Tedesco: don Peppino e la boccia di cristallo

Aldo Bianchini

SALERNO – A distanza di due anni dalla scomparsa del “guru dell’avvocatura salernitana” avv. Giuseppe Tedesco, mi sembra doveroso ricordarlo e raccontare alcuni aneddoti che mi legavano alla sua persona. L’avevo conosciuto, per la prima volta negli anni ’60. Io giovanissimo ed alle prime esperienze lavorative e profondamente di sinistra, Lui già affermato avvocato, amante del calcio e della Salernitana, convinto uomo di destra, aperto comunque ad ogni discussione e in grado di recepire qualsiasi discorso. Lo seguivo da lontano, anche nella sua breve ma intensa carriera politica e  on solo in quella sportiva. Di Lui mi piaceva essenzialmente un aspetto molto importante, quella cioè di “saper ascoltare” e di “rispettare il ruolo degli altri”, una caratteristica questa che al giorno d’oggi non esiste quasi più. Lo seguii attentamente all’epoca dei grandi processi politici degli anni ’70-80  a cominciare dal caso Falvella per finire alla clamorosa inchiesta per l’assassinio del procuratore Nicola …….  Poi lo persi di vista per alcuni anni e lo ritrovai nel pieno turbinio di tangentopoli quando, già da maestro della procedura penale, seguiva lo sviluppo delle contestate inchieste sui politici e sugli amministratori locali. In aula era sempre freddo, preciso, puntuale, mai esuberante o fuori delle righe, ossequioso dei magistrati senza mai scadere nella piaggeria più spicciola. Conosceva benissimo il suo ruolo e lo recitava da attore consumato. Calmo, pacato, mai una parola in più o fuori posto, sempre disponibile al dialogo ed anche al consiglio utile per tutti noi cronisti della giudiziaria. Passeggiava lungo i corridoi del tribunale come se fosse a casa sua, e il tribunale era difatti la sua casa, senza non sarebbe stato capace di vivere. Quando lo intravedevo da lontano, nel corridoio del secondo piano, sembrava come un vero e vissuto uomo di mare che naviga in un mare tranquillo dopo aver solcato i marosi oceanici. Ecco, era proprio così Giuseppe Tedesco, Peppino per gli amici, per me “don Peppino” . Aveva un profondo amore per la famiglia, per la moglie e per i figli ed aveva dato prova della sua grande magnanimità a cominciare dai suoi adorati nipoti. Il suo studio, su corso Garibaldi proprio di fronte al tribunale, incuteva un senso di ossequioso rispetto nella penombra in cui amava studiare e lavorare immerso nei fascicoli processuali e con gli scaffali debordanti di libri e di trattati. Un giorno, mentre mi trovavo al mio tavolo di lavoro nella sede di Quarta Rete Tv, mi chiamò al telefono e mi convocò nel suo studio. I nostri rapporti in quel periodo, all’inizio degli anni 2000, si erano intensificati ed erano divenuti anche confidenziali pur dandoci il “voi”, mi seguiva spesso per i miei quotidiani approfondimenti televisivi delle ore 14.30, lui amava seguirmi sempre seduto nella sua insostituibile poltrona, spesso ovviamente non condivideva il contenuto dei miei discorsi, il tutto nel’ottica di una dialettica costruttiva e mai distruttiva. Lo raggiunsi nel tardo pomeriggio, ero leggermente preoccupato, non conoscevo le ragioni per le quali mi aveva convocato, ma a don Peppino non era lecito chiedere per telefono spiegazioni che andassero al di là del consentito, bisognava ubbidire ed io ubbidii. Mi sedetti davanti a lui, fece servire il caffè e poi con la calma ed anche la classe che lo contraddistingueva in ogni suo atteggiamento tirò fuori da cassetto della scrivania una boccia di cristallo che in passato aveva forse usata come fermacarte. Me la porse dicendo: “Tenete è per voi, desidero che la teniate sulla scrivania delle dirette televisive quando fate le vostre considerazioni. Ogni volta prima di parlare datele uno sguardo e pensate che in essa è depositata la verità che ha sempre tante sfaccettature e può essere vista da tantissime angolazioni”. La presi e il giorno dopo la misi in bella evidenza in tv, la conservo ancora oggi. Quel gesto, quelle poche parole di don Peppino furono per me una lezione professionale ed anche di vita. Nel silenzio dei miei pensieri lo ringrazio sempre. E allora come adesso dico:  grazie don Peppino.

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