di Maria Teresa de Scianni
Avvocato Familiarista
Pres. Sezione ONDIF di Salerno
“ La Corte Costituzionale … dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n° 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui, facendo rinvio all’art. 6, non include le persone singole residenti in Italia fra coloro che possono presentare dichiarazione di disponibilità ad adottare un minore straniero residente all’estero e chiedere al tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione.”
La sentenza della Corte Costituzionale nasce dalla questione posta dal Tribunale per i Minorenni di Firenze che, sul ricorso presentato il 17 marzo 2022 dalla signora R. B., non coniugata, che manifestava disponibilità ad adottare un minore straniero e chiedeva l’emissione del decreto di idoneità ad adottare, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 29- bis della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui non prevede che la persona non coniugata residente in Italia possa presentare domanda per la dichiarazione di idoneità all’adozione internazionale.
La Corte Cost. ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 29-bis, comma 1, della legge numero 184 del 1983, nella parte in cui non include le persone singole fra coloro che possono adottare un minore straniero residente all’estero fermo restando l’obbligo del giudice di accertare, in concreto, l’idoneità affettiva dell’adottante (art. 30, co.1) valutando la sua capacità di educare, istruire e mantenere il minore anche con uno sguardo allargato sulla rete familiare di riferimento dell’aspirante genitore.
Sull’adozione da parte dei single, argomento più volte affrontato nelle aule dei Tribunali per i minorenni, si sono avute, in passato, diverse pronunce che hanno evidenziato la disponibilità ad una apertura a tale “eccezione alla regola” in considerazione del “preminente interesse del minore ad una continuità affettiva con persone adulte già di riferimento” nella considerazione di una difficoltà oggettiva ad un affidamento preadottivo a terzi, dovuto, essenzialmente, alle condizioni psico-fisiche del minore o alla relazione consolidata tra minore e affidatario, (spesso un parente ma anche altre figure affettivamente a lui legate), conseguente ad una dichiarazione di adottabilità per decadenza dalla responsabilità genitoriale.
Ciò che, in passato, è stato evidenziato, riguarda principalmente il diritto dei minori ad una famiglia, messo a confronto con le realistiche possibilità che quei minori venissero adottati qualora si fosse trattato di bambini/e, di varia età, affetti da patologie o gravemente compromessi nel proprio stato psico-fisico, tali da rendere quasi nulla ogni aspettativa di adozione o in particolari condizioni di affidamento temporaneo.
Solo a queste condizioni, infatti, nella consapevolezza della difficoltà di dare una famiglia a quei minori, il “diritto alla famiglia”, nell’accezione e con il significato proprio del diritto comune, nell’interesse di tutti i minori in stato di abbandono, ha ceduto il passo e ha restituito dignità al diritto del singolo minore ad avere almeno un genitore piuttosto che nessuno.
E’ evidente che tale forma di adozione, prima facie, sembrerebbe avere i connotati di un’adozione di serie B, come di “secondo grado” o di minor valore, rispetto all’adozione piena da parte di una coppia genitoriale.
In passato si sono avute varie pronunce che, seppur apparentemente condivisibili, in realtà sembrerebbero lesive del concetto pieno di eguaglianza di tutti i minori ad un legame affettivo e ad una tutela dei propri diritti “a prescindere” dalle proprie condizioni di salute e familiari o dalle proprie origini sociali o provenienza geografica.
Nel processo dinanzi alla Corte Costituzionale, la difesa dello Stato Italiano ha eccepito l’inammissibilità e la infondatezza delle questioni sollevate evidenziando che, l’accoglimento delle questioni, determinerebbe una inevitabile disparità di trattamento tra le adozioni internazionali, che sarebbero ammesse anche per i single, e quelle nazionali in cui i single non avrebbero accesso. Di vero c’è che in Italia, come si è detto, i minori che abbiano gravi problemi psico-fisici o gravi handicap, oppure quelli che si trovano in particolari rapporti familiari o di affidamento preadottivo, possono essere adottati anche da single a condizione che li abbiano accuditi o che si fossero già concretizzati, tra di essi, rapporti di particolare confidenza o familiarità.
La sentenza della Corte Costituzionale, pertanto, rappresenta sicuramente una chiave di volta, un passe-partout verso una possibile apertura ad una sostanziale parità di rapporti e garanzia di uguaglianza tra minori, da un lato, e adottanti, dall’altro, in entrambe le tipologie di adozioni, nazionale e internazionale.
