Informazione e processo penale: la cronaca nera in televisione

Aldo Bianchini
LAGONEGRO – Grazie all’associazione “Monna Lisa Museum” la città di Lagonegro ha vissuto, lunedì scorso, un importantissimo momento di incontro e dibattito su uno degli argomenti che da qualche anno tiene banco in tutte le televisioni e su alcuni giornali nati ad hoc: la cronaca nera. Soprattutto quella televisiva sembra essere diventata un’esigenza di sopravvivenza, tanto è la pervicace insistenza nella proposizione e tanto è grave l’abuso che si fa nella diffusione della cronaca nera che viene quasi da credere che ormai una grande percentuale di telespettatori e di lettori non può più fare a meno della predetta cronaca che viene assorbita come “esigenza sociale” perché forse insita nel nostro subconscio; un’esigenza che fino a qualche anno fa non esisteva o almeno non se ne sentiva la mancanza, un’esigenza che per assurdo ha costretto all’angolo gli stessi mass-media tesi a rincorrersi l’uno con l’altro alla ricerca della notizia che viene falsamente propagandata come “notizia esclusiva” in grado di dirottare milioni di telespettatori da un’emittente all’altra; non importa che la notizia sia vera e sia accertata alle fonti, il necessario è avere “una notizia” da calare nell’immaginario collettivo della gente che non conosce le fonti, non sa distinguere il vero dal falso e inghiotte tutto quello che gli viene prospettato dividendosi, molto spesso, in “innocentisti” e “colpevolisti”. E i mass media pagano un prezzo altissimo per tenere testa ad “un mostro mediatico” che loro stessi hanno creato e che non riescono più a tenerlo imbrigliato negli alvei della giusta e corretta informazione; pagano il prezzo attraverso la crescita e/o la caduta degli ascolti che determina le fortune o le sfortune di chi edita quel programma anziché l’altro, di chi lo costruisce e di chi lo conduce con effetti a volte devastanti non solo sull’immaginario collettivo ma anche direttamente sugli inquirenti che nell’esercizio del loro difficilissimo compito possono essere influenzati dalle versioni più o meno verosimili messe in campo soprattutto dalla televisione sia nazionale che locale. Questo il succo che doveva avere il convegno dal titolo “Informazione e processo penale: la cronaca nera in televisione” e che, invece, per buona parte si è parzialmente allontanato dal tema proponendo dei siparietti scoppiettanti, ma anche gustosi e intriganti, tra le due principali giornaliste di cronaca nera di Rai/1 (Vittoriana Abate -Porta a Porata- e Ilenia Pietracalvina -L’Arena-), la criminologa più famosa d’Italia (Roberta Bruzzone), il direttore del centro formazione “Local security University” (Paolo Leporale) e il procuratore della repubblica di Lagonegro (Vittorio Russo). Due i personaggi che, sinceramente, mi hanno impressionato di più per lucidità e professionalità nell’esporre i propri convincimenti.
Il procuratore Vittorio Russo in primis; con dialettica molto forbita, ha passato al setaccio il “nuovo codice di procedura penale” che dopo appena ventisei anni dalla sua emanazione è diventato già vecchio anche perché fatto oggetto di continue violenze e brutali incursioni, alcune delle quali hanno avuto il sapore di “disposizioni ad personam”. Un’affermazione di Russo mi ha colpito particolarmente, quando ha detto che la ricognizione degli elementi di prova o viene effettata in poche ore dopo l’accadimento criminoso o non la si può fare mai più. Ma ha detto anche che il nostro codice consente fino a tre gradi di giudizio anche per i delitti commessi in stato di ebbrezza (chiara l’allusione alla strage di Sassano in cui morirono quattro ragazzi) alla guida degli autoveicoli; cosa questa che ha fatto andare in tilt alcuni suoi colleghi di New York in quanto da loro quasi sempre in questi casi si ferma al primo grado con pene punitive e detentive molto certe.
La giornalista di ai/1, Ilenia Pietracalvina, è stata lucida e spietata al tempo stesso nell’analisi dell’attività del giornalista che raccoglie e divulga “la notizia” come se fosse merce da vendere al banco del supermercato. E proprio perché la notizia, oggi, è ritenuta merce da compravendita, c’è chi la vende in maniera corretta e chi no. Il richiamo alla deontologia professionale della Pietracalvina è stato duro, realistico e senza appello. Per carità, si è un po’ persa anche lei negli sterili siparietti di cui prima e dei quali francamente potevamo anche farne a meno, ma la stoccata decisa ha avuto il coraggio di infliggerla (con l’aiuto della Bruzzone) anche a tutto il cosiddetto “popolo della rete” che da qualche tempo si diletta anche ad essere o a sentirsi come il “popolo dei giornalisti” senza macchia e senza paura purchè coperti dall’anonimato molto diffuso e, per certi versi, inestricabile anche per volenterosi inquirenti. La Bruzzone si lamentava, infine, della possibilità che viene offerta in tv a tutti di “parlare di cronaca nera o giudiziaria” senza avere la benché minima idea della carte processuali o delle regole dibattimentali. E’ proprio qui il vulnus della “cronaca nera” offerta a piene mani dalla televisione, un vulnus che crea sempre e comunque almeno due correnti di pensiero anche su “grandi processi” che alla criminologa appaiono scontati per il semplice fatto di aver letto le carte; ed è proprio qui che si annida il gravissimo pericolo di una informazione forzatamente distorta che viene rovesciata dalle grandi televisioni sugli ignari telespettatori pur di fare ascolti. Sul piano generale non si può non plaudire all’iniziativa dell’associazione “Monna Lisa Museum”; peccato che la stessa non è stata recepita dalla gente che è accorsa in ridottissimo numero all’importante appuntamento nel giardino incantato di Palazzo Corrado disertato, peraltro, anche dagli stessi avvocati che, forse, ritengono di non avere bisogna di questi contributi per alimentare il loro sapere e il loro bagaglio di “punti formativi”. Probabilmente tutta colpa di una cattiva comunicazione che molto spesso viene affidata a quella moltitudine di persone che crede di essere o di poter fare il giornalista. Non che tutti i giornalisti siano eccellenti comunicatori ma almeno ne conoscono le regole fondamentali. Ma in definitiva, e senza forse, facciamo tutti parte della “società della spettacolo” (saggio dello scrittore e filosofo francese Guy Debord, pubblicato per la prima volta nel 1967). <>, come ha ben ricordato il procuratore Vittorio Russo.

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