operaio, il mondo dei professionisti, degli uomini di cultura, non credeva più nella prospettiva socialista e in un partito peraltro indebolito dalla scissione e ridotto, nel 1972, al 9,2 %.
In un contesto di tale difficoltà, gli sforzi di Quaranta, nel Vallo di Diano, si moltiplicarono, e si moltiplicarono le azioni dei sindaci socialisti, dei tanti compagni che nel frattempo erano nelle istituzioni locali. Negli anni ’70, poi, furono istituite, oltre alle regioni, le comunità montane. E la comunità montana del Vallo di Diano, attraverso un’azione di recupero di alcuni uomini della DC insoddisfatti e, nel contempo speranzosi nel ruolo che Quaranta avrebbe potuto svolgere per il territorio, divenne il fulcro della politica comprensoriale socialista di quegli anni.
D: Sembra quasi che la storia del Vallo di Diano di quegli anni, con tutte le sue peculiarità e i suoi straordinari elementi di innovazione politica e sociale, nasca non tanto da grosse spinte ideali, da un processo di trasformazione complessivo, quanto dalla ostinazione di un uomo e dal legame persino ossessivo con la sua terra…
R: Sono sempre gli uomini a fare la storia,e a far camminare sulle proprie gambe le idee, a farle arrivare al cuore della gente.
E lui aveva una grandissima forza comunicativa che riusciva a trasmettere al di là delle parole, con la sua figura rassicurante, col suo calore umano, persino con la sua fisicità.
Questo lo aiutò molto in tutte la battaglie politiche di cui, in quegli anni, fu protagonista: la battaglia contro il potentissimo consorzio di bonifica, per anni centro del potere democristiano, quella per l’area industriale di Polla, o ancora quella che lo portò alla guida della Comunità Montana che, in breve, divenne il simbolo della politica socialista nel Vallo.
D: La lotta interna al partito, tra le diverse correnti, come fu vissuta da Quaranta e, in generale,nel Vallo?
R: In verità qui non fu avvertita più di tanto. Del resto, anche il rapporto tra Quaranta e Brandi, che nel frattempo erano rimasti gli unici due deputati socialisti della zona, non fu mai conflittuale, perché entrambi facevano riferimento alla componente manciniana e, soprattutto, perché operavano in contesti diversi e con finalità diverse, Brandi a Roma come sottosegretario e Quaranta a Salerno.
D: Come ricorda, in quel periodo, il suo rapporto personale, oltre che politico, con Enrico Quaranta?
R: Era un rapporto di collaborazione, ma anche e soprattutto di amicizia. In quegli anni ero, oltre che consigliere provinciale, membro del consiglio di amministrazione dell’ospedale psichiatrico di Nocera, e spesso mi confrontavo con lui in relazione alla mia attività, raccogliendone suggerimenti e indicazioni.
D: Negli anni ’70 nacque anche il centro Sportivo Meridionale di San Rufo…
R: Il Consorzio dei comuni che diede vita al complesso del centro sportivo fu la prima, embrionale idea di città vallo, di gestione comune dei servizi a livello sovracomunale.
In quel periodo, ad esempio, fu istituito il cd. separatore della nettezza urbana.
Insomma, attraverso il centro sportivo e, soprattutto, la Comunità Montana, il PSI riuscì a dare nuovo impulso al Vallo di Diano. E forse questo fu sicuramente il maggior merito ascrivibile ai socialisti, in quegli anni. Attorno Comunità Montana, ad esempio, ruotavano mille forestali, c’era interesse affinché arrivassero finanziamenti per realizzare vie interpoderali, iniziavano a nascere progetti sovracomunali.
D: Insomma, il PSI non si era limitato a sostituirsi alla DC nel governo del territorio e nella gestione di potere e risorse, ma aveva modificato l’approccio alla politica, aveva portato qualcosa di più e di diverso…
R: Aveva portato il riformismo. Aveva portato la gente comune al potere,uomini semplici che si misuravano con una grande sfida: fare di più e fare meglio di chi li aveva preceduti.