Il principio costituzionale dettato dall’art. 3 secondo cui “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” … sembrerebbe, così, rispettato ma il condizionale è d’obbligo se solo si pone attenzione all’aggettivo “straniero”…
Infatti la Corte Cost. apre chiaramente all’adozione da parte dei single nei confronti di : “un minore straniero residente all’estero..” ma, al momento, non si fa riferimento ad ogni minore “in stato di abbandono”, quindi anche Italiano; tuttavia si sa che la storia delle grandi battaglie sociali, di libertà e uguaglianza, hanno visto la necessità di passare per gradi ed ostacoli prima di arrivare alle grandi vittorie.
Per abbattere un muro bisogna aprire una breccia!
Fino ad oggi l’adozione “piena” da parte dei single residenti in Italia, era ammessa soltanto in due ipotesi:
“qualora uno dei due coniugi muoia o divenga incapace durante l’affidamento preadottivo, o se nel corso dell’affidamento preadottivo intervenga la separazione dei coniugi affidatari, ben può il giudice, sempre nell’interesse del minore, consentire l’adozione alla persona rimasta single”
A questo punto nasce spontanea una riflessione sul significato ed il senso giuridico di tre concetti che sono anche principi fondamentali del nostro diritto: la bi-genitorialità, la libertà di autodeterminazione della persona e l’uguaglianza.
Per analizzare il significato di “genitorialità” bisogna partire da una riflessione sul significato di “diritto naturale”.
Scriveva Cicerone: “La legge è ragione suprema insita nella natura, che comanda ciò che si deve fare e proibisce il contrario.
È da questa legge suprema, uguale in ogni tempo, che vanno prese le mosse per ritrovare il principio del diritto. Il diritto infatti per Cicerone non nasce dalle leggi positive: se a fondare il diritto fossero le leggi positive, potrebbe essere diritto rubare o commettere adulterio, qualora queste azioni venissero approvate dal voto o dal decreto di un legislatore… La vera legge è solo quella norma «che distingue ciò che è giusto e ciò che è ingiusto secondo la natura stessa delle cose … In caso diverso, una legge non solo non dovrebbe essere considerata tale, ma neppure dovrebbe averne il nome»;
Quanto scritto da Cicerone nel I secolo a.C., costituisce la traduzione più autentica del significato di “diritto” che, secondo lui e secondo i giuristi che lo hanno seguito fino ai giorni nostri, è insito nel concetto di “natura”. E’ diritto ciò che nasce, proviene dalla natura stessa delle cose e della vita. A tale considerazione del diritto fa riferimento lo Stato quando definisce il “diritto di un minore abbandonato ad avere una famiglia” perché il concetto di famiglia, fino a pochi anni fa, era legato essenzialmente all’unione di un uomo e di una donna, uniti in matrimonio, che avevano, come scopo principale della propria unione, quella di generare uno o più figli per comporre e realizzare il concetto pieno di “famiglia”.
Negli anni abbiamo assistito alla trasformazione di tale concetto, siamo giunti alla famiglia allargata, a quella di fatto, a quella mono-genitoriale e, da ultimo, a quella costituita da soggetti dello stesso sesso, quindi omo-genitoriale.
Se il concetto di famiglia si è allargato, come logica conseguenza non può che essersi espanso anche quello di “diritto ad una famiglia” andando a rappresentare soprattutto un concetto di “diritto a godere di legami familiari” con tutto ciò che ne consegue in termini di “cura, accudimento, sicurezza, stabilità e, soprattutto Amore”! Non più “diritto alla bi-genitorialità” inteso come diritto di due coniugi a poter diventare genitori e corrispondente diritto di un minore ad avere due genitori, ma “diritto alla genitorialità”, indipendentemente dal numero di adulti che ne facciano richiesta.
Tuttavia il concetto di “diritto” alla genitorialità, sottende un inganno di fondo in quanto, non esiste UN DIRITTO ad essere genitore (a qualunque costo e con qualunque mezzo) ma esiste il DIRITTO NATURALE a diventare genitore se sussistono le condizioni per esserlo, cioè in modo “naturale” o in maniera medicalmente assistita (PMA), oppure di essere riconosciuti “idonei” per legge da uno Stato, che ci affida un minore “come se fosse nostro figlio, nato da noi”, sussistendone i requisiti, con l’adozione. Diversamente si correrebbe il rischio di dare spazio all’accaparramento di un embrione a tutti i costi e con ogni mezzo, e si arriverebbe a quella “maternità surrogata” che dal 16 ottobre 2024 è stata dichiarata “reato universale”.
