Aldo Bianchini
SALERNO – Con la mia solita sincerità devo ammettere di aver cercato in tutti i modi di trovare almeno un motivo per dare torto alla segretaria nazionale del PD ed a tutta la sinistra che insieme sono insorti bellicosamente contro il presidente del Senato Ignazio La Russa per le parole pesanti (poi parzialmente corrette) pronunciate dalla 2^ carica dello Stato che era entrato a gamba tesa nella vicenda sessuale-parità di genere e giudiziaria in cui è rimasto coinvolto il figlio Leonardo.
Plaudo, però, anche verso Giorgia Meloni che ha avuto la fermezza di censurare l’atteggiamento di colui il quale è, in pectore, il vice presidente della Repubblica Italiana.
Mi dispiace davvero affermare, me lo impone la mia equidistanza tra le parti, che il presidente La Russa non abbia capito, nonostante la sua lunga militanza politica e la sua enorme esperienza legale, che in questa benedetta Nazione bisogna incominciare a capire che “le cariche istituzionali, e non solo, devono avere un prezzo”.
Questo principio, che dovrebbe essere indefettibile, viene sempre calpestato e nel migliore dei casi sottaciuto.
Capisco che il problema è enorme perché riguarda in primo luogo la famiglia del potente che accede a ruoli istituzionali, ma la colpa di ciò che accade è soltanto di chi è potente e crede di poter sparare a zero su tutto e tutti pur di difendere un figlio o un familiare. Non deve funzionare così, maggiormente nel caso La Russa che riveste la seconda carica dello Stato; nessuno è in grado di vietargli di difendere a spada tratta il figlio, ma per farlo deve necessariamente dimettersi dalla carica che occupa in nome di tutti gli italiani, nei quali sono ricompresi anche la ragazza vittima del presunto stupro e gli inquirenti.
Non mi dilungo molto e ricordo a tutti l’esempio storico di Attilio Piccioni quando il figlio Piero fu coinvolto nel “caso Wilma Montesi”, una ragazza ventunenne trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica la mattina dell’11.04.1953.
Dopo oltre un anno dai fatti e dopo una violenta campagna stampa contro il potentissimo ministro, il 19 settembre 1954 i Carabinieri bussarono alla porta dell’allora “ministro degli esteri DC” per arrestare il figlio Piero. Il ministro impedì, come era giusto, l’accesso ai Carabinieri perché in casa di un ministro non si entra soltanto bussando. Ma Piccioni qualche ora dopo, nella stessa mattina del 19 settembre 54 si recò a Palazzo Chigi e rassegnò le dimissioni nelle mani del primo ministro Mario Scelba che lo sostituì ad horas con Gaetano Martino (PLI). Il figlio Piero fu poi arresto il 21 settembre 54 per essere assolto con formula piena nel 1957.
A proposito, il telefonino cellulare di Leonardo La Russa non potrà essere sequestrato perché la SIM è intestata al padre, Presidente del Senato della Repubblica; ancor di più si impone l’unico dovere: dimissioni.
Non aggiungo altro.