Nei primi anni ’80, il partito era in tale crescita da arrivare a monopolizzare cariche anche sovracomunali, provinciali e regionali. Eravamo arrivati ad eleggere tre consiglieri provinciali socialisti, mentre la DC non riusciva ad eleggerne nessuno.
D: Come era articolata la struttura del partito, nel Vallo?
R: Avevamo sezioni in tutti i comuni e una struttura comprensoriale, il centro zona, a coordinarne l’attività. Ma la sintesi politica, alla fine, era sempre rappresentata da Quaranta, che mitigava le incomprensioni e smussava eventuali contrasti. Del resto, pur non essendoci nel partito rivalità accese ed evidenti, c’erano naturalmente diffidenze e antipatie epidermiche. Le nomine e le cariche stabilite da Quaranta erano spesso motivo di malcontento da parte di chi vedeva deluse le proprie aspettative, ma Enrico riusciva sempre a mediare tra le diverse esigenze e, alla fine, a far prevalere la necessità di un progetto complessivo e il senso di partito sulle singole ambizioni.
D: Uno degli uomini più vicini a Quaranta Fu Gerardo Ritorto…
R: Quaranta era molto legato a Ritorto, lo aveva quasi adottato politicamente. Aveva da subito visto in lui il fiuto politico, le capacità, il dinamismo, la voglia di fare. Ritorto era un piccolo imprenditore, molto sicuro di sé, estremamente pragmatico, che riusciva a trasmettere alla gente un senso di concretezza estremo, fungendo da moltiplicatore della forza e del radicamento di Quaranta e del partito sul territorio.
Enrico investì molto su Ritorto, e anche quando ebbe l’impressione che avrebbe potuto camminare da solo, quando avvertì da parte sua l’irrequietezza di chi vuole dimostrare di potersi reggere sulle proprie gambe, non ebbe mai ripensamenti o pentimenti di sorta.
Ritorto morì tragicamente, nel 1982, in un incidente stradale. Ricordo il giorno dei suoi funerali a Polla, e lo scoramento di Enrico che, oltre al dolore per la perdita dell’uomo, dell’amico, aveva perduto la persona su cui più aveva investito politicamente. Quel giorno Quaranta mi parlò a lungo, e mi chiese un impegno maggiore nel partito orfano di Ritorto. Volle puntare su di me, candidandomi, l’anno successivo, alla camera, dove per pochi voti non fui eletto.
D: Quaranta ebbe con lo stesso Craxi un rapporto molto stretto…
R:Era un rapporto di grande rispetto reciproco, oltre che di stima e fiducia. Enrico era legato a Craxi anche sul piano personale,tant’è che spesso, quando andava a trovarlo a Roma, era solito portargli in regalo qualcosa di strettamente connesso alla propria terra, prodotti locali come le melanzane sott’olio, che sapeva particolarmente gradite a Craxi. Era un gesto semplice e immediato, un po’ come lui. Enrico era fatto così. Teneva tanto alle sue origini, al legame col mondo contadino, con le cose semplici, anche quando aveva a che fare con grandi uomini.
D: Il Partito Socialista , nei primi anni ’80, era all’apice del suo splendore. Nel 1980, a San Rufo, si svolse la più grande manifestazione socialista di tutti i tempi. Migliaia di persone affollarono il palazzetto del centro sportivo per ascoltare Rino Formica…
R: Fu un momento esaltante. Migliaia di compagni, pullman venuti da tutta la regione, e un entusiasmo incredibile intorno a noi, al partito nel suo complesso ma, ovviamente, a Quaranta. Fu la sua consacrazione definitiva, il pubblico riconoscimento della sua leadership.
Del resto, alle elezioni del ’75, il Partito aveva conosciuto un momento di forte difficoltà. Quell’anno, infatti, solo Quaranta fu eletto alla camera, mentre sia Landolfi, candidato qui per scelta dei vertici nazionali del partito, che Brandi, non furono eletti.
Il 1975 fu anche l’anno in cui Carmelo Conte venne eletto consigliere regionale, poi assessore ai lavori pubblici e addirittura vicepresidente della Regione. La presenza di Conte in quel ruolo fu molto utile a Quaranta, in quel periodo.
