Dr. Matteo Claudio Zarrella
(già presidente del Tribunale di Lagonegro)
È una fredda mattina di febbraio del 1765. A Lapio, fa ingresso nell’antico casato dei Filangieri il massaro Ciriaco Carbone, alla testa di una manata di contadini. Chiede, in loro nome, a Don Cesare Filangieri, Barone di Lapio e Principe di Arianello, una dilazione nel pagamento dei canoni enfiteutici, a cagione della terribile carestia del 1764. Un flagello che aveva funestato le terre del Regno. L’Arcivescovo Serafino Filangieri, fratello di Don Cesare, nel dicembre del 1770, è nominato Cavaliere dell’insigne e reale Ordine di San Gennaro per essersi distinto, durante la carestia, a sostegno del popolo di Palermo. La carestia aveva lasciato il segno sui volti scavati e tristi di quei contadini, rimasti immobili, a capo chino, coi cappelli tra le mani come a trattenere l’imbarazzo e l’umiliazione, sotto i colpi rabbiosi di Don Cesare: Carestia o non carestia, i patti sono chiari, se non pagate sapete cosa vi aspetta. Parole sferzanti come la pioggia battente sulle vetrate del Palazzo. Assiste alla scena Gaetanino. il dodicenne terzogenito della famiglia. Passerà insonne la notte, in una tempesta di emozioni. Il precettore don Luca lo troverà nella prima mattina del giorno dopo nella cappella del Palazzo, con animo contrito. Le emozioni insegnano più di tanti libri. Spingono alla riflessione della Ragione. Scopre, così, la tirannide del potere baronale. Don Cesare muore due anni dopo, nel 1767. Per lascito testamentario, il primogenito Giovan Francesco, favorito dalla legge del maggiorasco, riceve l’eredità del feudo, e, con il feudo, il mero et mixto imperio, il potere di giurisdizione civile e criminale, nonché “tutti i beni burgensatici e feudali, mobili e stabili, oro, argento, crediti e suppellettili di casa e ogni altro spettante”. Ai figli cadetti (Antonio, Gaetano, Matteo, Raffaele e Michele) è data facoltà di abitare gratuitamente in “case e Palaggi che si posseggono in Napoli, nella Cercola e nel feudo di Lapio senza poter pretendere abitazione separata”. A questo vincolo di ospitalità il primogenito avrebbe potuto sottrarsi, dando “in luogo dell’abitazione a ciascuno dei secondogeniti annui ducati cinquanta”. Alle quattro figlie femmine si riconosce la “dote prevista dal Monte Grande dei Maritaggi”. Lo zio “Cardinale” Serafino si prende cura del quattordicenne Gaetano che lascia, a malincuore, la casa avita di Lapio. Come avrebbe potuto Gaetano, spirito libero, restarci in soggezione del fratello Giovan Francesco e dei suoi 50 ducati? Gaetano intraprende la carriera militare entrando, tra i “maggiori”, alla Corte del Re. Si affranca dai legami feudali e con la guida dello zio “Cardinale” si apre alla conoscenza di personaggi di larghe vedute, a Palermo e alla Corte reale della Capitale. Nel 1774 son date alla stampa le sue “Riflessioni politiche su l’ultima legge del sovrano”. È la prammatica del 23 settembre 1774 sulla riforma della giustizia che impone al giudice di spiegare al Pubblico le ragioni della decisione. Una grossa novità, per quell’epoca. Da queste prime riflessioni parte il progetto per la Scienza della Legislazione. Occorrono buone leggi per la felicità del popolo e dello stesso Monarca che lo governa. Ma occorre ancor prima abbattere la feudalità che aveva modellato il sistema giudiziario allora vigente. Contro Filangieri si muove il partito dei detrattori. Giuseppe Grippa si aggiunge alla lista dei “calunniatori della Ragione”. Con una pubblica lettera, scaglia contro Filangieri maligne insinuazioni: “Voi, Signor Cavaliere, formate per me un punto di maraviglia: Voi, dico, che siete d’una Famiglia di antichissimi Baroni del nostro Regno, com’è nota, e per la Storia nostra, e per lo corpo delle nostre Prammatiche, Voi siete così avverso al sistema de feudi, che da ogni luogo della Vostr’Opera scagliate de’ fulmini distruttori? Bisogna credere, che gran virtù si annidi nel Vostro cuore che per amore dell’Umanità non vi curiate della distruzione della Vostra Casa. Una suggestione però mi vorrebbe far credere, che non è tutta virtù quella, che appare in Voi in questo particolare; ma che vi sia anche un poco di crepacuore in vedervi Cadetto e che perciò progettate alla maledetta contra de’ feudi’’. Filangieri non risponde. Ma nel terzo libro della Scienza della Legislazione pare includere tra gli squallidi agenti baronali, senza nominarlo, proprio Giuseppe Grippa che era stato agente baronale del feudo di Gilberto Pio di Savoia, duca di Nocera de’ Pagani. Sentiamolo: “Il feudatario sceglie in ciaschedun anno un giudice. Questo magistrato non è altro che un miserabile e vile mercenario del barone. Il suo salario non supera quello del più misero familiare. L’unico interesse di questo giudice è di profittare, quanto più si può, della sua carica ed aderire ciecamente a’ capricci del barone. Prima di consegnare a questo depositario vile delle leggi la carta che gli dà una così precaria e servile giurisdizione, gli si fa distendere un atto della sua rinunzia, che il feudatario conserva presso di sé, per poterlo espellere in qualunque caso che non voglia aderire a’ suoi capricci. Quale probità, qual virtù è sperabile di trovare in siffatti uomini, che il bisogno e l’interesse obbligano ad essere ingiusti, e che nissun motivo, niuna speranza può indurgli ad esser onesti? Quali sono in fatti gli uomini che si avviano fra noi per questa miserabile carriera? Que’ che per la loro pigrizia o per la vanità de’ loro padri sonno strappati dalla coltura della terra”.