Il significato del secondo concetto, quello di “Libertà di autodeterminazione”, si ricava dalla lettura di vari articoli della nostra Costituzione, come capacità di decidere liberamente e senza condizionamenti, sulla propria vita, sulla salute, sulla identità e, in generale, sulla propria persona, senza subire imposizioni da autorità esterne, per cui ogni essere umano ha il diritto di scegliere liberamente come vivere e con chi vivere, con l’unico limite del rispetto del diritto superiore dello Stato a non essere compromesso, limitato o messo in pericolo dall’affermazione di quello individuale. Un po’ come dire, con un vecchio quanto saggio brocardo, che “la libertà di un uomo finisce dove comincia quella di un altro”, in cui l’altro è rappresentato dalla società civile in cui si vive e con cui ci si rapporta, quindi lo Stato.
Quale interesse può avere lo Stato nel limitare il diritto di un uomo o di una donna a formare una “famiglia”, a dare amore ad un essere umano se non quello, superiore, di fare in modo che quell’essere sia rispettato a sua volta? Questo il vero limite che trova il giudice nel momento in cui è chiamato a valutare la possibilità e la sussistenza di tutti i requisiti e le condizioni necessarie perché un minore abbia ciò di cui ha bisogno, nel momento in cui un adulto faccia domanda di poterlo “adottare” e costituire, con lui, la “propria famiglia”.
Non valgono i desueti concetti di famiglia, che abbiamo oramai superato; oggi la famiglia, come già detto, è rappresentata da un concetto composto da più fattori, non solo un uomo e una donna, ma persone, anche una persona, che con l’unione di un minore compongono una unità giuridicamente rilevante e considerata degna di tutela dallo Stato, in quanto libera formazione sociale in cui si estrinseca, cresce e si valorizza la personalità di un individuo. Questo il vero obiettivo della risposta data dalla Corte Cost. alla domanda posta dal Tribunale per i Minorenni di Firenze.
Infine un’ultima riflessione sul terzo, più importante concetto di “uguaglianza”.
Ci soccorre l’art.3 della Costituzione in cui testualmente si legge: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”.
Una norma fondamentale del nostro Stato, scritta a garanzia di uguaglianza sociale e pari dignità, eppure inavvertitamente (o forse no?) disattesa, dal momento che mentre un minore in stato di abbandono, in Italia, almeno fino ad ora, può essere adottato solo da “due genitori regolarmente coniugati”, secondo la classica, oramai desueta, rappresentazione della famiglia offertaci dal legislatore del 1983, invece un solo genitore è autorizzato ad adottare solo in “casi particolari”, come se il diritto all’uguaglianza fosse meno cogente nei confronti di minori “difficilmente adottabili”;
Forse che un minore gravemente invalido o con gravi handicap è meno bisognoso di un padre e di una madre rispetto ad un minore che, almeno all’apparenza, si presenta “senza difetti o problemi”?
Direi piuttosto vero il contrario! Proprio quei minori difficilmente adottabili, per i motivi espressi, avrebbero bisogno di forza, coraggio, dedizione, responsabilità e capacità di rinunciare a parte della propria vita e, soprattutto, AMORE molto più di quanto ne possano chiedere i minori “senza difetti o problemi”.
A questo ha finalmente messo riparo la sentenza della Corte Cost. n° 33 del 2025 che ha ridato dignità al concetto di famiglia, al diritto dei minori (per ora a quelli stranieri) di essere adottati anche da un solo genitore, (non solo in casi particolari).
Per ora – ma si ha ben motivo di sperare che verrà esteso anche alle adozioni Nazionali proprio in ragione del superiore diritto di uguaglianza – il concetto di diritto ad una famiglia ha ritrovato dignità perché si è abbattuto un altro muro e costruito un altro ponte verso la conquista della uguaglianza sociale, dove ogni persona, nel possesso di determinate condizioni, può sperare di dare, a chi ha più bisogno, ciò di cui ha bisogno e dove ogni bambino, neonato o adolescente che sia, senza distinzione di sesso, razza o condizione personale o sociale, può sperare di ricevere il dono di una famiglia, intesa come formazione sociale, fonte di sicurezza, sostegno e amore.
Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’Umanità!