D: Il rapporto tra Quaranta e Conte però, divenne abbastanza conflittuale…
R: Si, ma solo dopo il 1980. Non era però una contrapposizione violenta, anche perché lo stesso Conte, inizialmente, era stato sostenuto e sponsorizzato da Quaranta. E Conte, all’inizio, ebbe bisogno del sostegno di Quaranta, che gli diede credibilità consentendogli,poi, di intraprendere da solo un percorso di crescita politica che, in virtù delle sue grandi capacità, lo portò ad affermarsi come leader indipendentemente da Enrico o addirittura in alternativa a lui.
Quando Conte fu eletto alla regione, Quaranta aveva garantito a Craxi che Carmelo sarebbe stato con lui. Ricordo che quando Craxi venne a Salerno, in ascensore disse a Quaranta : “alla Regione ti do il capolista. Che ne dici?” E Quaranta gli rispose: “ti garantisco che sarà con te”. In realtà, poi, Conte fu più vicino a Signorile che a Craxi, tant’è che fu Signorile a sostenere la sua nomina a sottosegretario.
Nel famoso congresso del 1980, in cui Craxi rischiava di perdere la leadership del partito e fu salvato poi da De Michelis, Conte giocò bene le sue carte, offrendo a Craxi il proprio sostegno a patto di essere eletto nella direzione nazionale del partito,lasciando il sottosegretariato. Stare nella direzione nazionale fu importante per lui, fu un riconoscimento politico che gli consentì di lavorare all’interno del partito e di ritagliarsi un ruolo di carattere nazionale.
D:Arriviamo così al 1984, alla morte di Quaranta e a quella che sarà l’ultima stagione del socialismo italiano e della repubblica dei partiti…
R: La morte di Enrico fu un fulmine a ciel sereno, ci colse assolutamente impreparati. Fu un dramma, e come tale fu vissuto da tutti noi. Ricordo l’ultima riunione fatta insieme a lui nel dicembre dell’83. Ci convocò tutti a Roma e ci informò dell’operazione che avrebbe dovuto subire. Ci disse anche che dovevamo iniziare a lavorare per le elezioni regionali dell’85, e che riuscire a eleggere uno di noi sarebbe stato di vitale importanza, anche alla luce del vuoto determinatosi a seguito della morte di Ritorto e della mia mancata elezione alla camera alle politiche appena trascorse. Chiese a tutti se fossero d’accordo a sostenere me come candidato alle regionali, e, in verità, nessuno si oppose. Mi disse di partire subito, di iniziare immediatamente a preparare il terreno per la mia candidatura mettendomi a disposizione la sua segreteria e ci congedò dandoci appuntamento a subito dopo l’operazione.
I giorni che Enrico trascorse in ospedale, prima e dopo l’operazione, furono uno strazio per tutti. Vivemmo momenti terribili, avvertivamo un senso di impotenza di fronte alla tragedia che si stava consumando, violenta e inaspettata, sotto i nostri occhi.
Alla notizia della morte di Enrico, nel corridoio della clinica Mediterranea di Napoli, ebbi un mancamento. Da quel momento nulla fu più come prima.
D:Quali furono le conseguenze politiche più immediate della morte di Quaranta? Come reagì, politicamente, il partito del Vallo alla scomparsa del suo leader e in che modo tentò di riorganizzarsi?
R: Per quanto riguarda me personalmente, ebbi subito la percezione che il percorso individuato da Enrico per me non sarebbe più stato possibile dopo la sua morte, e così fu. In generale, il partito del Vallo tentò di mantenere tutto ciò che aveva conquistato grazie al lavoro di Quaranta, riconoscendo, a questo punto, Carmelo Conte come proprio riferimento.
Il racconto di Antonio Innamorato prosegue, ma i ricordi si fanno via via più malinconici, fino ad arrivare a Tangentopoli e alla fine della repubblica dei partiti, alla diaspora socialista e alla cosiddetta seconda repubblica. Un dolore ancora vivo, che si percepisce dalle sue parole.
Era finito un mondo, e nonostante la lucidità nell’analisi e la mai sopita passione per la politica, Innamorato non nasconde il proprio disagio nei confronti di una realtà che sentiva non appartenergli più.