Aldo Bianchini
SALERNO – Un pubblico ministero, alcuni magistrati suddivisi equamente tra Gip – Gup – Riesame e Cassazione, moltissimi investigatori suddivisi anch’essi tra Carabinieri, Polizia, Finanza e Vigili Urbani, e soprattutto la stampa locale, nel corso delle lunghe – particolari – complesse e monodirezionali indagini preliminari avevano disegnato un intrecciato scenario politico-camorristico degno dei migliori intrighi del film “Il Padrino” di Francis Ford Coppola.
Cosa c’entra, qualcuno si chiederà, il film cult su Cosa Nostra statunitense con la vicenda scafatese dell’assalto spietato, e senza esclusione di colpi bassi, scatenato contro l’allora sindaco Pasquale Aliberti, medico e amministratore molto noto in tutto l’agro sarnese-nocerino, al quale venne impedito anche l’utilizzo degli strumenti tecnologici per l’esercizio normale del pensiero; a Lui che, tra l’altro, è anche giornalista televisivo ed autore di numerosi reportage sulla malavita locale; c‘entra e come, e spiego anche perché.
Nell’immaginario collettivo del corposo gruppo di magistrati e investigatori, così come nell’immaginario della stampa, aveva preso piede la convinzione che il boss Ridosso e il sindaco Aliberti avessero creato ad arte un personaggio come Andrea (giovane rampollo dei Ridosso, studente con profitto fino alla laurea) che nel film di Coppola era mascherato sotto le sembianze dell’incensurato Tom Hagen (figlio adottivo di don Vito Corleone) come consigliere e avvocato di famiglia e come esperto nella trattazione di complicati casi giudiziari per farla fare franca al Padrino ed a tutti i malavitosi.
Nel pieno della mia libertà ricostruttiva, con l’aggiunta di quel pizzico di fantasia che giornalisticamente non guasta mai, il set scenografico sul quale si sono mossi gli inquirenti io l’ho immaginato proprio così; e probabilmente finirà anche per Andrea come finì per Tom che, dopo alcune sane riflessioni, fu epurato dal contesto della più grande famiglia malavitosa della storia americana.
Ho usato ovviamente il condizionale, perché con la sua deposizione in aula Andrea Ridosso (oggi felicemente coniugato e docente in una scuola del Veneto) ha interposto una distanza siderale tra lui e quella famiglia ed ha smantellato il teorema accusatorio della DDA.
In aula Andrea ha ribadito, come già fece all’epoca della clamorosa inchiesta, la sua lontananza dalla famiglia e dai fratelli che rispetto a lui hanno fatto altre scelte di vita; ed ha riconfermato con forza, sempre in aula di dibattimento, il suo rapporto assolutamente corretto avuto con l’allora sindaco Aliberti, sul quale tutti ci avevano ricamato pesantemente.
L’udienza del 21 dicembre ha evidenziato, quindi, dichiarazioni tali da far accapponare la pelle anche ai più scettici; Andrea in questi anni è stato letteralmente marginalizzato dalla società per via di quel cognome, purtroppo all’inizio anche dallo stesso sindaco; ma tutto questo ha anche spiegato che oltre all’immaginazione ed alla voglia matta di mandare in galera il malcapitato Aliberti c’è poco o niente.
Ed ecco la sfogo odierno di Pasquale Aliberti: “”Dopo l’udienza di mercoledì abbiamo ricostruito ancora un altro pezzo di verità … Per quelli che hanno usato la violenza e la bugia per distruggere … Per quelli il cui unico obiettivo era mandarmi in carcere … Per quelli che hanno distrutto famiglie e ragazzi che non meritavano … Per la mia famiglia … soprattutto per mia moglie e i miei figli che devono camminare a testa alta … Per gli amici, pochi, anche meno, che ho ritrovato al mio fianco. Sono anni che non conteggio più i giorni che sono trascorsi da quel 18 settembre del 2015 … Si proprio così perché ogni tanto osservo e sento, invece, il dolore grande delle ferite che sanguinano e bruciano ancora di più nei momenti di buio … Un giorno molti mi dicono: “finirà” … No, non finirà mai perché nessuno può sapere quello che mi porto dentro … il dolore, la violenza del linguaggio che ancora oggi esprimono quelli che sono i miei “nemici amatissimi” … Eppure non li ho mai odiati, le ferite avrebbero bruciato di più … Anzi per loro tutti provo soltanto una grande compassione, misericordia, pena e pietà … Proprio così perché restano uomini piccoli nei sentimenti e nei gesti … Si troppo piccoli dentro e fuori per poter provare il senso della vergogna o della dignità””.
E’ vero, concordo con Aliberti; quanta ostinazione negli investigatori e quanta ferocia negli accusatori che forse si sentivano scoperti perché citati nelle pagine del libro “Passione e tradimenti” che ora appare come una premonizione anticipata in tempi non sospetti.