da Nicola Femminella
(docente – storico)
Esistono comportamenti e atteggiamenti dettati spesso da motivi assunti e fatti propri senza alcun fondamento. Spesso non hanno nessuna ragione a giustificarne la traduzione in atti del nostro essere nel mondo o nel più ristretto ambito del nostro agire quotidiano interagendo con gli altri. Diventano abitudini, luoghi comuni, prassi senza anima, automatica, e se si chiede agli interessati una loro spiegazione di tale manifestazione, chi ne è portatore stenta a darne una chiara e convincente. Ci si arrampica su una parete scivolosa alla ricerca di una risposta esauriente, non condivisibile alla luce di una logica che derivi dalla plausibilità di convincimenti e atti motivati. A questo penso quando personaggi, anche notoriamente in possesso di categorie del pensiero guidate da un tasso culturale acclarato e da una dignitosa collocazione all’interno della società costituita, con veemenza difendono l’appartenenza ostinata al proprio paese o al proprio comprensorio. Disdegnano di unirsi a cittadini del paese vicino o dell’area di non appartenenza, per condurre con essi azioni comuni a favore delle proprie comunità. Fanno valere una presunta superiorità localistica rispetto al luogo altrui e da essa ricavano una cecità che spesso è autolesiva per il proprio bene e quello dei conterranei. E così capita quando si operano paragoni tra i quattro comprensori che costituiscono il Cilento, spesso divisi e guidati da meri interessi di bottega, o da personaggi che fanno valere, per il proprio tornaconto, ragioni convincenti, il più delle volte presunte e destinate a mostrare dopo breve tempo la loro dannosità. Ho costatato più volte e in varie situazioni la forza di un campanilismo irrazionale, ostinato che ha impedito un confronto civile e rispettoso tra le parti. Nel Sud opera con risultati nefasti ed è difficile da estirpare. Ai miei interlocutori, attestati saldamente su tale posizione, ho esposto qualche mia personale ragione. Ho vissuto per lunghi tratti della mia vita, diviso tra il Vallo di Diano e il Golfo di Policastro e mi sono trovato a operare in moltissimi paesi del Cilento e degli Alburni per motivi di lavoro. E dappertutto, oltre a ricevere il calore di una accoglienza sincera e fatta di buone maniere a conforto dell’interazione avuta, ho notato tratti antropologici, stili di pensiero e comunicativi comuni nella gente, dissimili da quelli osservati nelle aree salernitane e napoletane, degne di ogni rispetto naturalmente, oltre ad una sorta di complementarietà tra i nostri territori. Un quadro composito ben disegnato da una mano sovrana. La costa e il mare, la pianura, la collina e l’alta montagna. La vegetazione ricca e varia, la distribuzione dei fiumi, le grotte straordinarie e ben dislocate nelle diverse aree, le vocazioni e le risorse variegate che potrebbero essere messe a sistema e creare ricchezza. Il tutto con un lungo trascorso preistorico e storico segnato dall’unità dei popoli e da secoli con percorsi conformi. Se la malta che unisce i tasselli del mosaico fosse più inalterabile, i quattro comprensori potrebbero aspirare ad uno sviluppo in grado di dare benessere e lavoro alle comunità. Un ordito di preziosi ricami. Una rete di progettualità e collaborazione per accelerare il passo e promuovere realtà sociali ed economiche più avanzate, uguali a quelle dei paesi più ricchi. Tale mio convincimento deriva anche da una esperienza condotta sul campo, che mi ha permesso di toccare con mano le notevoli potenzialità dell’intero Cilento nella sua dimensione parcellizzata. Per circa sette anni l’ho percorso da destra a manca, quasi ogni giorno, per raccogliere dati sulle bellezze e le maggiori attrazioni degli 80 paesi posti nella parte a sud di Salerno (di 56 ho descritto i tesori d’arte, storici, naturalistici in due voluminosi tomi). L’ho ripetuto più volte su questa testata. Ho eseguito studi e ricerche sulla storia dei popoli che l’hanno abitato, a partire dall’età paleolitica e ho avuto modo di apprezzarne gli splendori accumulati in migliaia di secoli, la gran parte di essi vissuti e condivisi dalle popolazioni stanziate nell’intero Cilento. Più di quanto è possibile credere. Cito per brevità gli ultimi 3000 anni con la presenza degli Enotri, l’influenza della civiltà greca, il regno lucano, la dominazione romana, i Bizantini e i Longobardi , i Normanni e la presenza delle maggiori famiglie napoletane a investire sui nostri feudi, con gli splendori dei Sanseverino che addirittura volevano fondare una Signoria a Teggiano, autonoma rispetto alla corona dei D’Aragona a Napoli, ed estesa all’intero Cilento, gli impulsi risorgimentali sparsi in tutti i suoi paesi, ecc. Insomma una permanenza nella storia lunga e comune, condotta all’unisono dai quattro comprensori. Come è possibile, quindi, non considerarlo unito e coeso sulla via delle aspirazioni allo sviluppo e alla crescita complessiva? Del resto il Parco del Cilento Vallo di Diano Alburni, le Comunità Montane, i Gal negli atti fondativi non contenevano tali ideali e princìpi teorici? Peccato che non ne abbiano diffuso lo spirito vivificatore e gli indirizzi, perseguito le finalità, venendo meno, forse, alla funzione più importante che era data loro di svolgere per formare comunità di popoli pronti a remare nelle stesse direzioni, per raggiungere obiettivi comuni, amalgamandole e creando in loro un forte spirito di coesione e appartenenza. Lo stanno facendo adesso le unioni e le associazioni dei Comuni, istituiti da Agropoli a Vallo della Lucania con ottimi risultati. Anche l’azione educativa della scuola avrebbe dovuto fare proprio questo obiettivo formativo, organizzando scambi e visite tra gli studenti di ogni età sul territorio. Avrebbero così assimilato la ricca comunanza di risorse e retaggi storici che li lega gli uni agli altri e socializzato, con ricerche e analisi complessive, i problemi da affrontare per una agevole collocazione nella società. Eliminare le separatezze inutili e nocive alla crescita generale, introdurre le convenienze delle reti solidali serve al confronto delle idee, per individuare le giuste soluzioni ai bisogni sparsi sul territorio; serve per accrescere, con progetti concordati e di alto profilo, la forza delle legittime richieste da rivolgere a coloro che dispongono finanziamenti pubblici previsti da norme e leggi vigenti; serve per correre verso il futuro della globalizzazione e delle emergenze intercontinentali. Il tutto per abbandonare le posizioni permanenti nelle nostre zone interne, dove da alcuni secoli l’emigrazione la fa da padrona, rispetto a chi vorrebbe scegliere di vivere nei luoghi in cui ha fatto i primi giochi.